Marco Paolini ritorna sul palco del Politeama Rossetti e riempie palchi e platea la sera della prima con il suo nuovo spettacolo Ballata di uomini e cani.
Paolini è indubbiamente una delle colonne del Teatro di narrazione in Italia, fin dai tempi degli “album teatrali”, di cui Adriatico, nel 1987 fu il primo. Si è imposto al grande pubblico con spettacoli di teatro civile, raccontando le tragedie di Ustica, del Vajont, i danni del Petrolchimico di Marghera, gli orrori eugenetici dell’Aktion T4, ma parallelamente è stato anche sempre attento al recupero della memoria, della dimensione dell’oralità, delle tradizioni suo Veneto.
Ora amplia uno spettacolo, nato per la rassegna trentina I suoni delle Dolomiti, che allora si chiamava solo Uomini e cani (qui potete vederne un assaggio). Perché Jack London? Dopo tanta ricerca in terra italiana, Marco Paolini si confronta con il narratore del Klondike, della Corsa all’Oro, del Richiamo della foresta. Un mondo completamente diverso dal Veneto, dall’Italia, dalla vecchia Europa. Forse.
Forse, perché Marco Paolini fa presto a far scivolare cadenze dialettali in bocca a uomini dello Yukon, e a convincere gli spettatori che lassù, a Dawson City, tra gente di tutto il mondo si potevano incontrare anche italiani come Rigoletto e sua figlia Gilda, e un killer disoccupato di nomeSparafucile. E poi, latitudini e climi non cambiano la natura umana da noi come nel Grande Nord “gli uomini impazziscono tutti insieme; poi tornano savi uno alla volta”.
O forse, perché Paolini vuole misurarsi con un narratore altrettanto eccezionale. E infatti, è interessantissimo vedere come Paolini rende materia propria le storie e le parole del grande americano: gli ruba i dettagli ma cambia la cornice, trasforma i personaggi e sposta i tempi del racconto. E chi va a teatro conoscendo già le storie che verranno portate in scena, si stupisce, gioisce, finisce immerso in un mondo reinventato e leggendario, dove tutto sembra possibile eppure nulla sfugge alla natura – a quella umana come a quella del wild.
Ballata di uomini e cani è una grande prova d’attore-narratore, ed è uno spettacolo vero e proprio, dove le musiche, gli effetti sonori, le luci e le proiezioni sostengono il racconto e lo rendono ancora più intenso ed emozionante. È forse anche uno studio, un esercizio di Marco Paolini sulla sua tecnica di narratore, che qui supera brillantemente la prova. Ma è soprattutto una riflessione sull’umanità, guardata attraverso l’immagine che ci restituisce il cane – che è e non è a un tempo il compagno animale più vicino all’uomo.
ma il 10 di aprile non casca di domenica. magari controllare il calendario.
bon, ma e’ anche uno spettacolo molto politico, e paolini lo dice in modo esplicito.
si puo’ dire, no?
Nonostante qualche “stecca”, per problemi di salute, Paolini riesce sempre a coinvolgere. Magistrale il dialogo in francese con inserti veneti.
Crudele, ho sofferto due ore insieme a 3 cani e tanti uomini perduti dietro il (ricorrente) miraggio dell’oro, indifesi dagli agguati del fato e dalla maestosa indifferenza della natura, mentre attorno a me il pubblico rideva alle quattro battute, per fortuna solo quattro, da avanspettacolo messe qua e là ,quasi a compensare, alleggerire il dolore del mondo ( quello, questo, prima e adesso). Di politico qualche traccia, qualche provocazione. Anche io odio quelli che si alzano e per naturale vocazione sono macchine perfettamente funzionanti, con la moka già preparata la sera prima: e comunque devo ogni giorno essere, appena sveglia, senza vocazione, una macchina perfettamente funzionante. Cercherò di rivederlo in televisione, perché non ho pace della mia stessa delusione e mi ostino a pensare che son io che non ho capito.
@4 ma tutto lo spettacolo e’ politico, dai. il conflitto cane-schiavo vs uomo-padrone e’ lotta di classe dispiegata. e non e’ un’interpretazione di paolini, e’ proprio jack london himself, che pur con tutte le sue contraddizioni e sbandate ideologiche, ha raccontato quegli anni durissimi sia con veri e proprio reportage, sia, sotto forma di allegoria, nei racconti e nei romanzi.
Mi è parso un richiamo più culturale che politico, molto blando e così tanto travestito sotto le sembianze di padroni crudeli e schiavi astuti e coraggiosi che non l’ho proprio percepito come un reale manifesto di lotta di classe….ci rifletterò.