12 Novembre 2013

Il borotalco che uccide, la denuncia di Roberto Covaz

 Un libro forse scritto tutto d’un fiato ma che non può leggersi tutto d’un fiato, perché ad ogni riga ti fermerai e rifletterai. Rifletterai sullo sterminio nascosto, sullo sterminio del capitalismo sia esso di Stato che non, sullo sterminio di questo nuovo millennio.
L’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS) ha in passato reso noto che nel nostro pianeta ci sono oggi circa 125 milioni di lavoratori esposti ad amianto e molti milioni di lavoratori sono stati esposti negli anni passati.
I decessi vengono quantificati in 120.000 persone, ma a questa somma incredibile, anzi credibile visto che è drammaticamente reale, devono e non possono che aggiungersi le migliaia e migliaia di decessi che si verificano in molti Paesi come l’ Africa, l Asia o Sud America o dell’Est ove l’amianto ancora oggi lo si estrae e lo si lavora in condizioni di mera ed assoluta povertà e senza condizione di sicurezza alcuna. Si stima che se la situazione continuerà in modo malefico a perseverare in tale modo nei prossimi 20 anni vi saranno almeno 10 milioni di persone che rischiano di essere uccise dall’amianto.
E nel libro di Roberto Covaz, giustamente, si ricorda che la Russia è il primo produttore seguito da Cina, Kazakhstan, Brasile, Canada, Zimbabwe e Colombia.
E non si comprende,forse, come sia possibile, condividendo il ragionamento di Covaz, che nessuna politica di boicottaggio, pensando per esempio ai mondiali di calcio che si svolgeranno proprio in Brasile, uno dei principali produttori di amianto, viene posta in tal senso in essere.
Per non parlare, aggiungo io,  del vertice Italo-Russo che si svolgerà proprio a Trieste, si parlerà anche di amianto, si porrà il problema amianto rilevato che la Russia risulterebbe essere il primo produttore?
Un libro che è una goccia che scava ogni roccia di omertà,di silenzio.
Un libro forte, immediato che nella sua semplicità espone la tragedia del silenzio.
Un silenzio, che in Italia ed in Friuli Venezia Giulia in particolar modo, ha visto la complicità iniziale sia di alcuni sindacati che delle istituzioni, che vengono appunto scritte con la i minuscola.
Un silenzio che ha portato via migliaia di persone ed ancora altre, tante altre, andranno via.
Portate via dal borotalco bianco assassino.
D’altronde come potrebbe lo Stato condannare se stesso?
Eppure era dal 1906 che si conosceva la pericolosità di quella maledetta fibra killer. Il 31 agosto del 1906 il Tribunale penale e civile di Torino pronunciava una sentenza in tema di amianto. Venivano assolti sia il proprietario e giornalista di un giornale chiamati in causa dalla British Asbestos perché appoggiavano le richieste salariali e di riduzione d’orario lavorativo degli operai in virtù del fatto che “l’industria dell’amianto è più nociva delle altre e fa annualmente un considerevole numero di vittime”
In quella sentenza emergeva la pericolosità dell’amianto. Un termine che nel libro di Covaz verrà ripetuto solo tre volte, una nel titolo e due nel contenuto dello stesso, perché per Roberto quella fibra è il borotalco cattivo. Così scrive: Il colore bianco del borotalco non dovrebbe essere il colore della morte, eppure c’è un borotalco che non è borotalco e che uccide. Prima o dopo uccide. Sicuro che uccide. E non profuma nemmeno.
Borotalco assassino.
Una polvere apparentemente innocua, naturale, ma bestialmente mortale.
Ma la giustizia tarda ad essere tale. Neanche la sentenza recente del processo di Gorizia può essere reputata come giustizia degna di tal nome. Qualche milione di euro di risarcimento danni e poco più di 7 anni di galera, e si deve attendere ancora il secondo e terzo grado, sono un miserabile nulla rispetto agli 85 morti del monfalconese interessati da questo processo.
Una inezia che non ha fatto neanche notizia a livello nazionale ed un motivo vi sarà. Nessuna condanna d’altronde riporterà in vita chi è stato ucciso dal sistema, ma se giustizia deve essere che lo sia piena e non parziale o simbolica. Ma, come scritto, nessuna giustizia vi potrà mai essere semplicemente perché lo Stato dovrebbe condannare se stesso, perché il sistema capitalistico dovrebbe condannare se stesso, un sistema, che nonostante tutto, continua in via globale, ancora oggi, a produrre amianto.
Ma di amianto si parla poco. E’ un killer silenzioso,  è un killer coperto dal velo dell’omertà, che in pochi rispetto alla complessità del problema, e per i modi diversi in cui ben può uccidere, associazioni,movimenti, cittadini, medici e qualche magistrato o giornalista o scrittore coraggioso, cercano di affrontare, contrastare, denunciare.
Quel libro di Roberto Covaz, Amianto, i polmoni dei cantierini di Monfalcone, è un cazzotto nello stomaco, non può lasciarti indifferente e deve essere diffuso e letto nelle scuole, non solo del FVG ma italiane. Ed a tal proposito è il caso di ricordare che anche in molte scuole sia del FVG che italiane il maledetto amianto è ancora oggi presente.
Per concludere rilevo che si deve parlare di amianto, non si può che parlare di amianto, lo si deve a chi è stato ucciso e verrà ucciso, lo si deve alle famiglie delle vittime,che non hanno vissuto un sacrificio, (quale sacrificio?), ma hanno vissuto un mero omicidio, l’assassinio silente, vorace, diabolico, del sistema, un maledetto anatema verso ogni dignità umana.
Se questo è il secolo della rivoluzione della dignità umana, partiamo dall’amianto, subito.

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Un commento a Il borotalco che uccide, la denuncia di Roberto Covaz

  1. MartinaLuciani ha detto:

    Ma un po’ di giornalismo d’inchiesta, quello che ci si sporca i gomiti e ci si fa un po’ di nemici, quello no eh? Posto che sui temi esposti, sappiamo praticamente tutto, e chi non ha seguito inorridito da decenni la questione amianto?, vorremmo ci fosse raccontato quello che non sappiamo.
    Ad esempio, che a Bologna ci sono 1800 km di tubature dell’acquedotto in cemento amianto, e che i bolognesi si beccano 10 mila fibre di amianto per litro d’acqua. Ci piacerebbe essere rassicurati sul fatto che Gorizia e provincia non hanno tubi assassini.
    A proposito di informazione ai cittadini, l’inchiesta a Bologna ha prodotto un documentario che ha tolto il sonno a chi l’ha visto, realizzato con finanziamenti in crowdfunding e attraverso il sito di giornalismo partecipativo pubblicobene.it

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