12 Giugno 2013

Illustrato il programma del 57° Raduno degli Esuli da Pola e pellegrinaggio

il Libero Comune di Pola in Esilio e l’Unione Italiana di Fiume hanno tenuto ieri mattina una conferenza stampa nella sede dell’Associazione delle Comunità Istriane a Trieste per illustrare il programma del 57° Raduno degli Esuli da Pola e, nello specifico, il pellegrinaggio del 14 giugno alla foiba di Surani e a Rovigno in omaggio alle vittime italiane degli opposti totalitarismi.
Sono intervenuti Silvio Mazzaroli, consigliere del Libero Comune di Pola in Esilio e direttore de “L’Arena di Pola”, Maurizio Tremul, presidente della Giunta esecutiva dell’Unione Italiana, e Paolo Radivo, consigliere del Libero Comune di Pola in Esilio e redattore de “L’Arena di Pola”.
Allego i quattro testi distribuiti nella circostanza: il programma del Raduno; un testo sul senso del duplice pellegrinaggio con i nomi delle 27 persone da omaggiare; la risposta del vice-ministro della Difesa croato alla richiesta di segnalare ufficialmente i luoghi di sepoltura degli “infoibati”; la lettera inviata dal direttore Silvio Mazzaroli al presidente della Repubblica Napolitano su tale argomento.

Un commento a Illustrato il programma del 57° Raduno degli Esuli da Pola e pellegrinaggio

  1. effebi ha detto:

    (1 allegato)

    “Omaggio a Norma Cossetto e Pino Budicin
    Venerdì 14 giugno sarà il giorno più solenne del 57° Raduno degli Esuli da Pola. Sulla scia del Percorso della Memoria e della Riconciliazione avviato il 12 maggio 2012, italiani esuli e residenti omaggeranno assieme i 26 connazionali gettati nella foiba di Surani il 5 ottobre 1943 da partigiani titoisti e i 3 fucilati a Rovigno l’8 febbraio 1944 da militi fascisti.
    Il primo appuntamento sarà alle ore 10 a Surani, piccolo villaggio tra Mompaderno e Pisino. Da uno spiazzo si procederà a piedi per circa 500 metri lungo una stradina asfaltata e poi lungo un sentiero. Chi avesse difficoltà deambulatorie sarà condotto in auto fino a ridosso del sito. La voragine, profonda 135 metri, è recintata e ricoperta da vegetazione.
    Da lì l’11 e il 12 dicembre 1943 cinque vigili del fuoco istriani, tra cui il maresciallo Arnaldo Harzarich, estrassero 26 salme, quasi tutte con ferite d’arma da taglio. Inizialmente se ne identificarono 21, ma dopo ulteriori indagini si salì a 24.
    Simbolo di quella barbara strage è Norma Cossetto, cui nel 2005 il presidente della Repubblica Ciampi ha conferito la Medaglia d’Oro al Valor Civile alla memoria per la sua «luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio». Nata a Santa Domenica di Visinada il 17 maggio 1920, faceva da due anni la professoressa supplente alle superiori e stava redigendo la tesi di laurea da discutere all’Università di Padova. Dopo che il padre Giuseppe si era rifugiato a Trieste per le minacce titine e due fratelli dello stesso erano stati imprigionati a Pisino, il 25 settembre 1943 alcuni partigiani effettuarono una violenta irruzione terroristica in casa di Norma, che il 26 fu condotta al comando di Visignano. Rifiutatasi di collaborare, fu dapprima rilasciata ma poi nuovamente arrestata e rinchiusa nelle carceri di Parenzo. Il 1° ottobre, in vista dell’arrivo dei tedeschi, fu trasportata con altri prigionieri ad Antignana nell’ex caserma dei Carabinieri e successivamente nella scuola. In una stanza fu denudata, legata mani e piedi a un tavolo, ripetutamente colpita e violentata. All’alba del 5 ottobre gli aguzzini fecero camminare lei, nuda, e gli altri detenuti con le mani dietro la schiena legate col fil di ferro spinato fino alla foiba di Surani, dove infine li scaraventarono. La sorella Licia e il cugino Giuseppe contribuirono all’identificazione del cadavere orrendamente sfregiato della ragazza, che fu sepolta il 13 dicembre nel cimitero di Santa Domenica insieme al padre Giuseppe, ucciso il 7 ottobre da alcuni partigiani di Castellier e buttato nella vicina foiba di Treghelizza.
    Fra le vittime finite il 5 ottobre 1943 nella foiba di Surani vi erano anche altri 3 abitanti di Santa Domenica: Eugenio Antonio Cossetto, 54 anni, cugino del padre di Norma, possidente; Antonio Pozzar (o Posar), 71 anni, capo operaio in pensione; e Antonio Ferrarin, 51 anni, possidente.
    A Castellier risiedevano Ada Riosa in Sciortino vedova Mechis, 40 anni, insegnante, stuprata prima dell’infoibamento, e Alberto Zotti (o Zotter), 24 anni, insegnante, tenente di fanteria nel Regio Esercito in Croazia tornato a casa dopo l’8 settembre ’43 «perché di sentimenti anti-tedeschi».
    A Parenzo abitavano: Virginio Calegari, 62 anni, possidente; Giorgio Dapretto, 51 anni, orefice; Giovanni Battista De Caneva (o Decaneva), 37 anni, guardia forestale; Domeniconi Vincenzo, 51 anni, bidello, nato a Roncofreddo (Forlì); Giovanni Gueli (o Guelfi), 53 anni, insegnante, nato a Raffadali (Agrigento); Luigi Poli, 28 anni, di Capodistria, impiegato all’Ufficio del Dazio; Torquato Petracchi, 49 anni, maresciallo comandante dei Carabinieri di Parenzo nativo di Tizzana (Pistoia), Medaglia d’Argento al Valor Militare alla memoria per essere rimasto in servizio anche dopo l’8 settembre collaborando con il Comitato cittadino di salute pubblica nel mantenimento dell’ordine e, una volta instauratisi al potere i partigiani, tentando di scongiurare soprusi, confische e spargimenti di sangue, fino a che non venne arrestato egli stesso.
    Erano residenti a Villanova di Parenzo: Antonio Barbo, 60 anni, agricoltore (od operatore antimalarico); Candido Barbo, 41 anni, cantoniere; Giacomo Paoli, 39 anni, fabbro; Giuseppe Paoli, 44 anni, fratello di Giacomo, fabbro; Vittorio De Stalis, 64 anni, agricoltore; Mario Giovanni Braico, 28 anni, vicebrigadiere della Guardia di Finanza di Mare.
    A Villa di Rovigno stavano invece Celestino Cescutti, 43 anni, commerciante, e Vittorio Pocraiaz, 43 anni, agricoltore.
    Giorgio Apollonio, 63 anni, agricoltore, era podestà di Orsera; Marco Neffat, 54 anni, era maresciallo dei Vigili urbani di Pisino; Maria Concetta Valenti, 45 anni, casalinga di Ghedda, venne «posseduta con forza prima dell’uccisione».
    La seconda tappa del pellegrinaggio sarà alle 12.30 presso il muro di cinta di Villa Vianelli prospicente il lungomare di Rovigno. Lì una lapide ricorda il luogo dove i repubblichini trucidarono tre partigiani italiani: Pino Budicin, Augusto Ferri e Giovanni Sossi. Il macabro spettacolo costituì un messaggio alla popolazione del tipo: ecco la sorte che spetta i ribelli!
    Pino Budicin nacque a Rovigno il 27 aprile 1911. Di professione barbiere, nel 1934 fu arrestato per propaganda comunista e condannato a 7 anni di carcere. Amnistiato nel marzo 1937, venne di nuovo arrestato alcuni mesi più tardi e condannato a 12 anni. Rilasciato dopo il 25 luglio 1943, tornò a Rovigno, dove l’8 settembre tenne un accorato comizio di ispirazione internazionalista e umanitaria. Pur nominato segretario del Partito Comunista Croato per il Distretto di Rovigno e membro del Comitato regionale istriano, non si macchiò di alcun crimine ed anzi cadde in disgrazia proprio perché, critico fin dall’inizio, alla I conferenza regionale del PCC dell’Istria il 10 dicembre 1943 osò contestare apertamente sia i toni nazionalisti slavi anti-italiani assunti dal movimento popolare di liberazione sia il carattere arbitrario e vendicativo degli eccidi del settembre-ottobre, che avevano generato «grande sconcerto e notevole disorientamento tra la popolazione italiana». Estromesso dal Comitato regionale del PCC, continuò ad organizzare la Resistenza tra Rovigno e Valle.
    Augusto Ferri nacque nel 1914 a Bologna. Militante comunista, durante il fascismo scontò alcuni anni di confino per reati politici. Richiamato alle armi, partecipò nel 1941 all’occupazione della Jugoslavia, dove rimase collaborando segretamente coi partigiani. Nel gennaio 1943 disertò passando alla Resistenza croata, che lo inviò a Rovigno. Lì dall’autunno fiancheggiò Budicin come segretario organizzativo distrettuale del PCC clandestino.
    Le versioni agiografiche di matrice jugoslava asseriscono che Budicin e Ferri, trovandosi da soli nella campagna rovignese, caddero l’8 febbraio 1944 (o la sera del 7) in un’imboscata fascista. Secondo fonti più attendibili però sarebbero rimasti vittime della soffiata di un delatore partigiano slavo. Facendoli finire nelle grinfie dei fascisti la dirigenza del PCC si sarebbe liberata di due personaggi scomodi ma troppo benvoluti a livello popolare per incorrere nell’accusa di deviazionismo. Antonio Budicin nella sua autobiografia Nemico del Popolo. Un comunista vittima del comunismo raccontò così la vicenda del fratello Pino: «Durante uno scontro con i fascisti, uno di questi era caduto ed era stato momentaneamente abbandonato. Durante la notte i fascisti sarebbero tornati per ricuperare la salma del loro camerata, mentre Pino e Ferri si trovavano in quei momenti in una casa di campagna, in attesa di novità. Sarebbe entrato all’improvviso un compagno slavo che avrebbe gridato: “Mentre voi state qui a riposare, i compagni sono in prima linea”. La prima linea era il punto in cui era caduto il fascista e là corsero immediatamente Pino e Ferri. Sul posto non c’era nessun compagno, ma i soli fascisti. […] A guerra finita […] un compagno slavo era in procinto di rivelarmi il nome di colui che era entrato nella casa contadina, in quella tragica notte, per stimolare Pino e Ferri a correre da soli incontro alla pattuglia fascista, ma il colloquio era stato interrotto all’improvviso per l’intervento di altri compagni che avevano sviato il discorso. Subito dopo venivo a trovarmi io in stato di arresto perché nemico del popolo».
    Durante il conflitto a fuoco con i fascisti Ferri rimase gravemente ferito, Budicin più lievemente, ma entrambi furono presi. Budicin dovette trainare il proprio compagno su un carretto fino in città, tra gli scherni e i colpi dei militi. Rinchiusi in caserma e percossi, i due vennero infine uccisi perché non vollero fare la spia. I loro corpi straziati furono esposti insieme a quello di Giovanni Sossi, partigiano rovignese catturato in precedenza. La lapide posta dall’Associazione dei Combattenti lo croatizzò post mortem chiamandolo «Ivan Sošić».
    I due eccidi hanno in comune la rispettabilità delle vittime e l’efferatezza degli assassini. Onorando quegli italiani faremo conoscere il loro martirio agli ignari, ricomporremo memorie a lungo contrapposte, proseguiremo nella riunificazione del nostro popolo forzatamente diviso e chiederemo un riconoscimento ufficiale croato dell’atroce massacro di Surani.
    Paolo Radivo”

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