3 Giugno 2013

Friuli Venezia Giulia: la carica dei 47 mila in cerca di occupazione

Ad aprile 2013 in Italia risulta un tasso di occupazione, che è il rapporto tra gli occupati e la corrispondente popolazione di riferimento, pari al 56,0%. Cresce, nel primo trimestre 2013, il numero delle persone in cerca di occupazione, si parla di 475 mila persone in più, ma cresce anche la disoccupazione straniera, oltre 107 mila unità in più su base annua, cresce il numero di disoccupati generale, pari a 3 milioni 83 mila, così come il tasso di disoccupazione maschile cresce per il sesto trimestre consecutivo portandosi all’11,9%; quello femminile, in aumento per l’ottavo trimestre, sale al 13,9% anche quello relativo alla popolazione straniera è in crescita, discorsi similari valgono anche per l’inattività, anche questa in crescita, insomma si è parlato così tanto di crescita, che la crescita esiste, ma è quella delle persone senza lavoro o che il lavoro non lo cercano proprio più.

Si è interrotta anche la dinamica positiva dei dipendenti a termine, che diminuiscono di 69.000 unità mentre prosegue a ritmi più sostenuti il calo dei collaboratori (-10,4%, pari a -45.000 unità), diffuso soprattutto nel terziario, in particolare nel comparto dell’informazione e comunicazione.
In Friuli Venezia Giulia la situazione è preoccupante da allarme giallo se non rosso.
Ben 47 mila persone in cerca di occupazione nei primi mesi del 2013, nel primo trimestre del 2012 erano 38 mila, tasso di disoccupazione dell”8,6%, nel 2012 era fermo al 7% e nel 2007, prima dell’inizio della così detta crisi, al 3,41%; 8,6 % che coincide con la media del nord est , certamente inferiore al 24,6% della Calabria, che ha il primato negativo, ma anche lontano dal 4,5% di Bolzano. Risultano 501 mila occupati, 390 mila sono dipendenti, divisi prevalentemente tra industria ed in via maggioritaria nei servizi e solo 2 mila unità in agricoltura, mentre ben 112 mila sono lavoratori indipendenti in prevalenza nel settore dei servizi.
Insomma in passato scrivevo che la priorità è il lavoro ma con i diritti, perché un lavoro senza diritti, senza uno stipendio equo, è una bestemmia che si esercita verso tutte le conquiste maturate nel corso del tempo, conquiste che sfumano sempre di più e questa situazione stabile ed emergenziale rischia di comportare la realizzazione del lavoro senza diritti, perché l’importante è lavorare pur di campare. Certo, di lavoro si può anche morire e si muore, ma l’attenzione deve rimanere massima, perché è proprio con cifre e dati di questo tipo, catastrofiche, che si creano le condizioni del lavoro senza diritti.
Ed allora ribadisco sì all’emergenza lavoro ma con diritti.
Ed infine l’emergenza non può durare all’infinito, perché se così sarà non si potrà più parlare di emergenza ma di normalità.

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