15 Maggio 2013

Appassionati lettori e cinefili: recensite “Il grande Gatsby”. In palio due ingressi omaggio al cinema

Ci piace leggere e ci piace andare al cinema: come reagiamo, in termini emotivi ancor prima che critici, quando vediamo un film tratto da un libro? Viceversa, un film tratto da un libro che non abbiamo letto, ci intriga a cercare il confronto sulle pagine scritte?

Abbiamo pensato di coinvolgere i lettori, approfittando del fatto che la Festa del cinema consente di usufruire, proprio domani, giovedì 16 maggio, del biglietto a 3 euro per la visione in prima assoluta de “Il grande Gatsby” che porta sul grande schermo il celeberrimo romanzo di Scott Fitzgerald, già in odore di successo strepitoso alla sua presentazione, fuori concorso, a Cannes, e con tutta probabilità di infiniti dibattiti sulla sua fedeltà all’impianto del libro.
Se dunque avete deciso di vedere questo film, vi invitiamo a inviarci, fino al 26 maggio, le vostre recensioni, pubblicandole qui di seguito, nei “commenti”, indicando la vostra città di residenza: ovviamente brevi, non è richiesto altro che la sensibilità di lettore e cinefilo per coinvolgere i lettori nella propria personale esperienza di veder tradotte le pagine di Fitzgerald nell’opera cinematografica. Non siamo critici cinematografici e lasciamo ad altri questo dotto ruolo.
Le vostre recensioni saranno valutate dal gruppo di lettura “ Immagina una pagina”, che dall’anno scorso si riunisce periodicamente alla libreria Voltapagina di Gorizia: non sono stati fissati criteri di giudizio, ma ci si aspetta originalità, personalità, incisività, freschezza, capacità di comunicare e coinvolgere.
Oltre alla gloria di esser prescelto il vincitore, rispettivamente uno triestino e uno goriziano, la recensione “goriziana” premiata porterà al cinema l’autore, grazie a due biglietti omaggio messi a disposizione dal Kinemax di Gorizia. La recensione “triestina” premiata darà la possibilità  di usufruire di due biglietti omaggio per assistere  ad una proiezione all’Ariston Fabbri, messi a disposizione da Bora.La.

 

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16 commenti a Appassionati lettori e cinefili: recensite “Il grande Gatsby”. In palio due ingressi omaggio al cinema

  1. Fiora ha detto:

    Il libro l’ho letto tanto tempo fa,poi ne ho visto la trasposizione cinematografica con Robert Redford e Mia Farrow.
    Quella trasposizione mi era parsa fedele,nel rendere le atmosfere “asettiche”, (tanto bianco di gazebi e tendaggi) le bellezze levigate dei personaggi il loro apparente distacco snobistico dai drammi umani che pure vivono.
    Nulla è involgarito da troppa partecipazione.
    Amore e dolore filtrati .
    Quelle atmosfere che mi hanno sempre fatto pensare al mondo dei Kennedy,alle loro belle donne iconiche sempre fedeli all’imperativo della compostezza quasi di statue.
    Personaggi quelli di Scott Fitzgerald ( così anche in “belli e dannati” ) gente i Kennedy che sembrano vivere “altrimenti” dai comuni mortali le vicende umane che pure li coinvolgono.
    Il dispregio della “volgarità” di manifestarsi troppo, uno snobismo quasi seconda natura.
    Affascinanti perché algidi.Da far sentire goffi e tozzi i comuni mortali.
    A me così latina e sanguigna mi hanno fatto sempre l’effetto d’irraggiungibili parametri stilistici.
    Di Caprio non l’ho ancora visto.Ho visto ” l’Aviatore” Sono certa che sarà un Nick assolutamente perfetto.

  2. Gioia ha detto:

    E’ un film di una bellezza scellerata e invadente, trovo legittimo adattare, da parte di un regista, un testo alla propria visione e interpretazione cinematografica e artistica. E in più credo che il regista, oltre a Il grande Gatsby, si sia letto anche Belli e dannati. Comunque, se non fosse stato quel che è, persino ridondate, compiaciuto di esserlo e provocatoriamente fasullo, la storia in sé, quella di Fitzgerald intendo non so se l’avrei retta fino alla fine ( non è il romanzo migliore, secondo me). Perfetto Di Caprio, mi infastidiva un po’ la Mulligan, quasi non fosse alla sua altezza ( ed in fondo questo è, come alla fine ci chiarisce Nick), bene Maguire ( un pizzico di ironia in più però non avrebbe guastato, magari a far da sottolineatura a certi cieli notturni zeppi di stelle che non esistono).

    Gioia (Gorizia)

  3. Marilisa ha detto:

    A me il film non ha convinto. E non perché sia legata alla vecchia versione con Redford e Farrow che, tra l’altro vinse l’Oscar nel 1975, ma perché l’ho trovato un po’ sopra le righe, insomma eccessivo, nei colori, nella musica, nella caratterizzazione di alcuni personaggi, come la povera Myrtle, che cercava di uscire dalla miseria ma è stata rappresentata, fin dall’inizio, come donna di malaffare, allo stesso Tom con quella sua aria da cafone. Insomma, un susseguirsi di ostentazione, di eccessi come i cesti di orchidee che hanno riempito la casa di Nick e che nella versione di Coppola erano, invece, delle semplici rose bianche.
    Ma del resto ahimè, non mi era piaciuto neppure Mouline rouge, che Baz Luhrmann mi perdoni ma, si sa, non è bello ciò che è bello perché è bello ciò che piace.

  4. michela ha detto:

    l’ho visto ieri, ricordo ancora la versione con Mia Farrow e Robert Redford. questa è molto più smarg, sguaiata, sgargiante, rutilante. un altro genere di cinema, semplicemente. non mi è piaciuto troppo perché avrei preferito una chiave stilistica classica, non tutto quel lavoro sui volti dalla recitazione a tratti grottesca, né quelle riprese veloci, febbrili, oblique e stranianti. Carey Mulligan non mi pare abbastanza bella da assurgere a dea irraggiungibile per Jay Gatsby; Maguire ha l’aria di un tontolone, Di Caprio sarebbe perfetto senza alcuni effetti grotteschi cui lo costringe il gusto del regista. Completamente sprecata la bellissima e bravissima Isla Fisher in un ruolo che la rende irriconoscibile, ed altrettanto la splendida Gemma Ward di cui so che c’era nel cast ma che nemmeno ho notato. Tutto sommato, se non fosse per la storia tristissima e davvero toccante, un film inferiore alle aspettative.

  5. michela ha detto:

    ops non smarG ma smarT

  6. Paolo Stanese ha detto:

    Il Gatsby di Luhrman? Uno spettacolo.
    [Non è mia intenzione partecipare al concorso – volevo solo scrivere la recensione più breve possibile, per una sfida con me stesso. E no, non potevo togliere l’«uno».]

  7. Il Grande Gatsby, Baz Luhrmann. Con Leonardo DiCaprio, Tobey Maguire, Carey Mulligan, Joel Edgerton. USA, AUS, 2013, col. 143’.

    Chi è Jay Gatsby? L’eroe di guerra, lo studente di Oxford o l’omicida? Chi è l’uomo che vive sulla sponda della baia e tenta di catturare una luce verde fra le mani? Te lo spiega (e te lo rispiega, e se non l’hai capito te lo rispiega ancora una volta, e un’altra ancora) Baz Luhrmann.
    Baz mostra di amare il rischio, dedicandosi a un’operazione che manda in fregola il pubblico, inorridisce la critica e fa infuriare i lettori di Francis Scott Fitzgerald. Sì, perché non resta molto della sottile malinconia e dell’ovattata tristezza che pervadevano le pagine del romanzo. Il declino incombe sulla società americana (siamo vicini alla crisi del ’29), ma nel film resta solo come debole accenno sullo sfondo, sepolto dai toni da drammone rosa.
    Luhrmann rimane fedele alla trama, ma sembra trascurarne gli aspetti in filigrana: il canto del cigno di una nazione sazia fino alla nausea del suo stesso benessere. La fascinazione che Gatsby ispira a poco a poco nel “puritano” Carraway, fino a procurargli una crisi d’identità e di valori. La patina di incomunicabilità che separa le vite dei personaggi. Tutto viene sacrificato sull’altare dello spettacolo circense, l’accento posto sulla confezione patinata e glamour e su una fotografia satura e sfacciatamente pacchiana, in equilibrio fra film Disney e Drag Show. Luhrmann archivia l’attonita amarezza della scrittura fitzgeraldiana e manda avanti la storia a colpi di champagne e hit ultrapop anacronistiche (colonna sonora prodotta da Jay-Z: charleston, Lana del Rey e Gershwin in un impasto magmatico e abbacinante).
    Ma le piume di struzzo e il barocchismo sfavillante della prima parte lasciano nella seconda lo spazio alla noia: se la prima metà del film diverte per i suoi eccessi, la seconda si affloscia e disperde la sua energia in verbosità e lungaggini. Da spumeggiante (e promettente) lo spettacolo si incupisce, i toni diventano melodrammatici e l’energia viene soffocata da un eccesso di spiegazioni: tutto è mostrato, tutto è esplicito e poco viene lasciato all’intuito dello spettatore, che si trova di fronte a un prodotto precotto, già pronto da afferrare e ingurgitare. E proprio per questo poco stuzzicante.
    A salvare in parte la situazione ci pensa uno splendido DiCaprio: truccatissimo, smagliante e miracolosamente ringiovanito di dieci anni. Il resto del cast pare invece sottotono: la Mulligan civettuola, Maguire sperduto.
    F.S. Fitzgerald non ha avuto molta fortuna con gli adattamenti dei suoi romanzi, nemmeno negli ultimi anni (basti pensare al “Curioso caso di Benjamin Button” di Fincher, inutilmente lungo e artificioso, una condanna), anche se era prevedibile che nella sua rilettura Luhrmann non assorbisse l’eleganza della scrittura del romanziere americano, preferendo girare uno scintillante carosello kitsch, in linea con i suoi lavori precedenti.
    E allora stiamoci, al gioco di Baz. Arrendiamoci coscientemente al baraccone in technicolor. «Shock and titillate me! I’ve got money!». Accettiamo di accantonare la buonanima di Fitzgerald per una sera, dimentichiamocelo. Sciogliamo le riserve, presentiamoci al cinema con docilità e grande apertura mentale. Io ci sto, Baz, ma devi farmi divertire. E a giudicare dal diametro dei miei sbadigli durante la seconda parte del film, direi che ci sei riuscito solo a metà.

  8. Fiora ha detto:

    Mi hai convinta ,Fosca…DISERTO e mi tengo il ricordo di quella prima indimenticabile versione,così vicina alle atmosfere del libro!

  9. DocPasQ ha detto:

    Gatsby l’esagerato
    Nick Carraway, giovane aspirante scrittore giunto a New York nel 1922 e finito a lavorare nella finanza, ci racconta la storia di Gatsby, misterioso e ricchissimo personaggio, suo vicino di casa. Nick aiuterà Gatsby a incontrare Daisy, il primo indimenticato amore, moglie infelice di Tom Buchanan. Chi ha letto il libro di Scott Fitzgerald sa come va a finire.
    Baz Luhrmann rilegge a modo suo il celebre romanzo, restituendoci una versione all’insegna dell’esagerazione visiva, con movimenti di macchina iperbolici, scenografie straripanti, inquadrature stipate all’inverosimile, colori saturi e colonna sonora che spazia dal sinfonico struggente all’hip pop, frullando elettronica e fox-trot. Dopo mezz’ora ha già esaurito il budget di tre film italiani. Insomma tutto quello che ci si aspetta da un film marchiato Luhrmann. Ma il suo stile è ormai maniera e sembra che lui voglia adattarlo a tutto e forse questa è la colpa più grave del film, che ha irritato più di un critico a Cannes. A parte questo aspetto, il film risulta assolutamente godibile per chi digerisce la cucina speziata del regista australiano.
    Sostenuto da un cast perfetto, Il Grande Gatsby coinvolge lo spettatore nelle vicende sentimentali del protagonista, trovando i momenti migliori nelle scene in cui la bravura degli attori emerge sulla trasbordante messa in scena. DiCaprio calza in modo naturale i panni dell’affascinante e complesso personaggio di Gatsby, mentre Carey Mulligan è un’eterea quanto fatua Daisy, perfetta incarnazione dell’allucinazione amorosa di cui il protagonista è vittima.
    Più interessato alle feste faraoniche, alla luccicante superficie degli Anni Ruggenti, Luhrmann tralascia i temi più caldi del romanzo, come lo smascheramento dal falso mito del sogno americano, di cui Gatsby è interprete romantico e perdente, la feroce disugualianza sociale in un’epoca di incontrollato sviluppo e di folle corsa verso il baratro della Grande Depressione. Nessun aggancio ai nostri giorni, nessun pensiero troppo profondo, solo una mirabolante sarabanda poco adatta a questa storia.

  10. sfsn ha detto:

    Liberamente trato dala recension de Fosca, che ringrazio per averme dà l’idea (senza nissun intento polemico, solo per rider!)

    El Grande Ghetzbi, de Baz Lurman. Con Ciano Del Ben (Ghetzbi), Tojo Coslovich (Karauej), Cajo Furlan (la nagana), Mariucia Visintin (la baba). Trieste, 2013, coj., 100 cl grazie.

    Chi xe Gei Ghezbi? L’eroe de guera, el studente del Volta o una boba qualunque? E chi xe l’omo che vivi vizin al pedocin e zerca de tirar su una roba verde cole man? Te lo spiega (e el te lo rispiega, e sicome no te ghe rivi el te lo spiega ancora un giro) Baz Lurman. El mato dela roba verde xe un mona, perchè la roba verde xe una medusa e ciorla su cole man te vien le bole e te spiza.
    Baz mostra de amar el ris’cio, perchè el bevi i spritz de Gerry al Nàima che no se sa cossa che ga dentro, ma sto qua xe un altro per de manighe. In compenso el fa incazar quei che ghe piasi Scot Fizgerald perchè nol ga leto el libro e el se limita a guardar i necrologi sul Picoglio. Con sto scherzo no resta sai dela sotile malinconia e dela ovatada tristeza che impigniva el romanzo: iera pien de robe tipo Claudio Magris, Boris Pahor e tuti quei seri. Inveze el Ghetzbi de Lurman ghe somiglia un pochetin a Sabata. El declino incombi sula società triestina (semo vizini ala crisi dei trenta, alora bevemoghe su, almeno fin che no rivemo ai 50 che dopo ne vien cirosi), ma d’altra parte a Trieste de cossa altro se pol parlar? Del declino dela cità, de osmize, dele merde dei cani e dele babe cative. Opur meterse a guardar i mati che lavora.
    Lurman no trascura i aspeti in filigrana (chissà cossa che voio dir con sta frase, mah!): el canto del cigno de una cità ulma fin ala nausea del suo stesso teran xe mostrado col sbrumo de Ghetzbi, e el fascino che Ghetzby ghe ispira a poco a poco al “basabanchi” Karauej ghe procura una crisi de identità (el comincia a parlar furlan) e de valori (ghe manca pila).
    Ma el barochismo sfavilante dela prima parte ghe lassa nela seconda spazio solo ala noia: no se parla più de osmize, ma de lavor. El spetacolo se incupissi, l’ambientazion no xe più carsolina, ma una parte nei oscuri coridoi dele Generali e un’altra nei squalidi ufici dela region. Ghetzbi no xe più el mulo cocolon che ghe buta de bever a tuti, ma diventa un triestin frustrà che ghe toca lavorar e dipender del capo che xe sempio. Per fortuna che a un certo punto el film finissi e se pol andar a farse un bicer in aquedoto che xe proprio là de fronte.

  11. Fiora ha detto:

    @10
    me sento tanto sofialoren: ” the winner is…. SFSN!!!!!”
    e ‘desso metite a saltar per i scagni, sora le teste dei spetatori e ragiungime sul palco! 😀 😀 😀

  12. sfsn ha detto:

    orpo, ma se i me dà i biglieti per andar in cine no posso ndar in osmica!
    No se pol permutarli con un litruz de malvasia?

  13. Giovanna ha detto:

    Dov’è l’atmosfera decadente che si percepiva nelle feste di Gatsby? Dov’è la musica che ha caratterizzato quegli anni? Tutto sembra centrato sulla storia di Gatsby, ma in realtà il romanzo va oltre. E’ il ritratto di un’epoca e di una società che è proprio come la luce che si vede dalla casa di Daisy.
    “Non si può ripetere il passato”. “Non si può ripetere il passato?” Ecco. Non si può ripetere così com’è il romanzo di Fitzgerald, ma si può lavorarci sopra, così come ha fatto il regista.

  14. Fiora ha detto:

    @13 insomma un mezzo thriller d’azione? un’americanata ma dei tempi nostri? Roba da far rivoltare Francis & Zelda nella tomba?
    Per carità, mi risparmio la delusione e mi tengo il ricordo della rispettosa “Recherche du temps perdu” di quel Grande primo Gatsby!

  15. Fiora ha detto:

    ma l'”assassino” chi è? Luhrmann o DiCaprio?
    Dalle testimonianze che leggo, propenderei per il primo.
    Come tutti i grandi attori americani ( e “grande” in altri film Leo dimostra di esserlo diventato) DiCaprio si fa materia duttile nelle mani del regista… Quindi o è vittima pure lui o al massimo si becca le attenuanti per involontario concorso in Gatsbycidio , dai!

  16. Fosca ha detto:

    SFSN però se vinci al cinema poi ci andiamo insieme! 😀

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