7 Febbraio 2013

Il tormento e l’estasi del consumatore Apple

Mercoledì 6 febbraio in Sala Bartoli al Politeama Rossetti c’è stato il debutto nazionale de Il tormento e l’estasi di Steve Jobs, versione italiana del monologo di Mike Daisey, prodotta dal Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, che sarà in replica fino al 24 febbraio. Tre sono i temi che si intrecciano nel testo: la personalità di Steve Jobs, la storia della Apple, la realtà della Foxconn, la città-fabbrica cinese dove gli apparecchi della Apple sono costruiti.

Alla versione italiana hanno lavorato Enrico Luttmann, che ha tradotto e adattato il testo, Giampiero Solari alla regia e Fulvio Falzarano, l’attore che interpreta il narratore della vicenda ossia Mike Daisey. Daisey è un fan della Apple, si dichiara seguace del “culto del Mac”, rapito dalla bellezza e dalla funzionalità dei gadget presentati dall’azienda californiana. Ma quando, sbirciando tra i siti di gossip sulla Apple, scopre delle foto degli stabilimenti della Foxconn, comincia a porsi delle domande, e la sua “fede” viene messa alla prova; si reca allora in Cina per vedere con i suoi occhi e ci racconta questa esperienza…

Seguendo le parole del carismatico Falzarano, conosciamo Steve Jobs, visionario ideatore del modo di intendere la vita digitale di oggi ma allo stesso tempo boss tirannico e spietato, e ripercorriamo le vicende della Apple, azienda che ha prodotto sia grandi innovazioni sia flop clamorosi, ma che ha sempre saputo coniare parole d’ordine tramite le quali ci piace pensarci (da Think different a Stay hungry, stay foolish) e creare gadget perfetti per rispondere a esigenze che ancora non sapevamo di avere, costringendo la concorrenza a seguire sentieri tracciati da lui. Jobs ci ha resi consumatori digitali felici, costruendo per noi un comodo sogno cui sacrificare tempo e denaro.

Ma per realizzarsi questo sogno ha un’altra faccia da incubo, cui di solito non pensiamo: non ci sarebbero iPod e iPhone per tutti senza megafabbriche disumane e asettiche dove tutto viene assemblato a mano in turni estenuanti, senza operai sottopagati che vivono una non-vita annullati nel lavoro, senza stabilimenti avvolti in reti antisuicidio, dove guardie agli ingressi e telecamere in ogni angolo controllano che nulla turbi la produzione…

Molte di queste informazioni ci sono già arrivate, ma nella narrazione di Daisey/Falzarano le notizie si incastrano in una visione d’insieme organica, dove emergono palesi lati oscuri e contraddizioni (“se penso che ci sono persone che hanno nostalgia di ‘quando tutto veniva fatto a mano’… non ci sono mai stati così tanti oggetti fatti a mano nella storia come oggi!”), e ci si rende conto meglio di come è costruita una parte essenziale del mondo di oggi, e di quanto Steve Jobs abbia contribuito a crearla e trasformarla.

Lo spettacolo originale è stato criticato e a più riprese riscritto (il testo inglese è disponibile in questa pagina), quello italiano aggiornato fino alle ultime notizie, e Daisey/Falzarano ammette in scena che qualche piccola “finzione drammatica” è stata inserita qua e là nel testo per renderlo più vivido. Ma questa operazione ha senza dubbi un valore civile notevole: fa riflettere sul nostro presente, e rompe l’incantesimo dell’immediatezza che la tecnologia ci regala. Lo ammetto, da dopo lo spettacolo, mi capita di esitare prima di appoggiare le dita sulla tastiera del mio portatile.

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Un commento a Il tormento e l’estasi del consumatore Apple

  1. hobo ha detto:

    feticismo della merce digitale e sfruttamento nascosto:

    http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=5241

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