E’ di pochi giorni fa un articolo sul rigassificatore di Trieste pubblicato su Il Sole 24 Ore, dove sul tema è stato interpellato anche il segretario regionale della Cisl, Giovanni Fania che dichiara: «Da un lato questa regione ha bisogno di infrastrutture energetiche per colmare l’attuale deficit e far fronte alle esigenze di un sistema produttivo siderurgico molto presente, dall’altro ci sono resistenze fortissime a qualunque tipo di iniziativa», aggiungendo: «Quale strategia vogliamo mettere in atto per dare prospettive ai giovani? Gli indicatori economici e i dati sull’occupazione non mostrano più una situazione privilegiata in regione, non ci si può più permettere di dire sempre e solo “no se pol”».
Il segretario regionale della UIl VVF Adriano Bevilacqua, coordinatore di un Tavolo che dal 2009 studia il progetto Gas Natural, ha inviato stamattina una nosta stampa in risposta alle affermazioni sopracitate. Si legge nella nota di Bevilacqua: “Se parliamo di necessità infrastrutturali, le analisi del Tavolo tecnico rigassificatori Trieste, coordinato dalla Uil Vigili del Fuoco, hanno evidenziato come l’Italia e la Regione siano entrambe sprovviste di un piano energetico.
La conclusione che a Trieste “no se pol”, è poi, oltre che riduttiva e ingiustamente squalificante per tutti coloro – sindacati inclusi – che da anni si spendono un impegno serio e totalmente volontario, per verificare che il rigassificatore on shore non causi danni alla città, sotto il profilo della sicurezza antropica, dell’equilibrio ambientale, ma anche dell’occupazione.
Le osservazioni di Fania, infatti, glissano sulle conseguenze negative che ci potrebbero essere per l’attività portuale, come denunciato non solo dalla presidente della relativa Autorità, ma anche dalla Siot, e da Pierluigi Maneschi, presidente di Italia Marittima, vale a dire i massimi operatori del settore.
Lo scalo di La Spezia, abbastanza lontano dal piccolo rigassificatore di Panigaglia – almeno molto più di quanto non sarebbe per Trieste – ha espresso, assieme alla Regione, alla Provincia, e a tutti i Comuni rivieraschi, la più decisa opposizione ad un ampiamento del terminal, perché incompatibile con l’operatività.
Infondata, almeno per quanto riguarda il Tavolo, è poi l’accusa di resistenza aprioristica a qualunque iniziativa.
Nel corposo dossier frutto del lavoro di oltre venti esperti ci sono delle soluzioni alternative per un impianto moderno, sul modello di quelli realizzati in altri paesi, ma anche in Italia.”
Conclude Bevilacqua: “Se Fania è disponibile a sviluppare un confronto argomentato e costruttivo sul tema del rigassificatore, sulle negatività potenziali dell’attuale progetto, sulle ipotesi alternative capaci di coniugare lavoro e sicurezza favorendo lo sviluppo dell’area triestina, gli proponiamo un incontro con il Tavolo tecnico. Aperto, naturalmente a tutti quanti, tra i suoi iscritti, possono essere interessati ad affrontare questo tema.”
Bevilacqua questa volta si limita a proporre ” soluzioni alternative per un impianto moderno, sul modello di quelli realizzati in altri paesi, ma anche in Italia” ma poco tempo fa, in un comunicato stampa pubblicato dal Piccolo affermava che “i progetti on-shore appartengono al passato remoto!!!, quando la percezione dei rischi e le normative erano deboli”. Evidentemente non si è documentato altrimenti avrebbe potuto constare che la gran parte dei terminali LNG costruiti recentemente o in costruzione nel mondo sono ubicati a terra. Nel 2011 sono entrati in funzione i rigassificatori di Rottedam, Burrup Peninsula (Australia) e Map Ta Phut (Tailandia); nel 2012 sono stati completati quelli di Sines (Portogallo), Zhejiang (Cina), Sungei Udang (Malaysia), Kochi (India), Dabhol (India), Gijon (Spagna), Nantong (Cina), Dalian (Cina); nel 2013 dovrebbero venir completati Zhuhai (Cina), Tangshan (Cina), Jieyang (Cina), Singapore, nel 2014 sono previsti San Pedro De Macoris (Repubblica Dominicana), Guangxi (Cina), Hainan (Cina), Swinoujscie (Polonia); nel 2015 Gothemburg (Svezia), Lahad Datu (Malaysia), Thivai (Vietnam), Muuga Harbour (Estonia), Khalifa bin Salman (Bahrain), Dunkerque (Francia); previsti per il 2016: Quintana Island (Usa), Bish Cove (Canada), Ashburton North (Australia). Tutti on-shore. Nello stesso periodo di tempo sono stati costruiti o progettati solamente 8 terminali off-shore : Hadera (Israele), West Java (Indonesia), Livorno, Aguirre (Puerto Rico), Klaipeda Port (Lituania), Port Esquivel (Jamaica), Bay of Mejillones (Cile), Lebanon (Libano). Vengono citati a sproposito gli asseriti terminali off-shore del Belgio e della Corea del Sud.
Nello stesso comunicato si afferma che tali realtà sono già operative in Belgio e in Corea del Sud. In realtà il Belgio possiede un solo rigassificatore, quello di Zeebrugge, che si trova all’interno del porto. I sei terminali sud-coreani operativi o in costruzione (Incheon, Pyeongtaek, Samcheok, Tongyoung, Boryeong, Gwangyang) sono tutti on-shore. Di norma si sceglie un terminale off-shore quando non sono presenti in zona dei porti che posseggano gli spazi ed i pescaggi necessari ad una grande nave metaniera.
Anche a Trieste si potrebbe ipotizzare un impianto FSRU (nave deposito ancorata al largo alla quale si affiancano le metaniere per scaricare il gas) ma non tutti gli aspetti sono positivi. Il Golfo di Trieste ha una superficie limitata e sottoposta alla sovranità di due diversi stati per cui è difficile trovare una posizione opportuna che si trovi all’interno delle acque territoriali e abbastanza lontana dalla costa. La zona di limitazione del traffico restringerebbe ancora di più gli spazi già limitati a disposizione di pescatori e diportisti.
Le norme tecniche stabiliscono che con vento a 15 m/s le operazioni di discarica si debbano interrompere, con 20 m/s la nave metaniera deve rilasciare gli ormeggi e con 25 m/s la stessa nave deposito deve abbandonare il sistema di ancoraggio (con successive lunghe operazioni di riposizionamento). E nel Golfo di Trieste il vento a 25 m/s non è merce rara.