24 Dicembre 2012

Scampoli di storia: Marco Eftimadi e Zora Perello, due nomi sconosciuti nella storia di Trieste

rubrica a cura di Paolo Geri

Marco Eftimiadi e Zora Perello: due nomi purtroppo quasi sconosciuti nella storia di Trieste.Due combattenti partigiani caduti entrambi a soli ventitre anni.

Marco Eftimiadi era nato a Brindisi il 24 gennaio 1921. Era partigiano dal 9 settembre 1943 nella formazione G.A.P. del IX° Korpus dell’ Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo (EPLJ). Venne impiccato assieme ad altri cinquanta ostaggi a Trieste in via Ghega il 23 aprile 1944 sulla scalinata del palazzo che oggi ospita il Conservatorio Tartini. Eftimiadi, studente alla facoltà di scienze economiche e commerciali dell’ Università di Trieste era entrato nell’ antifascismo attivo alla fine del 1942. Dopo l’armistizio del settembre 1943 non potendo come era suo vivissimo desiderio recarsi fra i partigiani in montagna a causa di una imperfezione fisica, entrò nell’organizzazione clandestina comunista della Resistenza “Fronte della gioventù ” che operava a Trieste.
Fu arrestato nella notte del 1 marzo 1944 da una decina di militi della S.S. insieme ad altri dirigenti della Resistenza e rinchiuso nelle segrete del comando SS di piazza Oberdan e successivamente nelle carceri del Coroneo.
Sopportò eroicamente le feroci torture cui tu sottoposto durante la prigionia e non tradì i compagni di lotta. Il 23 aprile 1944 il giornale di Trieste “Il Piccolo” titolava: “Un attentato dinamitardo al “Deutsches Soldatenheim” e di seguito: “Ieri, sabato, elementi comunisti hanno compiuto un attentato dinamitardo al “Deutsches Soldatenheim” a Trieste che è costato la vita ad alcuni soldati tedeschi e ad alcuni civili italiani. Sono state arrestate in gran numero persone della cerchia più vicina agli attentatori. La Corte marziale ne ha condannate a morte cinquantuno. La sentenza è stata eseguita immediatamente.”
Il “Il Giornale di Trieste” del 17 aprile 1954 ricordava i “martiri di via Ghega” citando anche Marco Eftimiadi: “[…] L’ esecuzione avvenne di buon mattino e sembra durasse piuttosto a lungo nonostante la cruda semplicità del cerimoniale. Una delle vittime – lo studente Marco Eftimiadi di ventidue anni – venne prelevato dall’ infermeria del Coroneo alle sette del mattino, ma sembra ch’ egli sia stato uno degli ultimi a salire il patibolo. Citiamo il suo nome, fra i tanti, perché sulle sue ultime ore abbiamo raccolto qualche testimonianza. Era stato arrestato in seguito alla delazione di un rinnegato: sorte ch’egli ebbe in comune con moltissime altre vittime di quegli anni terribili. Si trovava al Coroneo già da un mese. Un mese d’ inferno, fra continue intimidazioni e torture. Non parlò, non fece un nome, non disse nulla che potesse compromettere la causa. Quando vennero a prelevarlo, quella mattina, disse ai suoi compagni di prigionia che non gli importava di morite: “Mi vendicheranno” – disse. Ma parlò senza odio nella voce come se dicesse una cosa ovvia[…..]”.
Ancora da quell’ articolo: “[…] Il giorno stesso della strage, quando i familiari delle vittime giunsero alle porte del carcere per recare i soliti pacchi ai detenuti, questi furono respinti. Chi chiedeva notizie del suo caro riceveva una sola risposta: “Non è più qui”. Senza altra indicazione o commento. Molti attesero la fine della guerra con la speranza di veder ritornare il loro caro da un campo di concentramento. Ma qualcuno sospettò subito quanto era avvenuto e ne ebbe tremenda conferma passando di fronte al tragico palazzo di via Ghega, alle cui finestre vide penzolare il corpo inanimato del figlio, del fratello o della moglie.
Sulle modalità dell’esecuzione si hanno due diverse versioni. Vi è chi afferma che le vittime predestinate giunsero sul luogo del sacrificio già quasi incoscienti per l’effetto del gas che sarebbe stato immesso nei camion durante il trasporto dalle carceri a Palazzo Rittmeyer: altri i dice che i martiri affrontarono il sacrificio con piena coscienza e che il loro comportamento fu eroico. A gruppi di cinque salirono l’ ampio scalone, dovettero quindi montare, spinti dai boia nazisti, sulla ringhiera di marmo e furono infine scaraventati nel vuoto con al collo un nodo scorsoio. Quando non ci fu più posto e non vi furono più colonnine della balaustra per sostenere altri corpi, i tedeschi trovarono subito altre forche improvvisate e i cappi vennero fissati alle imposte delle finestre e agli armadi a muro. Cinque giorni più tardi, un gruppo di SS veniva inviato sul posto a recidere con la baionetta le corde che sostenevano ancora i corpi dei martiri, e questi caddero nella tromba dello scalone, ove erano ad attenderli altri SS per gettarli nelle bare.[…]”

Zora Perello era nata a Servola il 14 maggio 1922, l’ anno in cui il fascismo giunse al potere, da papà calabrese e madre triestina servolana. Quando aveva solo otto anni il padre lasciò la famiglia e la madre si trasferì con Zora a San Giacomo. Da adolescente, fece parte della gioventù comunista considerata illegale dal regime fascista e si prodigò per la diffusione dell’ educazione tra gli sloveni di San Giacomo. Fermata una prima volta e condannata sei mesi di carcere, venne nuovamente arrestata per la sua attività politica, condannata dal Tribunale Speciale a diciotto anni di reclusione ed internata. Rimase in prigione fino all’ 8 settembre 1943. Ritornò a Trieste come attivista comunista in città e sul Carso. Venne arrestata di nuovo dalla Gestapo e torturata. In prigione incontrò la dirigente comunista e tenente partigiana Maria Bernetič (“Marina”) che sarà poi senatrice del Partito Comunista Italiano Così “Marina” ricorda quell’ incontro in una sua testimonianza pubblicata dalla rivista dell’ A.N.P.P.I.A. “L’ antifascista” nel dicembre 1976: “Per le feste di Pasqua, il 18 aprile, la compagna Zora Perello ed io aspettavamo la consueta visita dei parenti. Era arrivata soltanto la madre di Zora. Io non ebbi notizie dei miei”. Trasportata nel campo di concentramento di Ravensbrück Zora Perello morì il 21 febbraio del 1945.
Lo scrittore sloveno Boris Pahor ha paragonato la sua figura a quella di Anna Frank ed ha aggiunto il rimpianto che lettere o diari del periodo che ha preceduto la sua prigionia da parte dei tedeschi non siano mai stati raccolti.
A Zora Perello è intitolata dal settembre 2007 la Casa del Popolo di Servola in via di Servola 114.
A Capodistria mi risulta che una strada porta il suo nome. Lida Turk ha scritto la sua biografia.

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2 commenti a Scampoli di storia: Marco Eftimadi e Zora Perello, due nomi sconosciuti nella storia di Trieste

  1. Federica ha detto:

    Grazie per ricordarci dei nostri eroi vittime del nazi-fascismo.

  2. Dean M Lewis ha detto:

    My Grandfather Alberto Falischia and I believe his uncle Francesco Falischia were both hung here, my Grandmother would tell storys of seeing them hanging by the neck. She married a American GI several years later and her and my mother moved to the United States.

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