3 Dicembre 2012

Rinarrate 2: L’aggancio alla vita

La seconda Protagonista chiamiamola solo “Mamma”. Ha immaginato di raccontare la sua storia per dei destinatari davvero speciali, e ciò rende particolarmente intimo il taglio di questo testo.

 

Care figlie e cari figli,siete tanti e siete sempre stati il mio punto di riferimeto e l’aggancio alla vita.

Vi racconto una storia: non è bella e non è brutta ma è una storia, la mia. Da ogni storia c’è sempre da imparare qualcosa. Ve la racconto perché vorrei che vi potesse insegnare qualcosa, come quando si guarda un film o si legge un libro. Ma potete anche non farne nulla, solamente ascoltarmi.

Sono stata una ragazzina ribelle e femminista, una ragazza impegnata politicamente e mi sembrava che niente potesse vincermi o abbattermi. Ho avuto nel cuore sempre il sogno di potermi sposare e vivere per sempre felice e contenta. Mai avrei pensato di essere sola con il mio pancione e con uno di voi a turno dentro di me, sola a piangere sul balcone e gridare a Dio dov’era e perché non mi aiutava, perché non mi faceva capire quello che stava succedendo e perché soprattutto se ne stava lassù fermo immobile.

La prevaricazione (vuol dire che una persona ti impone la sua volontà con le offese, con le botte e con il controllo, e se non fai come dice lui sono dolori) è una cosa bruttissima, e se qualcuno nella vita vorrà fare questo con voi sappiate che è sbagliato e che c’è una strada per uscirne. È la strada della consapevolezza che siamo tutti esseri umani e solo per il fatto di esserlo abbiamo il diritto di esistere e di essere trattati bene, di non essere controllati.

Quando una persona che dice di amarvi vi picchia, magari vi rompe un timpano o vi fa dormire per terra, vi caccia fuori dalla vostra camera da letto, butta le vostre cose fuori dalla porta e poi spinge fuori anche voi, quando non potete stare nemmeno seduti sul divano a leggere che vi strappa di mano i giornali e si mette tra voi e la televisione, quando in preda alla rabbia spacca gli oggetti che sono in casa e urla davanti ai vostri figli chiamandovi stronza, puttana che va con tutti… o quando vorrete separarvi vi minaccerà di portarvi via i figli e vi dirà che vi farà passare per pazza, quando vi controllerà il telefono e vi seguirà dovunque andiate e nel momento peggiore anche in strada vi urlerà brutta stronza, puttana o quando anche picchierà i figli più ribelli in maniera brutta com’è successo a Paolo (vi ricordate di quando gli ruppe una sedia sulla schiena?) … ecco non fate passare tutte queste cose nella vostra vita prima di denunciare, fatelo la prima volta che succede. Perché la prima non sarà l’ultima ma la prima di una lunga serie. Non fatevi nemmeno convincere da chi vi dirà “avrà avuto le sue buone ragioni per farlo” o dal prete di turno che dirà “è meglio non denunciarlo, perché è il padre dei tuoi figli” (già!) e “perché il Signore ha scelto per te quest’uomo e tramite te lui si salverà”…

Ci si sente in barca durante il maremoto o in gabbia nella stiva di una nave dove nessuno ti può sentire o chi ti sente fa finta di non sentire e chi ti vede gira la testa dall’altra parte. Gli insulti, la denigrazione, la demotivazione, l’umiliazione fisica e psicologica ti si insidiano dentro e ti trasformano come i virus o le modificazioni genetiche di certi film di fantascienza. Inizi a sentirti triste, giù di morale, la confusione mentale la fa da padrona, i pensieri ti rimbalzano da una parte all’altra del cervello come palline impazzite senza portare una soluzione. Ti vergogni e ti senti in colpa per quello che ti sta succedendo e inizi a pensare che quello che stai vivendo è il tuo  normale vivere quotidiano; e forse è colpa tua perché non sei stata una brava moglie, non fai spesso l’amore con lui, non lo curi o non lo accogli con il sorriso e un bacio, non lo sostieni nello sport e negli hobbies che ha fuori casa e brontoli e rompi sempre che lui potrebbe occuparsi di più dei figli e di te.

È in mezzo a tutto questo che con voi ho cercato di essere sempre la mamma sorridente e accogliente che conoscete, quella che vi organizzava le feste e che andava a parlare con le maestre o i professori, quella che vi tirava su di morale quando qualcosa non andava.

Però sembra tutto troppo triste senza quella via d’uscita che invece c’è stata, altrimenti non sarei qui a raccontarvi questa storia. Un giorno un meraviglioso raggio di sole è entrato nella mia vita. L’avvocato dal quale ero andata per chiedere la separazione mi ha trovata un po’ confusa e mi ha mandata al GOAP. Lì sono stata accolta dalle volontarie che mi hanno aiutato a far luce dentro di me e a prendere la decisione di scappare di casa.

Avevo tanta paura quel giorno che ho deciso di andarmene con voi. Ho dovuto aspettare il momento giusto che vostro padre si allontanasse di casa per un po’ e con la paura nel petto ho raccolto in velocità tre borse con le vostre e mie cose, vi dissi di prendere gli zaini, presi una coperta e in fretta, più in fretta possibile ci siamo gettati letteralmente nella vecchia Panda. Guidai per le strade di Trieste come una ladra che non vuole essere beccata. Mi sono fermata alla posta per dettare un telegramma: Ti lascio, porto con me i bambini, sono esasperata delle tue violenze che dobbiamo sopportare noi.

Ricordo il senso di liberazione, di pace e di libertà provato nella casa protetta. La nascita interiore non si è fatta aspettare: come d’estate l’aurora tinge il cielo di luce e poi il sole illumina e squarcia  la notte con la sua luce incandescente, così la mia vita è cambiata. Ora dentro di me c’è la pace, ora so che c’è una rete di donne pronte ad aiutare donne disperse e in affanno, donne violentate nel corpo e nell’anima, figli spettatori di violenze assurde e gratuite che imparano a vivere in mezzo alla violenza come se fosse normale. Ora ho la pace, la serenità e nuove amiche al posto di quelle che alla resa dei conti si sono schierate dalla perte di lui che era “così buono e pacifico”. Ora cammino a testa alta e non mi vergogno più.

Ragazzi ascoltatemi, è di pochi giorni fa la notizia che, nonostante le cartelle cliniche e le testimonianze, il giudice ha assolto vostro padre.

Non ho parole per giudicare chi lo ha giudicato; prima ho provato  rabbia, poi ho pianto e ora sono in pace. Non ha importanza  quello che altri uomini hanno detto su di lui, l’importante per me è avervi lasciato queste righe, questo piccolo pezzo di me. Lui sa che cosa ha fatto e come si è comportato, non coverò l’odio e la vendetta, desidero solo che la mia storia possa restare nei vostri cuori.

Un bacio a tutti, con amore Mamma.

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NOTA: nel progetto Rinarrate verranno accettati solo commenti firmati con il vostro nome e cognome, indipendentemente dal contenuto.

A questo link trovate l’indice di tutti i testi del progetto Rinarrate

Per contattare il centro antiviolenza GOAP: 040-3478827
http://www.goap.it/

Per contattare lo staff di Rinarrate: rinarrate@gmail.com

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20 commenti a Rinarrate 2: L’aggancio alla vita

  1. Benedetta Gargiulo ha detto:

    Finché il comportamento del tuo ex marito sarà socialmente accettabile, troveremo sempre persone che lo giustificheranno.
    E per questo hai fatto bene ad andare oltre. Non sei – più – tu a doverti occupare di questo. Il tuo l’hai fatto: sei andata via e hai protetto i tuoi figli. Ora hai il diritto di fare quello che fanno tutti: vivere serena la tua vita. E avere paura solo quando guardi un thriller in TV.
    Un abbraccio.

  2. Paola Giacca ha detto:

    Questa storia è molto bella (se così si può dire). Complimenti a chi l’ha scritta e alle parole che ha usato, e per come è riuscita a trovare gli aspetti positivi per andare avanti: credo che non sia facile.

    Un dettaglio mi ha colpito, nella sua semplicità e immediatezza, dettaglio che può essere osservabile anche in altre situazioni meno complicate: il bisogno di fuggire in segretezza. Questa scena mi fa pensare che tale situazione è un sintomo, una spia a cui fare attenzione. Quando una cosa che devi farla segretamente, c’è qualcosa che non va.

    Un’ulteriore osservazione per la redazione di bora.la (riferita anche al precedente racconto): ma guarda un po’ come sono diversi i commenti quando ci si deve firmare con nome e cognome?!! ma guarda un po’ come il web (che ha molti spazi di gioco dove si usano i nickname) si trasforma quando la piattaforma del dialogo ha caratteristiche più simili a quelle di una discussione fatta di persona (con la faccia a vista)! Mi ricordo ancora la discussione che si era fatta durante la conferenza stampa che presentava questo progetto: ci si chiedeva, sarà difficile moderare i commenti? bene, non so se per la redazione c’è stato anche un grosso impegno da moderatori, oltre al contributo positivo dato dal’obbligo di firma, però mi pare che si possa dire: su bora.la si fa sperimentazione. E con argomenti non facili! Benvenuta, alla novità messa in campo.

  3. Fiorenza G.Degrassi ha detto:

    Ciao ” Mamma” e davvero il tuo nick ti definisce e sintetizza il tuo percorso. Madre Coraggio.
    Per te e per i tuoi figli ti sia dolce la strada.
    …con buona pace del Reverendo che i è perso l’opportunità di citarti quale strumento di salvazione e pure di quel Giudice il quale nonostante che “carta cantasse”, non ha ritenuto….
    Serviva proprio che ci scappasse la morta???!!!
    AUGURI DI CUORE.

  4. Paolo Stanese ha detto:

    Anche oggi il server è affaticato… grazie di cuore a chi ha avuto la pazienza di aspettare il caricamento della pagina e di lasciare ilproprio commento.
    @ Paola Giacca: siamo davvero contenti di come si sia sviluppato il dibattito intorno alla prima storia di Rinarrate, speriamo che l’attenzione continui a restare alta e che i commenti restino altrettanto interessanti!
    Sì, bora.la fa anche sperimentazione, e per di più su un argomento così delicato. Siamo piccoli, ma con idee grandi!

  5. graziella manservigi ha detto:

    Cara Mamma come sono dolci le tue parole colpiscono nel cuore, come colpisce il fatto che solo perchè donne si debba accettare e di conseguenza subire l’ira e la prepotenza maschile. E i consigli poi si sprecano ma come si può dire a una donna che è stata massacrata di botte che è stato Dio a mandarti quell’uomo e che grazie a te si salverà! Perchè sono sempre le donne a dovere lasciare casa per sopravvivere? Perchè si usano ancora i figli come ricatto? Si sà una mamma difende sempre i suoi figli pertanto la si colpisce dove fa più male, la si minaccia di toglierle i figli. Che schifo! E fa ancora più schifo avere pochi mezzi a disposizione per difendersi. Più di una volta si sente che proprio le forze dell’ordine sconsigliano di fare denuncia. In casi del genere poi è facile perdere fiducia nella giustizia. Coraggio dolce Mamma un abbraccio.

  6. Fiorenza G.Degrassi ha detto:

    tutti orfani questi gentiluomini dalla” carezza ” facile? che ne dicono le madri di questi bricconcelli? Ignorano? difendono ad oltranza il pupo così stressato? o privilegiano la solidarietà aldilà dei ruoli “suocera” e “nuora” e coraggiosamente si schierano accanto alla madre dei loro nipoti e nel contempo accanto ai nipoti stessi?
    Memori come spesso sono loro stesse di analogo trattamento ricevuto dal coniuge.
    …Giacché è abbastanza frequente che il violento abbia ricevuto l’imprinting da un padre violento.

  7. morena gallone ha detto:

    Carissima “mamma” coraggio, sei una grande! I tuoi figli saranno fieri d’averti come genitore. Sei andata contro tutti per salvare la tua vita e quella dei tuoi figli. Il giudice, tuttavia le carte documentate lo ha assolto, che schifo!
    E poi ci dicono ma dai denuncia il maltrattamento subito, noi donne coraggio lo facciamo e il giudice li assolve, oppure non gli fanno fare nemmeno un giorno di carcere. Ma quando cambierà questa legge? “mamma” sei stata bravissima e hai avuto tanto coraggio ad uscire da questa brutta storia, ma adesso sei LIBERA! E SERENA! un abbraccio e un bacio continua così

  8. michele crassani ha detto:

    io invece vorrei porre una domanda.perchè va benissimo raccontare, ma è altrettanto giusto chiedere: perchè?

  9. maura bonifacio ha detto:

    Anch’io posso dire solo BRAVA a questa super mamma!
    E urlare un NO forte a quel giudice che ha assolto(nonostante le carte)quel padre se così si può chiamare!!!
    Allora quì si capisce che la giustizia non funziona proprio, si desiste dal denunciare perchè non ci sono risultati concreti.
    Bella la lettera colpisce nel profondo.
    La frase scappare come una ladra….dà l’idea della fuga dal pericolo.
    E proprio a testa alta puo andare avanti nella vita e i tuoi figli lo capiranno giudicheranno, ti auguro di cuore ogni bene.<3

  10. Paolo Vigini ha detto:

    Ma ti capita mai di incontrarlo per strada?
    Com’è rivederlo? Che sensazioni ti da?
    Come si comporta ora nei tuoi riguardi e nei riguardi dei vostri figli?

    Congratulazioni per il coraggio
    con affetto
    Paolo

  11. Gudrun Martini ha detto:

    Carissima “Mamma”, hai avuto corraggio! Sono molto contenta che oggi sei in grado di dire che sei serena! Poi, visto che finalmente è nato un sito che da voce alle donne che hanno subito maltrattamenti fisici e psicologici, perchè si chiede tanti “perchè” alla donna? Perchè aspetta tanto, perchè va via, perchè sente rabbia, perchè……
    Non è importante il “perchè” ma solo il momento di aver trovato la forza di cambiare!!! Cara “Mamma” sei grande e un forte forte abbraccio

  12. tania grimaldi ha detto:

    il coraggio che serve per ritrovare te stessa in quel maremoto dice tutto su di te e sulla tua forza.
    il vuoto intorno dice tutto sulla società in cui ancora viviamo, e su quanto lavoro ci sia ancora da fare.
    Oggi pomeriggio un’altra donna uccisa, a Udine. di soli 22 anni. Aveva denunciato già 3 volte.

  13. michele crassani ha detto:

    volevo sapere i motivi che portano a questo comportamento. non credo che uno alla mattina si svegli e decida di passare il resto della vita a pestare e minacciare la moglie o compagna che sia. Cosa fa scattare la molla. Non mi é parso di leggere nei racconti, entrambi, il prima, ma solo il dopo. Mi interessa il percorso.

  14. lucia serena ha detto:

    caro Michele, un uomo non si sveglia alla mattina come dici tu e decide di passare il resto della vita a pestare la sua compagna o moglie. E’ un uomo vigliacco che ha nell’animo una cattiveria e sfoga la sua rabbia interiore con le persone deboli. E aprofitta perché sa che non hanno nessuno vicino che le protegga.Questi “uomini” se così li posso chiamare prima o poi la devono pagare per il male che fanno ai propri figli e compagne di vita.

  15. tania grimaldi ha detto:

    I motivi che portano a questo comportamento Michele si possono ricondurre a uno essenzialmente: il fatto di considerare la donna una proprietà, un oggetto che deve assoggettarsi alla propria volontà e che non ha diritto ad averne una propria.
    quello che fa scattare la molla è questo Michele; il fatto che una donna esprima i suoi desideri, i suoi bisogni e/o che non assecondi i suoi (dell’uomo).

  16. Paolo Stanese ha detto:

    Michele, non è mai facile entrare nella testa degli altri. Automatismi, dinamiche interpersonali e reazioni psicologiche non sono gli stessi per ciascuno: i giudizi troppo sintetici rischiano di lasciarci insoddisfatti – oppure di metterci troppo presto in pace con la nostra coscienza.

    In generale, io ritengo che alla base, ci sia una immaturtà psichica a gestire i rapporti interpersonali e specialmente quelli di coppia (davvero, come impariamo che cosa vuol dire amare il proprio partner? Come impariamo a non ripetere ma a superare gli errori che inevitabilmente facciamo? Come riusciamo a evitare che avvelenino il rapporto più esclusivo che stiamo tentando di costruire? Chi ci dice qual è il limite otlre il quale l’amore non va chiamato più così, ma diventa qualcos’altro?).

    Questa immaturità attecchisce in una società dove essere violenti con una donna (fino ad ammazzarla, talvolta) è visto come un comportamento tutto sommato accettabile. Delitto d’onore, dramma della gelosia sono modi di (non)vedere i fatti, prima ancora che espressioni linguistiche consolidate.

    Ciò è ancora possibile perché, come dice appunto Tania, tropppo spesso, la donna non è considerata (e talvolta non considera sé stessa!) pari all’uomo come soggetto portatore di diritti.

    A mio modo di vedere, insomma, una parte del problema ha a che fare con l’educazione all’emotività (prima ancora di diventare un problema psicopatologico), una parte è sociale. Non so se esistano lavori psicologici o sociologici (né inchieste giornalistiche) sugli uomini che hanno ucciso donne.

    È un oscuro territorio tutto da esplorare e mappare – con un impegno maggiore di quanto si riesca a fare in questi commenti.

  17. Gabriella Trastevere ha detto:

    Cara Mamma,
    idealmente ti abbraccio forte e sono felice che tu ce l’abbia fatta e che abbia potuto raccontarci la tua storia.In questo momento ho le lacrime agli occhi mentre ti vedo preparare gli zaini e scappare con i tuoi figli. Sei stata davvero brava e previdente. Rosalia invece,una mia parente,la mattina dopo essere fuggita con sua figlia ha voluto tornare da sola a prendere i suoi vestiti. Lui la stava aspettando. Rosalia non é più uscita viva da lì. Mai ritornare sui propri passi. Mai.

  18. michele crassani ha detto:

    quindi lo scoppio di violenza é unilaterale tra I due soggetti. sempre e comunque da parte dell’uomo? una persona non percepisce nulla prima? cioé una coppia prima di vivere insieme si frequenta, per cui vi saranno dei segni?

  19. Elisa Degrassi ha detto:

    Cara Mamma, io credo profondamente nel valore di chi come te ha avuto (ed ha) forza e coraggio di affrontare la vita.. La vita intesa come cambiamenti interiori profondi, prese di coscienza e di responsabilità. Poi ci sono “gli altri” che dalle loro vite presumibilmente perfette ti insinuano il dubbio di non essere e non fare abbastanza e già così minano l’autostima…poi c’è l’uomo sbagliato (che magari non è sbagliato in assoluto, ma lo è per te)che lentamente ti spegne e ti addormenta, che lentamente ti uccide…Ma la forza di mamma c’è sempre, così continui ad esserci per i tuoi figli e da quella forza attingi lo slancio per dire a te stessa che tu non sei mai stata così, che sei luminosa dentro…hai scelto di staccarti da quello che ti faceva male, sei stata una grande! E i tuoi figli lo sanno, credimi, perchè ci sono anche cose belle e positive che si insinuano nella testa..tutto ciò che una mamma insegna entra dentro e mai più esce..e mi sembra proprio che tu abbia insegnato molto ai tuoi figli…Poi i figli sono individui con la loro storia e ogniuno sceglie che conclusioni trarre..anche questa è la vita. Hai affrontato la vita con coraggio, continua così, affronta ancora la vita e te stessa con coraggio, combatti ancora per la tua serenità, non mollare, fallo per te e per i tuoi figli.. UN FORTE ABBRACCIO da una mamma che è anche figlia

  20. Daria Cozzi ha detto:

    Cara Mamma,
    grazie per la tua testimonianza, di sicuro porta con sé un messaggio importante: uscire dalla violenza si può. Ma vorrei aggiungere ancora qualcosa, non per te, che ne sei fuori, ma per tutte le donne che invece si trovano invischiate in relazioni malate e che non se ne sono ancora accorte o che pensano di non aver modo di uscirne.
    Noi donne, tutte, abbiamo un dispositivo davvero speciale dentro di noi. Sta nella pancia.
    Si tratta di uno straordinario strumento di rilevazione dati. Si attiva non appena c’è qualcosa che non va. Scatta l’allarme. E allora ci sentiamo immediatamente “fuori bolla”. Chi sente un vuoto nello stomaco, chi un crampo, chi confusione nella testa, chi voglia di scappare, chi paura, chi voglia di piangere… quando sentiamo queste cose è un buon segnale: vuol dire che funzioniamo bene. Che le nostre antenne captano il pericolo. Che possiamo fare qualcosa perché il disastro non è ancora arrivato. Ma attenzione! Se invece sottovalutiamo la nostra sensibilità e i segnali di allarme che il nostro inconscio ci manda, possiamo ritrovarci nei guai. La cosa peggiore che possiamo fare è non dare credibilità a ciò che sentiamo dentro. Magari pensare “oggi lui ha una brutta giornata” o peggio ancora “che sciocca che sono, non ho pazienza, non so capire, sono inadatta, sarà colpa mia”. Ciò che rischiamo è che il nostro campanello d’allarme vada in saturazione e smetta di funzionare. Ma prima che questo accada lui si farà sentire per molte e molte volte. Per questo non dimentichiamoci mai che, prima di arrivare ad un punto di non ritorno, dove la violenza potrà toglierci le forze, la volontà, il sorriso e la fiducia, possiamo dire “basta”, “io non ci sto”. Agire subito, mettere le cose in chiaro, reagire ad un sopruso, ad un’offesa, ad una mancanza di sensibilità, ad uno schiaffo morale o fisico che sia, ci farà sentire libere dentro e capaci di scegliere per noi stesse, per i nostri figli, per la nostra vita.

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