21 Settembre 2012

Come si fa un reportage fotografico: iscrizioni aperte al laboratorio a cura di Monika Bulaj

Si terrà nella sede della Cappella Undeground, in piazza Duca degli Abruzzi, 3 il nuovo laboratorio di reportage fotografico che l’associazione culturale Bottega Errante propone a Trieste. Il progetto è a cura di Monika Bulaj, un’insegnante di assoluto prestigio, fresca vincitrice del premio Trieste al Reportage e autrice della mostra “Nur/Luce – Appunti afgani” ospitata attualmente al Salone degli incanti.

Si tratta di un laboratorio rivolto a persone che abbiano già acquisito le basi della fotografia, e che vogliano misurarsi con un genere, il reportage appunto, che prevede sensibilità, dinamismo e rispetto della realtà.
Monika Bulaj dichiara che stare vicino, a volte molto vicino, alle persone è forse l‘unica buona ragione per fotografare. “Non conosco nessun metodo se non quello di mettersi ogni giorno in discussione, mettendo al centro della visione l’attenzione pura, quasi infantile, profondamente intuitiva, alla realtà. La fotografia è per me una questione di impegno, di pratica, di meditazione, di sensibilità e di pazienza.”

Quello che rende il laboratorio unico nel suo genere è proprio il fatto di mettere l’accento sulla questione della non-finzione, ovvero quello che recentemente viene chiamato nella scrittura la “creative non-fiction”. Vuol dire rivolgersi all’interpretazione della realtà, esigendone il confronto e la conoscenza dei linguaggi e stili. Significa che possiamo indagare le storie di Erodoto o i quadri di Caravaggio e Goya, oppure le miniature persiane o ancora, le foto di Koudelka, le poesie haiku di Issa e le storie di Nicolas Bouviers o l’indagine del campo di antropologia visuale. Si passa dalla fotografia, all’arte alla letteratura quindi, mettendo a confronto discipline diverse, ciascuna con il proprio tipo di narrazione e la sua natura di reportage.

Si parlerà della verità e del mistero nella fotografia, gli allievi saranno incoraggiati a lavorare sulla capacità di vedere la realtà senza trasformarla, senza influenzarla e senza mentire. Quindi, di conseguenza, si tratterà dell’etica nel reportage, dell’onestà, e delle questioni morali della post-produzione. Ma anche dell’evoluzione del reportage nella storia dell’immagine, dell’indagine giornalistica e documentaristica. Si rifletterà su come le scelte tecniche e intellettuali trasformano il linguaggio e il modo di raccontare la storia, attraverso l’uso di grandi e piccoli formati, pellicola o digitale.
Durante il workshop, aperto anche per chi lavora unicamente in analogico, verrà chiesto ai partecipanti di sviluppare una storia in immagini.

Il laboratorio ha una durata di 10 lezioni di 2 ore ciascuna e si terrà ogni martedì a partire dal 9 ottobre alle 20.30 presso la sede della Cappella Underground, in piazza Duca degli Abruzzi, 3.
Le iscrizioni sono aperte fino al 8 ottobre e ci sono 15 posti disponibili.
Per informazioni www.bottegaerrante.it, info@bottegaerrante.it

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4 commenti a Come si fa un reportage fotografico: iscrizioni aperte al laboratorio a cura di Monika Bulaj

  1. dultan ha detto:

    spega anche come trovar la pila per andarse a far el viageto?

  2. lorenzo ha detto:

    Da fotografo è vero: per il reportage le foto non vanno “rubate” ma chieste,bisogna stare vicino alle persone e chiedere loro se è possibile fargli le foto.
    Per la pila,inveze,molto spesso se usa la pila che za te ga…

  3. britto ha detto:

    € 290

  4. dultan ha detto:

    alora pochi de lori se farà gita fotografica in afghanistan… a mi la mostra del bulaj me pareva veramente schifosa. nulla da dir sulle foto, anche se non iera el massimo a livel de fotografia a mio parer, ma son un semplice osservator non un addetto ai lavori, ma sul metodo e il modo con cui se ga posto, me pareva una gita allo zoo e tuti a veder le bestie feride ovvero sfruttamento delle disgrazie altrui. tutti a diro o che bel el “quadro” grande, quel dela mula brusada, solo quela stampa podeva sfamar 20 muleti, lo digo perché in una descrizion xe scrito che i muleti praticamente mori de fame. sinceramente de questo tipo de fotografia da “radical shit” non so cosa farmene e non penso che anderò a veder altre mostre sue o de questo genere perché non ameto ste robe.

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