24 Agosto 2012

Razionalizzazione delle Province: ampliato il calendario degli incontri

Si è conclusa la prima settimana di audizioni della Commissione speciale per la razionalizzazione delle Province, presieduta da Antonio Pedicini (Pdl) che al termine della prima settimana di incontri, ha ampliato il calendario delle audizioni programmate.

Oltre ai già previsti appuntamenti di martedì 28 agosto (i presidenti delle quattro Province, il presidente della Commissione paritetica Stato-Regione, il prof. Giangaspero della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trieste e il prof. Girotto del dipartimento di Scienze giuridiche dell’Ateneo di
Udine), giovedì 30 agosto saranno ascoltate prima le organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL e CISAL, l’Unione culturale economica slovena (SKGZ), la Confederazione delle organizzazioni slovene (SSO), Confindustria FVG, Confagricoltori, Kmecka Zveza-Associazione agricoltori, Confagricoltura, Coldiretti, Federazione piccole e medie industrie FVG, Confcommercio-Unione regionale commercio e turismo, Confartigianato-federazione artigiani piccole e medie imprese, CNA, Confesercenti, Unione economica slovena-URES (SDGZ),
Confcooperative, Lega cooperative, Federazione regionale-Associazione generale delle cooperative italiane; poi sarà la volta dei presidenti delle Camere di Commercio, delle Fondazioni CRT, CRUP e CARIGO; infine dei rappresentanti del
mondo dell’informazione: accanto ai direttori dei quotidiani Piccolo, Messaggero Veneto, Gazzettino e Primorski dnevnik, anchei direttori dei quattro settimanali diocesani (Il Popolo; La VitaCattolica; Vita Nuova; Voce Isontina) e i responsabili delleredazioni Rai in lingua italiana e in lingua slovena, di Radio
Telepordenone, di Telefriuli e di Telequattro.

Ulteriori audizioni sono state fissate per la seconda settimana di settembre. Martedì 11 settembre, dalle 14.30, la Commissione ascolterà i componenti di nomina regionale della Commissioneparitetica Stato-Regione e il prof. Sergio Bartole. Quindi si inizierà la discussione in merito alla razionalizzazione delle Province e delle loro funzioni, discussione che proseguirà anche
giovedì 13 settembre a partire dalle ore 14.30.

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22 commenti a Razionalizzazione delle Province: ampliato il calendario degli incontri

  1. lorenzo ziani ha detto:

    Quando non si vuol fare ciò che il popolo pretende si inventano le “commissioni di studio”. Queste sono veri e propri “insabbiamenti”. Ma chi può difenderci dall’ingordigia di questi amministratori?
    Che ci voglia una nuova rivoluzione francese?

  2. John Remada ha detto:

    + o – è così,ma per muovere il popolo dovrà essere ancora più dura…..vedi Monfalcone,dopo tutti i danni fatti dalla giunta precedente,la rivotano….quindi,a mio avviso,ancora un paio d’anni,poi i botti.

  3. Alessio ha detto:

    @ lorenzo ziani
    E cosa vorrebbe il popolo? Se si votasse per chiedere ai cittadini della provincia di Gorizia se vogliono andare sotto Udine o sotto Trieste, uniche due alternative “spendibili” al voto del Consiglio regionale oppure se mantenere la propria provincia, secondo te come andrebbe a finire?

  4. Rosi ha detto:

    EVVIVA LE PROVINCE
    ABBASSO LA REGIONE

  5. Rosi ha detto:

    letta su Il Piccolo del 23 agosto:
    La Provincia di Gorizia ha già dato il 95% del proprio territorio per tutta l’Italia. La provincia di Milano o quella di Vicenza, ad esempio, non sono state toccate alla fine della Seconda Guerra Mondiale per pagare territorialmente danni di guerra alla Yugoslavia, cosa che invece abbiamo fatto noi! Già ciò dovrebbe essere motivo di attenzione per coloro i quali parlano senza un valido perché. Inoltre senza la Provincia, Gorizia perderebbe tutte, dicesi tutte, le direzioni provinciali, Inps, Inail, Cc, GdF, Direzione provinciale Lavoro, Ater, Ccciaa, Vigili del fuoco, ed avanti di questo passo con una riduzione immediata di circa 1.000 posti di lavoro in provincia ed una svalutazione degli immobili (anche di quelli prima casa) di circa il -20% per la mancanza di richieste da parte degli statali. I bar e gli altri negozi lavorerebbero di pari grado e cioè con un -20%. Ora, altri numeri: la Regione senza la Provincia di Trieste ha circa 1milione 50mila abitanti con 7.500 Kmq: allora perché anziché voler abolire due province (Gorizia e Pordenone), non dividere quella di Udine in modo da far creare tre province da 350mila abitanti l’una e da 2.500 Kmq, così da rispettare i parametri dettati dal Governo? O forse Udine e Trieste debbono essere “più” degli altri? Infine a Gorizia esiste una forte componente slovena: ma allora perché non cercare di fare di Gorizia, in alternativa a quanto di cui sopra, una Provincia Autonoma, stile quella di Bolzano, ove possano essere riuniti gli sloveni dalle valli del Natisone fino all’Altipiano carsico, lasciando fuori Trieste, Udine e Monfalcone?
    Alessandro Caprara Gorizia

  6. hobo ha detto:

    l’ argomento della “provincia mutilata” non e’ accettabile. dire

    “La Provincia di Gorizia ha già dato il 95% del proprio territorio per tutta l’Italia. La provincia di Milano o quella di Vicenza, ad esempio, non sono state toccate alla fine della Seconda Guerra Mondiale per pagare territorialmente danni di guerra alla Yugoslavia, cosa che invece abbiamo fatto noi!”

    significa dimenticare che quel 95% di ex provincia e’ da secoli popolato quasi esclusivamente da sloveni, e che in quelle terre l’ italia, tra il ’18 e il ’45, ne ha combinate di cotte e di crude. altro che terre cedute per pagare i danni di guerra!

  7. Sandi Stark ha detto:

    Bravo quel Caprara, complimenti. Ma ghe spiego un punto de vista: la Regione no pol far a meno de TS perchè xe la città ancora più grande de la Region e perchè senza TS (e Gorizia) le ragioni della specialità alias autonomia, cascassi.

    Tempo pochi mesi(se l’Italia sopravvivi), zento articoli de Rizzo & Stella e dei altri pennivendoli centralisti, e anche Udine perderia la specialità.

    Quindi i farà de tutto per conquistar Gorizia e far de TS una “città metropolitana”, che xe una pallida imitazion de una Prov. Autonoma, essendo sempre soggetta al giogo della dominazion furlana regionale.

    Come Caprara, ragionava anche i suoi avi goriziani dopo el 1918, i scriveva: “Benissimo, voi udinesi volè l’unità del Friul e riconossemo la presenza furlana nell’isontino, ma a sto punto che Udine staghi sotto Gorizia che ga più titoli”.

    No saria andada cussì, la Provincia de Gorizia (“autonoma” sotto l’Austria) saria stada smembrada e ricostituida parzialmente nel 1927 ma solo per un motivo, e cioè che Mussolini iera convinto che la snazionalizzazion dei cittadini sloveni sarìa stada più efficace tramite i fassisti goriziani piuttosto che tramite quei udinesi.

    Adesso i farà repete, i ghe lasserà qualcossa ai politici residenti a Trieste (no li ciamo “triestini” perchè i xe quasi tutti fioi dei Conquistadores) e i se annetterà Gorizia.

    http://imgur.com/gaadu

  8. John Remada ha detto:

    Hobo,se non la smetti si far fuoco,le canne si deformano dal calore,e l’ordegno ti può scoppiare in mano….mi risulta che la guerra è finita da qualche anno…..ma tu e il cap.siete come come gli ultimi giapponesi nella giungla….

  9. edvard ha detto:

    John Remada

    ahi ahiai te vedi come che xe sempre che quando qualchidun accenna alle porcate fatte dall’italia xe sempre l’italiano medio che cade dalle nuvole..e se scota. L’Italia xe un unicum in europa da questo punto di vista xche delle sue gesta xe scritto molto poco o niente nei libri de scuola…

  10. John Remada ha detto:

    Se è per questo a scuola,non ricordo,nessuno che mi parlava delle bastardade degli infoibatori….in ogni caso con queste storie,voi andate indietro,non portate avanti nulla,o vorresti dare Trieste e la bisiacheria alla drugobanda di vecchia memoria per ulteriore risarcimento?

  11. maja ha detto:

    8

    frank zappa,
    se non la smetti di tralasciare lo spazio prima della virgola, il periodo si deforma dalla mancanza di ortografia, e il nuovo nick ti può scoppiare in mano…

  12. hobo ha detto:

    @8

    ehila’ johnny, non ti ho risposto perche’ oggi ho passato il pomeriggio a monfalcone, seduto su una panchina a scaccolarmi i piedi. adesso vorrei risponderti, sul serio, ma ho letto e riletto il tuo commento e non saprei proprio cosa aggiungere. e’ perfetto cosi’.

  13. John Remada ha detto:

    Metterò l’uncino,in caso di scoppio….di acciaio inox….Monfalcone,hobo?E’in Italia?

  14. John Remada ha detto:

    Ah,Maja,dimenticavo….Zappa mi piace,ma ultimamente sto tamisando perfomer meno conosciuti,come Stone the Crows e altri;dicevi dell’espansione? Cambia la compatezza del suono,con le tastiere si espande,senza di esse,si compatta;così gli scritti,ne convieni?

  15. Alessio ha detto:

    Flash 5 settembre 2012, 16:10
    Province e trasferimento delle funzioni
    Termine scaduto e nessuna traccia del dPCM!
    Caos sul trasferimento delle funzioni. A chi spetta cosa? Tra dubbi di costituzionalità, derive populiste e ricorsi al Tar, l’addio alle province si fa sempre più lontano.

    Secondo la tempistica contenuta nel comma 7 dell’articolo 17 del D.L. n. 95/2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 135/2012, “Le funzioni amministrative di cui al comma 6 sono individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali”. Il comma 6 della medesima disposizione recita infatti “sono trasferite ai comuni le funzioni amministrative conferite alle province con legge dello Stato fino alla data di entrata in vigore del presente decreto e rientranti nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, della Costituzione”.

    Se la matematica non è un’opinione (e non lo è!), il decreto in questione è entrato in vigore il 7 luglio 2012. Ergo: 7 luglio 2012 + 60 giorni= oggi, mercoledì 5 settembre.

    Tuttavia nell’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri appena iniziato non c’è traccia di questo decreto del Presidente del Consiglio.

    Un silenzio che può prestarsi a varie interpretazioni… Marcia indietro? Ripensamento di priorità nell’agenda del governo? Necessità incombenti?

    Oppure soltanto si sono drasticamente sottovalutate le numerose funzioni degli enti provinciali?
    http://www.leggioggi.it/2012/09/05/province-e-trasferimento-delle-funzioni-termine-scaduto-e-nessuna-traccia-del-dpcm/

    Ora se la Regione dovesse decidere di andare avanti lo stesso sarebbe evidente ancora di più che l’unica motivazione è fare le scarpe a Gorizia.

  16. Marisa ha detto:

    I politici regionali ci stanno raccontando, con la complicità della stampa locale, un sacco di balle sulle province!

    Ci stanno facendo credere che:
    1) le province saranno tutte abolite e le funzioni delle province passate a Comuni e Regione. Balle! Le province non possono essere cancellate perchè previste dalla costituzione italiana.

    2) Le province saranno svuotate fino a renderle inutili. Balle! Non si possono svuotare perchè la Costituzione prevede che abbiano una funzione primaria. La quasi totalità dei costituzionalisti ha già avvertito che lo svuotamento è incostituzionale! E lo sanno anche i partiti regionali….

    3) saranno trasformate in un ente di secondo livello. Balle! E’ un ente che deve essere elettivo e già 6 regioni a statuto speciale ha presentato ricorso alla Corte Costituzionale su questo punto. Il 6 di novembre ci sarà la prima udienza.

    Conclusione: il Governo Monti ha fatto un bel “casino” con le province per correre dietro al populismo alla Stella/Rizzo e ora sta ritornando sui suoi passi sepolto da ricorsi alla Consulta e al Tar del lazio, oltre che dagli avvertimenti dei costizionalisti…

    E i nostri politici regionali (in primis Tondo e Serracchiani) continuano con le loro certezze granitiche : cancelliamo le province e le loro funzioni le passiamo ai comuni e alle regioni….

    Sicuri che a livello di diritto costituzionale sia tutto O.K.? Dilettanti allo sbaraglio!

  17. Marisa ha detto:

    3) saranno trasformate in un ente di secondo livello. Balle! E’ un ente che deve essere elettivo e già 6 regioni a statuto ORDINARIO hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale su questo punto. Il 6 di novembre ci sarà la prima udienza.

    Scusate, per errore ho scritto “speciale”.

  18. abc ha detto:

    @ Marisa,

    resta però il fatto che ambedue i principali candidati alla guida della regione sono favorevoli alla scomparsa di tutte le province. Non saprei se è da temere di più l’arrendevolezza di rotondo o la spocchia della serachiana.

    Bisognerà vedere se la decisione della Corte Costituzionale sarà applicabile anche alle regioni a statuto speciale. Se così non sarà, e se pertanto saranno abolite tutte e 4 le province, si dovrà a mio parere doverosamente rimettere in discussione anche la sede del capoluogo regionale.

  19. Alessio ha detto:

    Dal Piccolo di oggi:

    L’opinione del PdL goriziano è che “la Regione debba essere all’avanguardia ripensando tutta l’architettura degli enti locali abolendo tutte le Province” pag. 24
    Ingenui, semplicemente disinformati o masochisti?

    La posizione ufficiale del PdL regionale è infatti quella espressa a pag. 24 del Piccolo dal coordinatore Isidoro Gottardo secondo il quale «O nessuna Provincia o più di due Province. Su questo punto, non seguiremo il dettato della spending review»

    E visto che se provano a cancellare la Provincia di Udine o quella di Pordenone Tondo perde di sicuro la propria maggioranza indovinate chi si prenderà il cetriolo?

  20. Alessio ha detto:

    Incredibile l’insistenza di Romoli, http://messaggeroveneto.gelocal.it/cronaca/2012/09/11/news/l-autonomia-del-fvg-va-applicata-aboliamo-le-province-da-gennaio-1.5677890
    O non ha capito che il suo partito non la pensa come lui oppure è favorevole che il territorio della nostra provincia venga annesso in altre più grandi, dove non conterà più nulla, perdendo tutti gli uffici periferici dello stato presenti nella città e le agevolazioni rimaste, vedi Fondo Gorizia pur pure il sindaco di Gorizia, pur di eliminare l’ente sovraordinato che il centrodestra non riesce a conquistare elettoralmente oramai dal 1994

  21. Alessio ha detto:

    Oggi sul Piccolo c’è un’intervista eloquente al presidente dell’Ordine degli avvocati della Provincia di Gorizia sulla forza che hanno dimostrato i politici goriziani nel difendere gli interessi dell’isontino sulla storia del mancato accorpamento del circodario della bassa friulana.

    «Politici goriziani inesistenti»
    Lo sfogo del presidente degli avvocati Gaggioli sullo “scippo-giustizia” di Udine

    Purtroppo non credo proprio che cambiando argomento, ovvero la salvaguardia della provincia, cambierà anche la qualità delle persone che dovrebbero tutelare i nostri interessi.

  22. Alessio ha detto:

    Prof. Pietro Ciarlo
    Ordinario di Diritto Costituzionale
    PARERE SUL “RIORDINO” DELLE PROVINCE DI CUI ALL’ART. 17 DEL DECRETO-LEGGE 6 LUGLIO 2012, N. 95, COME CONVERTITO IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DALLA LEGGE 7 AGOSTO 2012, N. 35, E SULLA CONSEGUENTE DELIBERAZIONE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DEL 20 LUGLIO 2012
    1. L’ art. 17 del Decreto-Legge 6 luglio 2012, n. 95 è illegittimo per contrasto con gli artt. 3 (Principio d’eguaglianza), 5 (Principio autonomistico), 133 (Tutela delle identità comunali e provinciali) Cost.
    L’art. 17 del Decreto-Legge 6 luglio 2012, n. 95, come convertito in legge, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 35, introduce una disciplina, complessa e variamente articolata, volta al riordino delle Province in tutto il territorio nazionale cui le Regioni, anche quelle a statuto speciale, sono tenute a uniformarsi in quanto contenente principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, nonché principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.
    In un parere reso all’UPI in data 31 agosto 2012, il Prof. Valerio Onida ha sostenuto la non illegittimità costituzionale della disciplina sopra citata in base alle seguenti principali argomentazioni:

    a) la procedura disegnata non sarebbe in contrasto con l’art. 133 Cost., in quanto la norma costituzionale riguarderebbe solo le ipotesi in cui, a circoscrizioni provinciali stabilite, uno o più Comuni intendano passare da una Provincia ad altra limitrofa ovvero promuovere la istituzione di una nuova
    Provincia, mentre l’art. 17 del D.L. n. 5/2012 introduce un disegno generale di riordino che non potrebbe essere condizionato ad iniziative dei Comuni;
    b) i Comuni medesimi sarebbero comunque adeguatamente rappresentati dal Consiglio delle autonomie locali, cui è affidato il compito di formulare l’ipotesi di riordino;
    c) i requisiti minimi per il mantenimento della Provincia, concretamente individuati dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012, costituirebbero corretta attuazione del disposto dell’art. 17, comma 2, del D.L. n. 95/2012. Tale deliberazione, pur introducendo vincoli eigidi, astrattamente suscettibili di trovarsi in contrasto con indicatori qualitativi” di omogeneità territoriale e sociale, sarebbe comunque esente da vizi di costituzionalità, trattandosi di definire circoscrizioni di enti “di area vasta” e, in ogni caso, l’atto legislativo conclusivo della procedura potrebbe discostarsi dai suddetti requisiti minimi, operando eventuali aggiustamenti su richiesta esplicita e motivata dei Comuni interessati.
    Rispetto a tali prospettazioni riteniamo di esprimere un nostro diverso avviso.
    L’art. 133 Cost. dispone: “Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell’ambito d’una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione”.
    Come meglio si vedrà tra poco, secondo giurisprudenza costante della Corte costituzionale tale iniziativa può estrinsecarsi in due soli modi: deliberazione
    dei consigli comunali o referendum delle popolazioni residenti nei Comuni.
    Ma essa, secondo tale giurisprudenza, non può essere in nessun modo esclusa e deve riguardare i Comuni direttamente interessati al mutamento delle circoscrizioni provinciali o all’istituzione di nuove Province.
    Né vale più di tanto cavillare sul significato della parola “riordino” utilizzata dall’art. 17, comma 3, del D.L. n. 95/2012. Infatti, anche se si volesse
    paradossalmente affermare, cosa già in se stessa improponibile, che da tale riordino, in nome del principio di continuità istituzionale, non sortiscono delle Province nuove, non si può comunque negare che, in seguito alle procedure previste, si arrivi a dei mutamenti delle circoscrizioni provinciali che a norma dell’ art. 133 Cost. richiedono, appunto, l’iniziativa dei Comuni interessati.
    Non sembra dunque condivisibile circoscrivere il campo di efficacia della
    disposizione costituzionale, ritenendo che essa riguardi solo ipotesi di carattere specifico, posto che una tale limitazione non è in alcun modo prevista dall’art. 133 Cost. che, al contrario, pone una regola generale, suscettibile di applicarsi a tutti i casi di “mutamento delle circoscrizioni
    provinciali”. L’interpretazione riduttiva, sostenuta dal prof. Onida, è quindi non condivisibile, perché in diretto contrasto con la lettera della disposizione costituzionale e con il canone ermeneutico fondamentale in forza del quale in claris non fit interpretatio: pretese esigenze generali possono, certamente, indurre l’interprete a sottolineare le eventuali difficoltà pratiche, ma non legittimano interpretazioni svalutative dell’enunciato costituzionale, del quale – al più – potrà esclusivamente caldeggiarsi la revisione.
    La regola di cui all’art. 133 Cost. non può nemmeno ritenersi ottemperata dal fatto che l’art. 17, comma 2, del D.L. n. 95/2012 prevede che i Consigli delle autonomie locali approvino una “ipotesi di riordino”. Innanzitutto, un’ipotesi di riordino non è una “iniziativa”, in quanto da un punto di vista tecnico giuridico non si qualifica come un atto d’impulso di un procedimento o di una fase procedimentale. In secondo luogo l’art. 17 rimette la formulazione della proposta di riordino da inviare al Governo non già ai Consigli delle autonomie locali, ma alla Regione. Va inoltre sottolineato che il Consiglio delle autonomie locali è un organismo rappresentativo di tutti gli enti locali presenti in una Regione e quindi di norma include oltre i rappresentanti dei Comuni anche altri soggetti, come i presidenti delle Province. Dunque, i deliberati dei Consigli delle autonomie non possono essere ricondotti ai soli Comuni, né,
    tanto meno, ai Comuni direttamente interessati ai mutamenti delle circoscrizioni provinciali.
    Obiezioni di analogo tenore possono essere mosse al comma 3 dell’art. 17, nella parte in cui, in assenza dei Consigli delle autonomie, prevede che l’“ipotesi di riordino” possa essere formulata dall’ “organo regionale di raccordo tra regioni ed enti locali”, organo che ha struttura e natura funzionale assolutamente inadatta ad ottemperare alle previsioni di cui all’art. 133 Cost., trattandosi di un organo misto formato da rappresentanti della Regione e delle diverse categorie di enti locali e che spesso vede partecipi ulteriori soggetti.
    Ad esempio, nella Regione Basilicata, dove sarebbe chiamato concretamente ad intervenire, tale organo di raccordo è composto dal Presidente della Regione e dai Presidenti dell’Anci, Upi, Uncem, e dal Presidente dell’Associazione degli amministratori degli enti locali.
    Non a caso il citato comma 3 dell’art. 17 del D.L. n. 95/2012 finisce con
    l’escludere testualmente la suddetta iniziativa dei Comuni, in quanto stabilisce
    che “Le ipotesi e le proposte di riordino tengono conto delle eventuali iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti
    alla data di adozione della deliberazione di cui al comma 2”. Il senso univoco della norma è il seguente: vengono fatte salve le iniziative comunali eventualmente già prodotte, poi i Comuni non potranno più presentare iniziative, venendo cioè privati di una facoltà ad essi direttamente attribuita dalla Costituzione.
    Ne deriva che l’iniziativa comunale, considerata necessaria dall’art. 133 Cost., viene ad essere elusa dalla disciplina contenuta nell’art. 17, e in essa sostituita dalla diversa sequenza: ipotesi di riordino solo eventualmente formulata dal Consiglio delle autonomie locali (comma 3, primo periodo), seguita dalla proposta di riordino della Regione, formulata sempre in assenza
    dell’iniziativa dei Comuni, ma, si ipotizza, anche senza l’intervento del Consiglio delle autonomie locali (comma 3, secondo periodo, secondo cui “Entro venti giorni dalla data di trasmissione dell’ipotesi di riordino o,
    comunque, anche in mancanza della trasmissione, trascorsi novantadue
    giorni dalla citata data di pubblicazione, ciascuna regione trasmette al Governo, ai fini di cui al comma 4, una proposta di riordino delle province ubicate nel proprio territorio, formulata sulla base dell’ipotesi di cui al primo periodo”).
    L’incostituzionalità della procedura delineata dall’art. 17 del D.L. n. 95/2012
    trova decisiva conferma nella giurisprudenza della Corte Costituzionale. La Corte ha avuto occasione di pronunciarsi due volte sulla questione con le sentenze n. 347 del 1994 e n. 231 del 2001. In entrambi i casi ha chiaramente affermato che, nell’ambito dei procedimenti legislativi statali di mutamento delle circoscrizioni provinciali o di istituzione di nuove province, è
    tassativamente necessario acquisire le delibere dei consigli comunali interessati, pur se esse possono intervenire in diverse fasi procedimentali.
    Quanto al rapporto tra l’art. 17 del D.L. n. 95/2012 e la deliberazione del Consiglio dei Ministri da esso prevista e poi effettivamente adottata il 20 luglio 2012, è possibile riscontrare un secondo profilo di incostituzionalità, identificabile nella generale violazione della riserva di legge assoluta e rinforzata prevista dall’art. 133 Cost. Tale articolo dellaCostituzione dispone, infatti, che mutamenti delle circoscrizioni provinciali e istituzioni di nuove province debbano avvenire con leggi della Repubblica. Nessuno ha mai messo
    in discussione che si tratti di riserva assoluta nel senso che è la legge a dover
    indicare le circoscrizioni, tanto che anche il comma 4 del citato art. 17 prevede, quale atto conclusivo della procedura, un atto legislativo “di iniziativa governativa”. Ma lo stesso art. 17, al comma 2, si limita ad una mera enunciazione dei criteri della dimensione territoriale e della popolazione
    residente in ciascuna Provincia senza definire alcuna loro parametrazione neanche di massima, mentre la loro effettiva individuazione viene attribuita al Governo, il quale risulta così dotato di un potere né vincolato né discrezionale, ma assoluto e, in definitiva, arbitrario. Dunque, l’art. 17 pone una norma in bianco, rimettendo alla deliberazione del Consiglio dei Ministri non già l’attuazione del precetto, ma direttamente la sua individuazione,
    individuazione che condiziona tutto il successivo iter decisionale, delineando un sostanziale trasferimento di potere decisionale dal legislatore all’esecutivo.
    Tale trasferimento di potere risulta dunque del tutto incompatibile con l’istituto della riserva di legge assoluta, peraltro rinforzata dagli adempimenti procedurali previsti in favore dei Comuni e delle Regioni interessati.
    L’attribuzione di potere all’esecutivo è talmente indeterminata non solo da potersi ritenere sicuramente in violazione della riserva assoluta, ma finanche del principio di legalità in senso sostanziale, che impone al legislatore di attribuire formalmente il potere all’Amministrazione, ma anche di
    individuarne presupposti e condizioni per il suo esercizio. La ratio dell’ art. 133 è evidente: presidiare con idonee garanzie i profili identitari delle popolazioni e dei territori: l’art. 17 del D.L. n. 95/2012, oltre a violarne la lettera, viola anche la sostanza profonda della disposizione costituzionale.
    Infine, non è condivisibile nemmeno sostenere che l’individuazione dei requisiti minimi, come effettuata dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri (territorio non inferiore a 2.500 Kmq e popolazione non inferiore a 350.000 abitanti), pur se astrattamente suscettibile di trovarsi in contrasto con qualsiasi indicatore “qualitativo”, sarebbe esente da vizi di costituzionalità, in quanto, comunque l’atto legislativo conclusivo della procedura potrebbe discostarsene, operando eventuali aggiustamenti su richiesta esplicita e
    motivata dei Comuni interessati. La posizione appare intimamente contraddittoria. L’ iniziativa dei comuni a norma dell’ art. 133 ha un pregio costituzionale legato ai valori autonomistici e identitari e perciò è prevista come necessaria, viceversa le procedure di cui al D.L. 95/2012 fanno di tutto per espungerla. Il recupero meramente eventuale che se ne ipotizza nella sede
    dell’atto legislativo finale è una sorta di ammissione di colpa a carico delle suddette procedure. La richiesta dei comuni di essere sentiti all’interno del procedimento legislativo finale non trova alcuna base legale nel testo dell’art. 17 del D.L. n. 95/2012, che viceversa pretermette totalmente il ruolo dei Comuni stessi. La conclusione sarebbe che nel nostro Paese chiunque può esprimere la propria opinione su un procedimento legislativo in corso,
    finanche i comuni.
    Le argomentazioni sin qui esposte ci consentono di affermare che il D. L.
    95/2012 delinea una sostanziale lesione del principio autonomistico sancito dall’art. 5 Cost. che detta: ”La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e
    promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’ autonomia e del decentramento”.
    Analogamente dette argomentazioni ci portano a ravvisare un’ evidente violazione del principio di eguaglianza e del criterio di ragionevolezza, sanciti dall’ art. 3 Cost.. Da un lato, in base a parametri rigidamente quantitativi, si trattano in modo eguale situazioni differenti. Dall’altro un metro quadro in più o in meno, un abitante in più o in meno, a dispetto delle caratteristiche sociali, geografiche, economiche di ciascun territorio, decidono sulla vita e sulla
    morte di un ente territoriale rappresentativo: situazioni uguali vengono trattate in modo radicalmente diverso.
    2. Sull’illegittimità della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012 e sulla sua autonoma impugnabilità.
    La deliberazione del Consiglio dei Ministri costituisce attuazione del comma 2, primo periodo, dell’art. 17, secondo cui “Entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Consiglio dei Ministri determina, con apposita deliberazione, da adottare su proposta dei Ministri dell’interno e della pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il riordino delle province sulla base di requisiti minimi, da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in
    ciascuna provincia”.
    Il Prof. Vincenzo Cerulli Irelli, in data 3 settembre 2012, ha reso un parere all’UPI, nel quale ha sostenuto le seguenti principali argomentazioni:
    a) gli atti previsti dall’art. 17 del D.L. 95/2012 sostanzialmente ricalcherebbero lo scherma di cui all’art. 133 Cost.;
    b) in quanto prodromici all’atto legislativo di riordino, avrebbero tutti natura
    propositiva, consultiva e non vincolante: nello specifico la deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012 non sarebbe impugnabile con ricorso al TAR, in quanto appunto atto endoprocedimentale, che vincola le successive proposte assunte in sede regionale ma, di per sé, non idonea a produrre in via diretta una lesione attuale per le Province.
    Per quanto riguarda l’assunto sub a) le argomentazioni da noi in precedenza esposte, mostrano come, viceversa, il citato art. 17 sia da ritenersi costituzionalmente illegittimo, sicché non ci sembra necessario ritornare sul punto.
    La questione sub b) concernente la natura della deliberazione che, se qualificata come semplice atto endoprocedimentale, sarebbe effettivamente non impugnabile dinnanzi al giudice amministrativo merita un approfondimento specifico. Tuttavia, anch’essa può essere sostanzialmente superata in quanto la stessa giurisprudenza amministrativa citata dal prof. Cerulli Irelli non esclude, a particolari condizioni, la possibilità di impugnare atti endoprocedimentali. Il Consiglio di stato stabilisce, infatti, che «La possibilità di un’impugnazione anticipata è di carattere eccezionale ed è riconosciuta solo in rapporto a fattispecie particolari, ossia ad atti di natura vincolata idonei a conformare in maniera netta la determinazione conclusiva» e che «l’interesse a ricorrere consiste nel vantaggio concreto derivante all’istante dall’accoglimento del ricorso e postula, perciò, che l’atto impugnato produca in via diretta una lesione attuale della posizione giuridica sostanziale
    dedotta in giudizio», con la conseguenza che gli atti a contenuto generale non sono impugnabili, in quanto privi di effetti lesivi diretti, autonomi ed immediati, che si verificheranno «se ed allorquando siano adottati i conseguenti atti applicativi» (Cons. St., sez. III, 13-04-2011, n. 2292). Ne deriva che, già alla stregua della medesima giurisprudenza, per escludere l’impugnabilità della deliberazione del Consiglio dei Ministri occorrerebbe dimostrare:
    1. che essa non sia idonea a “conformare in maniera netta” la determinazione conclusiva, ossia l’atto legislativo conclusivo di riordino;
    2. che la stessa sia un atto generale e sia priva di effetti lesivi diretti, autonomi
    ed immediati a carico delle Province che, non rispettando i requisiti minimi indicati, sono destinate ad essere soppresse.
    Quanto al punto sub 1., il prof. Cerulli Irelli afferma che «i criteri dimensionali prestabiliti dovranno servire di orientamento alla proposta legislativa del Governo» (pag. 4) e che «L’effetto che produce la cit. deliberazione del Consiglio dei ministri, è quello di vincolare le successive proposte assunte in sede regionale, le quali a loro volta costituiscono la base della successiva proposta legislativa, ma non ne determinano il contenuto».
    Dunque, mentre la giurisprudenza amministrativa ritiene sufficiente che l’atto sia idoneo a conformare la determinazione conclusiva, il prof. Cerulli Irelli disconosce tale idoneità sulla base dell’assunto per il quale, in quanto atto legislativo, l’atto conclusivo della procedura non ne è vincolato.
    L’argomento prova troppo. Non si piegherebbe, a questo punto, il senso di una procedura – quella delineata nell’art. 17 – minuziosamente scandita anche sul piano temporale nelle sue fasi, nella quale l’atto conclusivo non risulti in alcun modo conformato da una deliberazione, contenente rigidi requisiti minimi, proveniente dallo stesso soggetto (il Governo) che all’esito della procedura medesima dovrà presentare il progetto di legge, o forse anche un decreto legge, finalizzato al riordino.
    Ci sembra innegabile il fatto che, in quanto formulato “sulla base” delle proposte regionali che, a loro volta, sono vincolate dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri, l’atto legislativo di iniziativa governativa non ne rappresenta certo la pedissequa ripetizione, ma è dagli stessi atti sostanzialmente conformato. Del resto, come riconosciuto anche da Onida nel parere in precedenza citato, «apparirebbe indubbiamente contraddittorio un processo di riordino in cui lo stesso legislatore statale da un lato imponesse rigidi requisiti da rispettare in sede di proposta, dall’altro si riservasse di modificare quest’ultima magari accogliendo istanze localistiche” che non abbiano potuto trovare accoglienza nella stessa proposta» (pag. 19 s.).
    Ne deriva che la deliberazione del Consiglio dei Ministri, pur formalmente non vincolandolo, sostanzialmente conforma nel suo contenuto l’atto legislativo di iniziativa governativa, in ipotesi anche un decreto legge, il quale potrà discostarsene solo per aspetti particolari o marginali.
    Per quanto riguarda l’assunto sub 2., in forza del quale la deliberazione del 20 luglio sarebbe un atto generale privo di effetti lesivi diretti, autonomi ed immediati a carico delle Province è, viceversa, innanzitutto da escludere che la deliberazione sia un atto generale.
    E’ pacifico che, per essere qualificato come a contenuto generale, l’atto deve avere come destinatari una dei soggetti individuabili soltanto a posteriori, non a priori, cioè nel momento in cui l’atto viene adottato. L’esempio tipico è quello del bando di concorso, nel quale i soggetti destinatari sono individuabili solo una volta scaduto il termine per la presentazione della domanda di partecipazione. La deliberazione del Consiglio dei Ministri, invece, solo apparentemente ha contenuto generale e astratto mentre il suo vero contenuto è concreto. Infatti nel momento in cui il Consiglio dei ministri ha fissato le suddette soglie dimensionali di superficie e di abitanti era perfettamente in grado di conoscere quali Province rientravano in esse e quali no.
    L’art. 1, comma 1, della deliberazione del Consiglio dei Ministri utilizza enunciati linguistici formulati in senso generale e astratto: “dimensione territoriale non inferiore a duemilacinquecento chilometri quadrati” e “popolazione residente non inferiore a trecentocinquantamila abitanti”, ma la circostanza che i soggetti destinatari siano conosciuti al momento dell’adozione dell’atto, rende la disposizione di contenuto concreto, potendosi immediatamente individuare le Province su cui il provvedimento va ad incidere. Ad evidenziare il contenuto concreto dell’atto impugnato, vale la considerazione che non è necessaria nessuna ulteriore attività da parte di un
    qualsiasi soggetto dell’ordinamento per collegare alla deliberazione del Consiglio dei Ministri gli enti provinciali coinvolti.
    Infine, sul punto appare significativo, per escludere il contenuto generale dell’atto impugnato, anche l’argomento a contrario, dovendosi dimostrare che nel momento dell’adozione dell’atto non fossero conosciute o conoscibili le Province che si collocavano al di sotto delle individuate soglie minime. Ma ciò sarebbe possibile solo volendo ritenere che, paradossalmente, il Consiglio dei ministri nell’atto di provvedere fosse inconsapevole delle Province
    destinatarie.
    Per escluderne l’impugnabilità, residuerebbe la dimostrazione che la deliberazione del Consiglio dei Ministri sia inidonea a produrre effetti lesivi diretti, autonomi ed immediati a carico delle Province che non rientrano nei requisiti minimi dalla stessa individuati. Il fatto che, al contrario, la deliberazione governativa produca siffatti effetti è dimostrabile attraverso due passaggi, il primo attinente all’individuazione di eventi pregiudizievoli per la sfera soggettiva delle Province stesse, il secondo concernente il rapporto di
    causalità tra la deliberazione e detti eventi.
    Quanto ai primi, basti pensare alla soppressione delle linee di credito da parte degli enti bancari che, nella ragionevole revisione di una loro soppressione, già da oggi stanno negando ad alcune Province la possibilità di accedere al credito, nonché all’incertezza istituzionale nella quale le stesse sono piombate con la conseguente impossibilità di effettuare programmazioni
    e pianificazioni della futura azione amministrativa, a detrimento del principio
    costituzionale del buon andamento e della capacità rappresentativa dell’ente.
    Quanto al rapporto di causalità tra detti eventi e la deliberazione del Consiglio dei Ministri, esso è sussistente una volta dimostrato, secondo lo schema della regolarità causale, il nesso di derivazione tra la deliberazione e l’evento. In via generale, appare sufficiente dimostrare che tra gli eventi dannosi e la deliberazione del Consiglio dei Ministri sussista un rapporto di causalità tale per cui, in assenza della seconda, i primi non si sarebbero verificati, ponendosi la deliberazione quale condicio sine qua non dei
    medesimi. Posto che l’attendibilità dell’ipotesi (la deliberazione del Consiglio
    dei Ministri ha prodotto gli eventi pregiudizievoli) deve essere sorretta dagli
    elementi di conferma disponibili in relazione al caso concreto, ne deriva che
    tutte quelle Province le quali, non rientrando nei requisiti minimi indicati nella deliberazione del Consiglio dei Ministri, sono destinate ad essere soppresse,
    ove alleghino al ricorso introduttivo del giudizio innanzi al TAR elementi concreti dai quali desumere un nesso di derivazione tra la deliberazione stessa ed eventi pregiudizievoli del tipo di quelli innanzi sinteticamente richiamati, sono titolari di un concreto interesse a ricorrere avverso la suddetta deliberazione.
    La deliberazione del Consiglio dei Ministri, in quanto atto non generale, è peraltro palesemente illegittima per violazione dell’art. 3, comma 1, della Legge n. 241/90, in quanto nello stabilire concretamente i requisiti di superficie e di popolazione indicati nel D.L. n. 95/2012, non motiva in ordine alle scelte secondo cui si è provveduto alla individuazione quantitativa dei suddetti requisiti minimi. La stessa, inoltre, in quanto emessa in forza di una
    disposizione di cui si può fondatamente sostenere l’illegittimità costituzionale,
    sarebbe comunque nulla per difetto assoluto di attribuzione all’esito del giudizio di costituzionalità sulla prima.

    Cagliari, 7 settembre 2012. Prof. Pietro Ciarlo
    http://www.leggioggi.it/2012/09/14/la-soppressione-delle-province-e-incostituzionale-ecco-perche/

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