10 Agosto 2012

Rigassificatore: dieci domande alla capitaneria di porto

Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta all’Ammiraglio Antonio Basile, scritta da Giorgio Trincas, Professore di Progetto Navi e di Propulsione Navale e Radoslav Nabergoj, Professore di Tenuta della Nave al Mare e di Navi Offshore, entrambi componenti del Tavolo Tecnico Rigassificatori Trieste.

Egregio Ammiraglio Basile,

Abbiamo letto la sua intervista sul Piccolo del 5 agosto. In quanto docenti di Ingegneria Navale dell’Università di Trieste, conosciamo ovviamente la Convenzione Internazionale per la Sicurezza in Mare (SOLAS-IMO) e le norme di sicurezza introdotte in Italia per impianti di rigassificazione. Abbiamo esaminato la documentazione tecnica del rigassificatore di Trieste relativamente all’utilizzo del mare ed all’operatività delle navi gasiere nel Golfo. Tralasciando le palesi irregolarità del progetto di Zaule, ci consenta di rivolgerle pubblicamente alcune domande riguardanti l’impatto del rigassificatore sul futuro traffico portuale.

Ha considerato che le norme SOLAS-IMO impongono che, per tutto il tempo necessario allo scarico del gas, le navi metaniere devono avere la prua al mare ed i motori attivati, con il canale navigabile libero, per potersi allontanare immediatamente, senza attendere i rimorchiatori, in caso di incidente e/o incendio a bordo o in banchina? Come ritiene di gestire un’emergenza con il canale impegnato, ad esempio, da una petroliera?

Vorremmo sapere se la Capitaneria ha valutato che potrebbero presentarsi situazioni di emergenza anche in condizioni di bora forte. Sa che le simulazioni di operatività delle navi nel bacino portuale, presentate dai proponenti, sono state eseguite solo con venti deboli? Tra l’altro, per la natura del carico trasportato, i rischi connessi alle operazioni di scarico del gas liquido sono esasperati per la ristrettezza del bacino portuale e per la presenza di insediamenti industriali pericolosi (effetto domino). Per tutte queste ragioni, la Capitaneria avrebbe dovuto far eseguire, o quantomeno richiedere all’Autorità Portuale, una vera “analisi di rischio” del traffico in Porto con l’inserimento delle “zone di sicurezza” per le gasiere in evoluzione o in fase di attracco e scarico. Per non parlare della cosiddetta “security”, ovvero di possibili sabotaggi o attacchi terroristici.

Lei certamente conosce l’ordinanza n. 63/2008 della Capitaneria di Porto di Chioggia con relativo “Regolamento di Sicurezza” per il rigassificatore marino, fissato al basso fondale, di Rovigo(emessa in ottemperanza alle disposizioni della Circolare IMO SN1/Circ.257 11/12/06). Sa che intorno al rigassificatore di Porto Tolle l’Italia ha dovuto introdurre un’area di raggio di circa 3000 metri dove è fatto assoluto divieto di ancoraggio, ed una zona di sicurezza di 2000 metri dove sono vietati il transito, l’ancoraggio, lo stazionamento di navi in attesa, la pesca e qualsiasi altra attività. Per i rigassificatori terrestri, come quello di Zaule, le distanze di interdizione introdotte all’estero sono di 500 m per Cameron (Golfo del Messico), 900 m per Cook (Alaska), 450 m sia a Chesapeake (Norfolk Virginia), sia a Bradwood (Washington), etc., più una congrua fascia di mare sempre libera (in generale 500 metri su ogni murata nave) per eventuali fughe di emergenza.

Dovrebbe sapere che oggi, come conseguenza del disastro ambientale causato dalla BP, negli Stati USA affacciati sul Golfo del Messico, qualunque mezzo marino che trasporti gas deve consegnarlo a non meno di 65 miglia marine dalla costa. In quegli Stati non verranno più costruiti rigassificatori on-shore e off-shore fissi, ma si andrà verso soluzioni con rigassificatori a bordo di navi speciali.

Infine, cosa si sente di rispondere al Ministro Clini quando afferma (28/02/12) che «un terminale di rigassificazione comporta dei vincoli per il territorio circostante e per la movimentazione dei traffici del porto»?

Egregio Ammiraglio, dalla sua intervista traspare un certo suo scetticismo sulla realizzabilità della Piattaforma Logistica e del Terminal Traghetti alle Noghere, in presenza del rigassificatore. Non le pare che il rigassificatore sarebbe incompatibile col raddoppio del molo VII e col nuovo molo VIII? Forse ha presso atto che «il nuovo Piano Regolatore del Porto non viene rilasciato a causa del rigassificatore» (Ministro Clini, 24/07/12) e che concetto analogo ha sostenuto anche il principale terminalista («il traffico di gasiere, petroliere e portacontainer non sarebbe conciliabile con il rigassificatore» Maneschi, 29/07/12)…

Fiduciosi in una sua pubblica risposta, Le inviamo cordiali saluti.

A titolo personale, I componeti del Tavolo Tecnico Rigasssificatori Trieste:

Giorgio Trincas, Professore di Progetto Navi e di Propulsione Navale

Radoslav Nabergoj, Professore di Tenuta della Nave al Mare e di Navi Offshore

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20 commenti a Rigassificatore: dieci domande alla capitaneria di porto

  1. Doriano Gulli ha detto:

    evidente che a Roma hanno deciso che Trieste deve morire di fame una volta per tutte.

  2. marco cossi ha detto:

    che impression quella foto .. da mujesan veder quella foto me fa forte paura

  3. Maximilian ha detto:

    Quanto distanti sono questi processori dal mondo reale…

  4. Paolo Geri ha detto:

    Della serie “Come far far un figurin de mona all’ ammiraglio Basile”. 🙂

  5. Maximilian ha detto:

    Trincas rilascia interviste sparando a zero su tutto…sa tutto lui ovviamente ma le sue figure di palta me le ricordo..manie di protagonismo

  6. bonalama ha detto:

    palta o no palta le domande GA senso. Spetemo le risposte inveze!

  7. Gastone ha detto:

    Maximilian, la tua affermazione vale nulla se non supportata da documentazione, anzi a me sembra il solito rosicare di qualcuno che ha “manie di protagonismo”

  8. Gianfranco Badina ha detto:

    Prima di fare delle critiche all’Ammiraglio Basile bisognerebbe essere e non “sentirsi” competenti in questioni marittime. Tutte le opinioni sono legittime ma non bisognerebbe affermare cose inesatte. I professori Trincas e Nabergoj sono degli ottimi tecnici ma evidentemente non conoscono a fondo le normative.
    Sulla SOLAS non esiste alcuna prescizione sulle norme che devono seguire nei porti le navi gasiere.
    Per quanto riguarda la circolare IMO SN1/Circ.257 11/12/06 non prescrive alcunchè e non potrebbe farlo. Sono circolari emesse periodicamente dall’Organizzazione per segnalare l’istituzione di aree con limitazioni al traffico istituite nelle varie zone del mondo. (Prima di prendere degli abbagli bastava forse premurarsi di leggere la circcolare in questione).
    A Porto Viro sono state stabilite delle aree di interdizione molto vaste proprio perchè il terminale si trova in mare aperto, dove eventuali impatti con navi in navigazione avverebbero a velocità elevate e quindi molto più devastanti di quanto potrebbero essere nelle aree portuali ove le navi si muovono a velocità molto più basse, sotto la sorveglianza di un pilota e spesso con l’ausilio di rimorchiatori. Di fatto, attorno a tutti i terminali off-shore, anche non per gasiere, sono delimitate delle zone di sicurezza abbastanza ampie. Le norme prescritte dalla Capitaneria di Porto di Chioggia non impongono nulla di straordinaria entità, sono molto simili a quelle previste per gli impianti di carico o scarico di merci pericolose (vedi petrolio greggio) Basta dare un’occhiata al Regolamento vigente alla SIOT. A proposito, nessun regolamento impone che i motori siano “attivati” bensì pronti all’uso e cioè, semplicemente, che sia mantenuto il personale di guardia.

  9. Carlo ha detto:

    Mi fa davvero piacere avere il Com.te Badina tra gli interlocutori di questo “forum”.
    Un argomento che era stato affrontato, già lo scorso Aprile, riguarda i criteri di sicurezza per il transito e permanenza delle gasiere all’interno della zona portuale ed ormeggio, con vari richiami al parere della Cap. Porto (nota 35366 del 15.11.2006) e alla specifica ordinanza attualmente in vigore (08/06, 11/05/2006, aggiornata con ord. 70/11). Cfr. articolo “Zanzottera – Niente scaricabarile sui vincoli legati al rigassificatore: è in gioco il futuro del Porto”.
    La domanda rimasta senza risposta era:
    “Mi sai dire cosa succede quando una gasiera è ormeggiata al molo del terminal GNL ? Cosa garantisce che un requisito basilare che supporta lo schema di sicurezza presentato da G.N. [il canale è libero] sia rispettato ?”
    La presenza/permanenza delle gasiere all’ormeggio rischia o no di “strozzare” gli altri traffici ?

  10. nick ha detto:

    @9 contributo molto interessante.

  11. Gianfranco Badina ha detto:

    Rispondo a Carlo.
    Non credo che sia indispensabile mantenere il canale di accesso al porto petroli libero durante la sosta di una metaniera all’eventuale rigassificatore. Ricordo che tale canale è stato dragato ad uso delle grosse petroliere dirette ai pontili SIOT a causa dei loro elevati pecaggi. Le altre navi possino muoversi liberamenbte nelle acque del Valone perchè i fondali sono sufficienti a navi anche di notevole tonellaggio (vedi supercontainers e bulk-carrier dirette alla banchina della Lucchini.
    La necessità di disporre del canale libero per l’uscita in emergenza di ua nave gasiera sarebbe un fatto del tutto eccezionale. Principalmente dovrebbe verificarsi un serio incidente alla nave od all’impianto a terra (cosa statisticamente molto improbabile). Nel primo caso, se l’incidente fosse grave non ci sarebbe alcuno a bordo per condurre l’unità al largo. In caso di incidente a bordo non grave ma in possibile peggioramento o nell’ipotesi di un incidente all’impianto a terra che possa compromettere la sicurezza della gasiera, questa verrebbe allontanata. Solamente una metaniera molto grande ed ancora a pieno carico o quasi (quindi all’inizio della discarica) avrebbe bisogno di trovare la canaletta libera, altrimenti potrebbe muoversi in qualunque direzione. Se il canale fosse in uso da parte di una petroliera (normalmente poche ore al giorno, se la stessa si trovasse nella prima metà dell’area dragata potrebbe venir riportata al largo nei tempi necessari alla gasiera per impegnare il canale. Quindi, ferme restando le considerazioni precedenti, il problema sussiterebbe solamente con la presenza una petroliera giunta a più della metà del tragitto. In questo caso, estremamente improbabile, si potrebbe anche, in estrema ratio, far incagliare la supergasiera, senza grossi danni data la bassa velocità ed il fondale fangoso del Valone.
    Del resto gli stessi problemi possono averlo anche le petroliere ormeggiate al terminale dell SIOT che, in caso di incendio, andrebbero allontanate dai pontili e non mi sembra che tale ipotesi ha reso fino ad ora necessaria l’interdizione del canale nei periodi di ormeggio della navi cisterna.
    Faccio notare che i terminali GNL presenti in molti porti del mondo convivono con il traffico anche intenso di tali scali. Ad esempio posso ricordare il porto di Rotterdam (ove le navi gasiere condividono con tutto il resto del traffico l’ultimo tratto del fiume Maas), di Zeebrugge, in Belgio (ove il porto è collegato alle acque libere da un lungo canale) o del grosso impianto inglese di Isle of Grain (ove le navi NLG condivisono la navigazione sul fiume Medway con le navi dirette al porto di Sheemess ed al vicino terminale container per poi confluire con quello molto più intenso della foce del Tamigi)

  12. Carlo ha detto:

    Grazie per la risposta.
    Il rischio, che probabilisticamente è molto basso, assume – nel contesto della baia di Zaule – una significatività elevata in quanto la pericolosità è diversa da quella del mare aperto oppure di tratti di canali o foci di fiumi non altrettanto popolati.
    Se le alternative tecnologiche esistono (ricordo i 2 progetti italiani di FSRU [navi rigassificatrici ormeggiate al largo]: Livorno e Falconara Marittima) – e costano anche meno dell’impianto a terra – mi (Le) chiedo:
    – perché mai devo assumermi questo rischio e non pretendere che l’impianto venga collocato – analogamente a quei progetti – fuori dalle dighe, in un luogo che non intralcia il traffico (ad esempio quello proposto per l’impianto off-shore) ?
    – perché dobbiamo arrivare a questo punto dell’iter autorizzativo senza ancora conoscere quali saranno i vincoli ai traffici che verranno imposti dalla Capitaneria (con o senza IMO) ?

  13. Gianfranco Badina ha detto:

    Non mi sento di dire nulla sulla pericolosità di un impianto di rigassificazione perchè non ne ho la competenza necessaria. Da osservatore esterno posso però notare che ci sono nel mondo circa 70 rigassificatori serviti da 350 navi che compiono circa 4000 viaggi all’anno e l’unico incidente grave finora registrato risale al lontano 1944 a Cleveland (USA) quando le tecnologie erano di gran lunga più antiquate.
    Non è vero che i sistemi off-shore siano più economici. Sono molto più costosi e richiedono tempi di progettazione e di realizzazione maggiori. Del resto le realizzazioni off-shore sono state fatte nelle zone prive di grandi porti o con impianti portuali che non presentano fondali tali da permettere l’ormeggio delle grosse metaniere odierne. Più oneroso è anche la gestione di esercizio che deve prevedere i costi di trasferimento del personale in mare aperto e i periodi di non operatività a causa di condizioni meteomarine avverse. Alle possibili criticità nell’operatività di una centrale di rigassificazione si aggiungono anche i pericoli rappresentati da repentini peggioramenti delle condizioni atmosferiche. Il progetto FSRU di Falconare risulta più economico perchè sfrutta in parte il già esistente terminale petrolifero della Raffineria IP. Potrebbe essere più economico il nuovo sistema “Offshore Regasification Gatewey” dove la rigassificazione avviene sulle stesse metaniere che trasportano il prodotto, opportunamente modificate, ma solamente se i punti di caricazione sono abbastanza vicini e quindi bastano due o tre navi per far fronte alla richiesta. Dipende poi dalla distanza a cui la boa di ormeggio è ancorata. Nel caso del ORG previsto al largo di Porto Recanati si parla di 34 chilometri e quindi si può immaginare che un gasdotto di tale lunghezza ha un costo elevato.
    La regolamentazione dell’attività di un eventuale terminale di rigassificazione sarà contenuta nell’ordinanza che la Capitaneria di Porto emetterà una volta che l’esecuzione ed il relativo progetto saranno certi e ben definiti. Allo stato attuale non vi è alcuna certezza e non si può pretendere che l’autorità marittima tracci delle regole basate su ipotesi. Una certa anticipazione è stata fatta peraltro dall’Ammiraglio Basile quando ha affermato che non vedeva incolpatibilità tra il traffico delle gasiere e quello delle altre navi operanti nello scalo. In seguito a ciò è stata stilata la lettera aperta che ha dato origine a questa dicussione.

  14. Carlo ha detto:

    1) Non mi sento di dire nulla sulla pericolosità di un impianto di rigassificazione perchè non ne ho la competenza necessaria.
    => Neanch’io, ovviamente. Quello che dicevo – mantenendo il tutto nell’alveo delle nostre reciproche competenze – è che la pericolosità [hazard] si esprime in probabilità di occorrenza di un fenomeno fisico legato al ciclo industriale. Qui intendiamo la probabilità di un incidente ad una gasiera. Concordo con Lei che la pericolosità intrinseca delle gasiere [ripeto : delle gasiere] non è molto alta (cfr. Suo post n. 12).
    Invece il rischio [risk] tiene conto delle conseguenze di questo pericolo: perdita di vite umane, crollo di edifici, perdite economiche, conseguenze ambientali dell’incidente etc etc. Mi spiego : la stessa gasiera, se tenuta lontana da tutto, ha un rischio basso perché al massimo si compromette la nave e la vita degli imbarcati. A parità di pericolosità, il rischio aumenta man mano che la si avvicina ad un centro abitato e/o a strutture industriali. E qui abbiamo gasiera (quella di cui stiamo parlando), più rigassificatore, più un’altra mezza dozzina di impianti a rischio d’incidente rilevante, praticamente dentro due centri abitati.
    Chi dice che il pericolo è basso, bara. Con il fatto che il pericolo intrinseco delle gasiere è basso, nasconde il fatto che il rischio complessivo a Zaule è molto alto.

    2) Non è vero che i sistemi off-shore siano più economici. Sono molto più costosi e richiedono tempi di progettazione e di realizzazione maggiori.
    => Distinguiamo gli impianti offshore «fissi» GBS (Gravity Based Structure) da quelli offshore « galleggianti » FSRU. I primi – del tipo di quello di Porto Viro – costano più di quelli terrestri tradizionali, i secondi no. Una nave rigassificatrice FSRU non costa più di 350 miloni € (cifra fornita dal TTRT e comunque reperibile in rete), contro i 550 a suo tempo preventivati – senza gasdotto ! – per l’impianto di Zaule. Nel mio post chiaramente mi riferivo al secondo tipo di impianti.

    3) Del resto le realizzazioni off-shore sono state fatte nelle zone prive di grandi porti o con impianti portuali che non presentano fondali tali da permettere l’ormeggio delle grosse metaniere odierne.
    => E allora perché – ancora prima che a Zaule – è stato presentato il progetto per l’impianto off-shore al largo di Grado ? Da quel punto il porto di Trieste mica è tanto lontano…

    4) Più onerosa è anche la gestione di esercizio che deve prevedere i costi di trasferimento del personale in mare aperto e i periodi di non operatività a causa di condizioni meteomarine avverse. Alle possibili criticità nell’operatività di una centrale di rigassificazione si aggiungono anche i pericoli rappresentati da repentini peggioramenti delle condizioni atmosferiche.
    => Circa i maggiori oneri per il trasferimento del personale da terra verso l’impianto, di quali cifre infinitesimali (percentuale sul « giro d’affari ») stiamo parlado ? Mi auguro che a nessuno venga in mente di barattare la sicurezza dei residenti per questi importi !
    In quanto alla non-operatività di un impianto in mare aperto per meteo avversa, ne abbiamo il corrispettivo nella non-operatività di un impianto on-shore quando, nel nostro caso, i venti di bora non consentono l’ormeggio al molo (scenario previsto dal progetto).

    5) Il progetto FSRU di Falconare risulta più economico perchè sfrutta in parte il già esistente terminale petrolifero della Raffineria IP.
    => Per Falconara la « convenienza » riguarda il posizionamento della FSRU nell’area delle strutture petrolifere, già impattata e preclusa al traffico ed alla pesca. Non c’entra la convenienza economica, che altrimenti non spiegherebbe l’analoga scelta fatta per Livorno.

    6) Potrebbe essere più economico il nuovo sistema “Offshore Regasification Gatewey”
    => ben venga ! A questo tipo d’impianto si riferisce il sindaco di Muggia quando parla della « boa tri-nazionale » a servizio di Italia, Slovenia e Croazia, da collocare in un punto scelto di comune accordo tra i 3 Paesi. Io non l’ho menzionato solo perché non è un progetto italiano : si tratta di brevetti stranieri.

    7) Nel caso del ORG previsto al largo di Porto Recanati si parla di 34 chilometri e quindi si può immaginare che un gasdotto di tale lunghezza ha un costo elevato.
    => una lunghezza paragonabile a quella del gasdotto sottomarino che dovrebbe collegare il terminal di Zaule a Grado, passando per il centro-golfo (per raccogliere il gas del terminal off-shore). Questo costo, che andrà sostenuto dal proponente del progetto (Snam rete gas), non è contemplato nella cifra indicata per il progetto di Zaule.

    8 ) La regolamentazione dell’attività di un eventuale terminale di rigassificazione sarà contenuta nell’ordinanza che la Capitaneria di Porto emetterà una volta che l’esecuzione ed il relativo progetto saranno certi e ben definiti. Allo stato attuale non vi è alcuna certezza e non si può pretendere che l’autorità marittima tracci delle regole basate su ipotesi.
    => questo, proprio, non lo reputo accettabile ! Allora di cosa stanno discutendo in Regione (conferenza dei servizi per l’AIA – Autorizzazione Integrata Ambientale) ? E, soprattutto, su che progetti sta discutendo il Comitato Tecnico Regionale per verificare i criteri di sicurezza dell’impianto ?

  15. Triestin - No se pol ha detto:

    me par che el comandante de gasiere pro impianti de rigassificazion e de Gas Naturiel ga le idee sai confuse…de incidenti basta che ghe sia uno per far cambiar le statistiche e la faccia della nostra città, per quanto riguarda le varie note come quella riferida al ” regolamento Siot ” che no esisti ma l’ordinanza n°536/1 febb. 1969 mod.1983 Durante la permanenza in porto, rada o presso i pontili deve essere assicurata la
    continua presenza a bordo del comandante della nave o, in assenza di questi del 1°
    Ufficiale di coperta, nonché del personale necessario e sufficiente a consentire il rapido disormeggio della nave. ( no me par che se parli de solo personal de guardia… )

  16. Gianfranco Badina ha detto:

    Rispondo ancora una volta ma questa sarà per me l’ultimo intervento perchè questo scambio di idee mi sembra molto simile ad un dialogo tra sordi.
    Ribadisco che i sistemi off-shore sono spesso più costosi. Non le sembra illogico che una impresa, che ha il profitto come una delle sue ragioni di essere, vada ad investire in un impianto più costoso? E gli azionisti cosa dicono? La stragande maggioranza dei terminali GNL sono on-coast. Come già detto si opta per il sistema off-shore in mancanza di fondali sufficienti o di attrezzature portuali efficienti. Il porto di Livorno non ha i fondali necessari, si trova in difficoltà anche con le portacointainers più grandi ed è per questo motivo che sta perdendo traffici. Una grande gasiera moderna pesca anche più di 15 metri. Il costo tipico di un terminal GNL e di circa 100 milioni di dollari per bcm/y (miliardi di metri cubi all’anno) Il terminal di Livorno costerà poco più di 600 milioni di euro per una capacità di circa 3,75 bcm/y. Il termminale di Sines in Portogallo è costato 265 milioni di euro per la capacità di 6 bcm/y, quello di Mejillones in Cile 530 mil€ per 5,5 bcm/y, quello di prossima operatività di Swinoujscie in Polonia costerà circa 600/700 mil€ comprese imponenti opere di difesa portuale.
    Il terminale FSPU di Falconara potrà utilizzare tutti i sistemi di ancoraggio e l’isola già presenti per l’ormeggio delle petroliere con conseguente risparmio sulle spese. Posizionare corpi morti, catene ed ancore (normalmente 12 del diametro di 110/120 mm per centinaia di metri di lunghezza) per l’ormeggio delle navi deposito è abbastanza costoso specialmente in posti come Livorno ove i fondali in corrispondenza del terminale sono di circa 120 metri. In questo caso è stata scelta una soluzione SPM (Single Point Mooring). Una torretta di ormeggio ancorata con 6 ancore con catene di 1050 metri alla quale si fissa la prora della nave che può quindi ruotare al vento. L’acquisto della nave deposito Golar Frost riadattata e rinominata FSRU Toscana vale circa 230 milioni di dollari. Sono certamente meno costosi i sistemi LNGRV (Liquefaid Natural Gas Regasification Vessel) nei quali è la stessa nave impiegata per il trasporto che ha alcuni vaporizzatori installati a bordo e può provvedere al rigassificazione in modo autononomo. In questo caso la nave può ormeggiare anche ad una boa potendo ruotare e mantenere la prora al mare. Ha però delle limitazioni abbastanza importanti: i tempi sono più lunghi (ci impiega una a due settimane a completare la discarica) e quindi la massima capacità possibile, in presenza di situazioni sempre ottimali, è di 4 bcm/y (a Trieste ne sono previsti 8).
    La lunghezza da me indicata per i gasdotti è quella necessaria per raggiungere la costa, da qui, in ogni caso, bisogna provvedere alla stesura di una pipe-line per raggiungere la rete di distribuzione del metano. A Livorno la condotta è interrata a sei metri di profondità sotto il Canale Scolmatore fino a raggiungere la stazione di regolazione e misura realizzata a Suese. Se a Trieste la Snam Rete Gas ipotizza una condottz sottomarina fino alla laguna di Grado lo fa per motivi commerciali o di interesse proprio. Si può raggiungere la rete di distribuzioni molto più facilmente e a distante di gran lunga inferiori.
    Mi si contesta l’affermazione che la nave FSRU ha meno operatività in relazione alle condizioni meteomarine citando che anche l’ormeggio al terminale terrestre può venir ostacolato dalla presenza della Bora. La Bora è presente anche al largo con effetti sul mare molto più significativi. Una volta ormeggiata la nave alla banchina non ha più grossi problemi con il vento mentre per un terminal al largo è previsto un limite della forza del vento di 7,5 m/s per l’ormeggio, di 15 m/s per la condizione operativa, di 26 m/s per lo shutdown dell’impianto, di 31 m/s per l’ormeggio della FSRU. In questo ultimo caso, abbastanza frequeste nel Golfo di Trieste, la nave deposito dovreebbe abbandonare il sistema di ancoraggio con successivi tempi lunghi per il riposizionamento. Anche senza vento ma in presenza di moto ondoso la nave FSRU e quella gasiera affiancata si muoverebbero in maniera diversa con conseguente sollecitazioni ai bracci di collegamento e necessità di sospendere la discarica. Un’ultima ragione per preferire un impianto on-coast è rappresentata dal fatto che tali impianti sono ampiamente collaudati e conosciuti alla perfezione, quelli off-shore sono all’inizio con pochi esempi operativi e con priroblemi non ancora del tutto conosciuti.
    Se dicessimo al contabile della società di gestione che la necessità di impiegare il 30% in più di personale (quello adetto alla conduzione dell’imbarcazione appoggio e quello adetto alla neve deposito che rimane a tutti gli effetti un natante da gestire dal punto di vista nautico) di far fronte alle spese per percorrere 120 miglia giornaliere, di perdere un’ora a persona (quella dedicata al trasferimento) per ogni turno di lavoro, la neccessita dell’uso del’elicottero nnei casi avversi, rapprsenta un costo infinitesimale non credo che lo troveremmo d’accordo.
    Il regolamento emanato dalla Capitaneria di Porto di Trieste con ordinanza n. 526/69 del 1/2/1962 include nelle navi soggette a tali norme anche quelle che trasportano “gas compressi, gas liquefatti o refrigerati e gas disciolti sotto pressione”.

    Ora vorrei rispondere a “Triestin – no se pol”. Sarei curioso di sapere quali sono le sue conoscenze ed esperienze in campo marittimo che le permettono di affermare che io ho le idee confuse. Ho molti anni di navigazione alle spalle ed esperienze da Comandante e da Ufficiale di Porto per sentirmi almeno un po’ introdotto nella questione. Quando ho fatto riferimento al Regolamento SIOT volevo citare in modo abbreviato e conciso il “REGOLAMENTO di sicurezza per le operazioni, la sosta ed il movimento delle navi cisterna adibite al trasporto alla rinfusa di prodotti petroliferi e di altre merci pericolose nel porto di Trieste” emesso con l’ordinanza che lei cita. Per personale di guardia si intende quello, di macchina e di coperta, addetto alla navigazione ed alla manovra sotto la supervisione del Comamdante di bordo. Il 1° ufficiale è sempre presente a bordo durante la discarica in quanto responsabile del carico. In caso di emergenza il disormeggio avviene in modo automatico ed istantaneo perchè ai pontili petroliferi i cavi di ormeggio sono assicurati a ganci a terra che possono essere inclinati per il rilascio immediato delle cime.
    Un impianto di rigasificazione non è una bomba atomica che possa cambiare “la faccia della nostra città”. Nel mondo esistono 80 rigassificatori operativi e 45 in fase di realizzazione, di cui 28 solo in Giappone, in stragande maggioranza sistemati nei porti (cito Rotterdam, Barcellona, Bilbao, Singapore, Nagasaki fra tutti) E’ mai possibile che all’estero sono tutti pazzi o talmente privi della giusta considerazione nei confronti di un pericolo di tale gravità. Solo noi siamo capaci di valutare queste cose?
    Non sono pro rigassificatore. Che si faccia a Trieste o in Golfo o che non si faccia per niente mi lascia assolutamente indifferente. Non ho interessi nel campo. I miei interventi sono scaturiti solamente dal fatto che non pensavo che ci fossero tanti esperti di problemi marittimi e volevo lorocontestare alcune affermazioni inesatte.

  17. Carlo ha detto:

    1) “Ribadisco che i sistemi off-shore sono spesso più costosi”. Grazie per essersi corretto: in precedenza avevo letto la sua affermazione (14) in toni più assolutistici.

    2) In quanto al dialogo tra sordi, Lei ha esordito citando il porto di Rotterdam, per poi elencare qui i porti che ospitano impianti di GNL, pretendendo che anche Trieste possa fare altrettanto giusto perché gli altri lo fanno. Io torno a dire: gli esempi riportati andrebbero analizzati uno per uno in termini di “rischio”, vale a dire distanze dai centri abitati e industrie pericolose, elementi di sicurezza passiva (a Trieste il proponente non ha preso in considerazione l’interramento dei serbatoi e relative connessioni), presenza di corridoi / dispositivi di separazione del traffico e – non ultimo – anno di realizzazione, perché le norme e le “sensibilità” sono cambiate nel corso del tempo.

    3) Mi è ora necessario riportare una breve cronistoria dei progetti:
    – Primavera 2002: Endesa (che ha acquistato dall’ENEL la centrale di Monfalcone) propone di trasformare a carbone i gruppi alimentati ad olio combustibile. Favorevoli: Governo (Berlusconi), industriali e sindacati. Contrari: Comune, Provincia di Gorizia, tutti gli ambientalisti e infine la Regione.
    – Aprile 2004: Endesa firma con la Regione e il Comune di Monfalcone un accordo che prevede di trasformare i gruppi ad olio combustibile in un ciclo combinato a metano.
    – Primavera 2004: il presidente della Regione, Illy, suggerisce a Endesa di costruire un terminale di rigassificazione off shore, per diminuire i rischi e la conflittualità con la popolazione.
    – Autunno 2004: Gas Natural, concorrente di Endesa, presenta il progetto per un terminale di rigassificazione nel porto di Trieste, località Zaule, cercando di evitare la procedura VIA – grazie ad una legge del 2000 (Governo Amato) – in quanto “sito industriale dismesso”. Dopo lunghe discussioni, però, il ministero dell’ambiente impone lo svolgimento della VIA.
    – Estate 2005: il progetto di Gas Natural ottiene il Nulla Osta di Fattibilità (con prescrizioni) dal Comando regionale dei Vigili del Fuoco, in base alla Legge “Seveso”.
    – Febbraio 2006: Endesa e la finanziaria regionale Friulia costituiscono la società “Terminal Alpi Adriatico srl”, con lo scopo di costruire il terminale off shore; la società viene presentata alla stampa avendo come testimonial il presidente della Regione, Illy.
    – Febbraio 2006: parte la procedura VIA sul progetto del terminale off shore di Endesa-Terminal Alpi-Adriatico srl, che comprende anche il gasdotto di collegamento con la rete dei metanodotti.
    – Marzo 2006: parte la procedura VIA anche sul progetto del terminale di Gas Natural a Zaule, privo però del gasdotto di collegamento con la rete dei metanodotti.
    Tutto questo per dimostrarLe che non sempre “si opta per il sistema off-shore in mancanza di fondali sufficienti o di attrezzature portuali efficienti”. Le logiche che dettano le scelte industriali possono essere diverse: in questo caso si è trattato di mera concorrenza tra le due società, che all’epoca ancora erano separate. Un tanto spiega anche come, ben avendo il profitto come ragion d’essere, in quegli anni una società O&G abbia pensato di investire in un impianto altrettanto o meno costoso del concorrente (on-shore < off-shore GBR) per sfilargli l'affare da sotto il naso….
    Al giorno d'oggi Gas Natural è proprietaria dei 2 progetti, uno più caro e l'altro di meno. Dei due ovviamente porta avanti quello meno caro che, nel mentre, ha ottenuto il decreto di VIA favorevole.

    4) Sul gasdotto dice che: “…si può raggiungere la rete di distribuzioni molto più facilmente e a distante di gran lunga inferiori”. Ne è proprio sicuro ? Si tratta di raggiungere il nodo della rete dei gasdotti sito a Villesse, confrontando i tratti di percorso via mare (sea-line Trieste-Grado) e quello terrestre, parallelo al tracciato dell'oleodotto TAL (Trieste-Monfalcone). Tra espropri e scavi – prima nel SIN, poi in zone urbanizzate e poi ancora in Carso (zona SIC) – oltre ai tempi per le autorizzazioni (Valutazione d'Incidenza Ambientale, necessarie per le opere nei siti “Natura 2000”, e poi gli interventi compensativi, ecc.) – io non ci metterei la mano sul fuoco.

    5) Altri punti da Lei sollevati riguardano il forte vento di bora che renderebbe difficoltose le manovre delle gasiere dirette agli impianti offshore in Adriatico e l'onerosità dei costi di trasferimento del personale via mare. Beh, entrambi questi “inconvenienti” non sembrano aver infastidito più di tanto l'operatività a Porto Viro, dato che la Edison ha appena ottenuto l'autorizzazione al raddoppio della produttività dell'impianto (decreto VIA n. 435 del 7 agosto 2012).

    6) Entrambi conveniamo che FSRU e LNGRV sono alternative interessanti alle proposte di impianto on-shore ed off-shore GBR. Delle 2 proposte, la prima è osteggiata per problemi di sicurezza antropica, ambientale e per i vincoli ai traffici del porto; la seconda è invisa ai rivieraschi (si provi a parlarne a Grado o a Izola….). Ne abbiamo lungamente discusso in questo sito e sembrerebbe che la LNGV sia la soluzione più logica, se non fosse per la minor capacità (limitata al 50%). Ma dove sta scritto che i 4 miliardi/anno di m3 di una LNRGV, invece degli 8 del progetto di Zaule, non sono sufficienti per il nostro territorio ? Non esiste un Piano Energetico che ne parli, regionale o nazionale che sia. Comunque, se neanche quest'ipotesi va bene, pazienza. Vuol dire che non ci saranno rigassificatori in golfo di Trieste: saremo tutti più sicuri (lo saremo per davvero, oppure solo psicologicamente, ma anche questo conta) e comunque il gas non ci mancherà: progetti per altri rigassificatori fioccano da tutte le parti ed il South Stream avanza !

    Lasciamoci così, aspettando inermi e rassegnati che la Capitaneria emetta – secondo i propri rituali barocchi, con suo comodo e quando lo vorrà – il verdetto sui futuri vincoli ai traffici nel porto….

  18. Carlo ha detto:

    Devo fare una rettifica :
    La propietà del progetto «Terminal Alpi Adriatico» non è detenuta da Gas Natural, bensì da E.ON.
    Endesa vendette nel 2008 a E.ON la centrale di Monfalcone, il progetto di rigassificatore off-shore ed altri asset.
    Endesa è stata acquisita da Gas Natural; successivamente E.ON ha venduto ad A2A la centrale di Monfalcone ma ha mantenuto il progetto di rigassificatore.

  19. Triestin - No se pol ha detto:

    Endesa centrale elettrica de Monfalcone xe stada venduda a A2A, però il progetto off shore de (Endesa) Terminal Alpi Adriatico xe sta cedù invece a E.On.

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