31 Luglio 2012

I Kasabian a Tarvisio, chapeau per il No Borders Music Festival

Lo so che torno su un tema noto ed arcinoto ma credo sia doveroso levarsi il capello, rimetterselo per poi rilevarselo di fronte a chi ha messo in piedi un festival come No Borders. Basta scorrere un po’ i nomi che sono passati da Tarvisio nelle scorse edizioni per capire che qui dietro ci sono grandi teste e grandi cuori. Ben Harper, i King of Convenience, Femi Kuti, Groove Armada, Bjork, Lenny Kravitz, sono più o meno il meglio di ciò che puoi avere se non hai dietro i fantastiliardi di Paperone o grandi stadi da riempire.

Questo dei Kasabian è sicuramente il botto dell’edizione 2012, la data più attesa e più in grado di far presa sul pubblico. Son finiti i tempi infatti in cui ai festival Pizzorno e Meighan suonavano un po’ mestamente per scaldare il pubblico ai Kooks, oggi i macellai armeni sono stelle di prima grandezza e sono in grado di piazzare un bel sold out (o quasi) anche quando suonano in mezzo ai monti. Ironia della sorte, ad aprire il live sono stati chiamati i Charleston da Tolmezzo (di cui sono un fan della primissima ora), che ai Kooks sembrano, come dire, guardare con una certa attenzione.
Il meteo preoccupava un po’ venerdì scorso tant’è che l’allestimento è stato fatto direttamente all’interno del Palasport: c’era un gran pavese di luci tale che sarebbe stato impensabile muovere tutto all’ultimo momento. L’acustica del posto è quella che è, il Palasport è un parallelepipedo di superfici acusticamente riflettenti, non avrei voluto essere quel fonico. Ciò nonostante, calibrando ben bene volumi e pressione sonora, lo show è filato sul velluto, specie a platea piena. Si parte con un estratto da Velociraptor, una Days Are Forgotten che ha la responsabilità di rompere il ghiaccio anche se ben poco ghiaccio poteva esserci nel clima torrido del cubone di cemento tarvisiano. Impressiona, come dicevamo, il light show che accompagna il concerto; siamo abituati a vedere produzioni ben più grosse accontentarsi di molto meno, qui è evidente la volontà di proporre uno spettacolo strutturato e visivamente intenso. La prima parte della scaletta snocciola una hit dopo l’altra; la presenza scenica di Meighan è davvero notevole tant’è che Pizzorno, sorta di frontman-ombra del gruppo, deve mettersi in testa una cofana di capelli davvero bizzarra per caratterizzare il personaggio. Ovviamente siamo sempre italiani per cui basta che uno abbia un nome che suona vagamente italiano e noi lo eleggiamo subito a nostro idolo imperituro, nonostante le chiome a dir poco impresentabili. Tuttavia va detto che tutto quello che ascoltiamo è farina del suo sacco per cui, fatta la tara di quell’incontenibile cespuglio che ha sulla testa, l’anima dei Kasabian è proprio Pizzorno, capace di trovare una buona sintesi fra digressioni zeppeliniane, ammiccamenti alla psichedelia e loop elettronici, in un songwriting che arriva senza mai risultare banale o manierista.

Un momento davvero emozionante è stata la struggente cover di Everybody’s Got to Learn Sometime dei Korgis, passaggio che introduce una cavalcata finale sulle note dei bis, Switchblade Smiles, Vlad the Impaler e Fire che si dilata in un lungo finale. Il vero commiato però è una versione a cappella di “She loves you” dei Beatles, dedicata da Pizzorno e Meighan al pubblico e per occasione trasposta in “We love you”

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