26 Luglio 2012

Sciopero della fame al Cie di Gradisca

Riceviamo e pubblichiamo integralmente

Più di un mese senza cibo. Al Cie di Gradisca si protesta anche in questo modo, un modo che non fa rumore. E che, forse proprio per questo, fa poca notizia.
Hanno iniziato lo sciopero in 48, era il 18 giugno. In tre hanno rifiutato il cibo fino a pochi giorni fa, fino al primo di giorno di Ramadan, quando, in rispetto alla loro fede religiosa e nonostante le loro precarie condizioni di salute, hanno deciso di cominciare i quaranta giorni di digiuno, in cui, oltre a non mangiare, durante il giorno, non si assume nemmeno acqua. Nell’ultimo mese, per lo sciopero della fame, hanno perso oltre dieci chili. L’ente gestore, come prevede la procedura, li monitorava, li pesava e compilava le sue tabelle, ma non li ha mai portati in ospedale, nonostante le loro condizioni fisiche negli ultimi giorni si fossero fatte preoccupanti.
Il 18 giugno, proprio a seguito della visita di una delegazione parlamentare organizzata dal Partito Democratico, i migranti sono stati sottoposti a una dura perquisizione e sono rimasti per giorni chiusi nelle loro celle. “Vi siete comportati male”, sarebbe stato detto loro. Infatti, un detenuto, proprio davanti alla delegazione, aveva deciso di aprirsi la testa sbattendola contro il vetro antisfondamento delle celle esterne, cadendo a terra svenuto; in molti hanno cercato di comunicare e denunciare ai parlamentari le dure condizioni carcerarie a cui sono sottoposti.
Un trattamento che ha subito anche la giovane compagna di uno dei scioperanti: incinta di sette mesi, è stata quasi completamente spogliata e perquisita per poter ottenere solo cinque minuti di colloquio, divisi da un vetro. Un’umiliazione raccontata tra le lacrime, alla sua uscita. Un esempio che illustra bene come l’apparato all’interno dei Cie — luoghi di detenzione amministrativa, quindi formalmente non carceri — sia sempre più zona d’ombra fuori da qualsiasi concezione di rispetto dei diritti della persona.
Intanto, su questo punto focale, è atteso a giorni il giudizio definitivo per il ricorso presentato da alcuni avvocati per l’adozione di provvedimenti d’urgenza tesi alla chiusura del CIE di Bari. La Regione Puglia e il Comune di Bari si sono costituiti in giudizio con i loro avvocati, aderendo integralmente alle tesi giuridiche che mirano a dimostrare il regime carcerario e disumano del CIE.
A Gradisca d’Isonzo, si prospetta un’altra estate calda, già due i tentativi di rivolta nell’ultima settimana, di cui siamo stati testimoni presenziando fuori dalle mura. Un ragazzo è finito all’ospedale con entrambi i calcagni rotti, anzi, di fatto esplosi, per aver tentato di evadere. Non un cenno sulla stampa; evidentemente questi tipi di rivolte sono catalogati come “minori”, e vengono assorbiti nel silenzio, da quella che è ormai ritenuta la normalità dei CIE.

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