Comitato spontaneo pendolari Fvg
Nel corso dell’ultimo mese ne sono accadute di cose. Prendiamo solamente il piccolo mondo dei binari ed in particolare la situazione della circolazione ferroviaria locale – e se vogliamo, per amore di verità, aggiungiamo a questo quadretto dinamico ed in continua evoluzione mobile pour cause, anche due elementi fissi come la Stazione ferroviaria di Trieste ed il Museo Ferroviario di Campo Marzio. Ebbene, tutti i protagonisti di questa piccola grande commedia umana (di uomini e di macchine, al limite) vivono in un microcosmo all’interno del quale il vero punto di incontro e di scontro è costituito dall’inefficienza e dalla malagestione, una scena il cui fuoco prospettico è posto proprio al centro del dipinto e coincide con la più vasta disorganizzazione possibile.
Stiamo parlando, più precisamente, e rispettivamente, di treni in ritardo o soppressi, di sedute rimosse e poi nuovamente installate e di iniziative culturali e museali forzatamente costrette alla chiusura. Stiamo parlando di ferrovie e, nel dettaglio, di Trenitalia. Ma procediamo con ordine, ché qui di ordine si tratta.
Come ha affermato Barbara Spinelli su “Repubblica” di mercoledì 21 marzo 2012, “tutti ci stiamo trasformando in tecnici della crisi che stiamo traversando”; volenti o nolenti, tecnici più o meno specializzati di una crisi che investe l’intero modo di pensare il mondo, dacché la crisi economica che ha messo in discussione lo stesso modo di produzione capitalistico, si è estesa per questioni di merito sino a lambire ogni aspetto della vita umana. (La ragione potrebbe risultare evidente, peraltro: il modo di produzione capitalistico presuppone una visione dell’uomo che Max Weber ha associato all’etica protestante; quando entra in crisi quel modo di produzione, gli effetti di tale crisi si riverberano sino a toccare l’immagine stessa dell’uomo che ne emergeva).
Si diceva, insomma, poiché siamo “tecnici della crisi” dobbiamo raccontare la crisi – nelle sue diverse ed appariscenti reincarnazioni – con ordine, per capire meglio il problema.
Fare ordine sulla crisi, riflettere ordinatamente sulla crisi rientra nelle mansioni dei “tecnici della crisi” – si potrebbe replicare alla giornalista.
Il principio di tutto potrebbe essere costituito da una semplice osservazione: negli ultimi cinque o sei giorni giorni, i treni che ho personalmente utilizzato per andare al lavoro e per tornare a casa erano tutti pressoché in orario. Un dato addirittura inspiegabile ai tempi della crisi del trasporto ferroviario, addirittura sconvolgente in un periodo storico in cui l’antico viaggio in carrozza sarebbe, in un ipotetico confronto, probabilmente più rapido confortevole e sicuro di quello su rotaia. E questo per capire lo stato di stallo: la normalità sembra ad oggi straordinaria.
Tuttavia, cinque giorni non fanno un anno, né sono in grado di spiegare alcunché sulla promessa di Trenitalia di migliorare un servizio evidentemente molto scadente. È il caso, in tal senso, di ricordare e condividere al presente storico (per ragioni di efficacia narrativa, è ovvio) una scenetta che ho vissuto in prima persona due settimane fa.
Stazione di Gorizia, un mercoledì di-cui-non-ricordo-il-numero alle ore 18.10. Come al solito, prima di andare ad aspettare il treno, provo a consultare Viaggiatreno Mobile, un’applicazione di Trenitalia che dovrebbe segnalare l’andamento reale dei treni – molto utile per un servizio perennemente difettoso (indarno, direbbe il poeta, visto che il congegno è attualmente spesso fuori servizio). L’applicazione segnala un rallentamento di dieci minuti. In stazione, il tabellone non riporta alcuna notizia del ritardo, mentre sui binari, l’indicatore avvisa che il differimento è di cinque minuti. Ora, sarà la mia eccessiva curiosità, oppure quella bizzarra indiscrezione che mi spinge ad interessarmi giornalmente, con una costanza inspiegabile, all’orario di rientro a casa, ma non ho potuto resistere e sono andato a chiedere informazioni in biglietteria. Rispetto alle mie precedenti piazzate melodrammatiche ho premesso testualmente “Scusi, vengo in pace”, perché era il demone della curiosità a spingermi.
Lì il televideo sfoggiava addirittura un altro tipo di ritardo. Quattro orari diversi, quattro modi diversi di vedere e percepire il mondo delle cose sensibili: forte! Alla mia richiesta, il simpatico bigliettaio mi ha chiaramente spiegato: i sistemi informatici di cui dispongono i ferrovieri non calcolano nemmeno i ritardi di cinque minuti, perchè cinque minuti non sono un ritardo. Sei sì, ma cinque no.
Epimenide il cretese (che è diventato celebre per aver chiesto quanti granelli compongono un mucchio: uno, due, quanti?) avrebbe capito immediatamente il problema. Solo da sei minuti in avanti i treni possono dirsi in ritardo: è una convenzione tra gentiluomini. Cinque minuti sono un dato non inquadrabile ed irrilevante. Con Epimenide alle spalle, però, rifletto, ribatto ed ho ribattuto che non esiste un dato certo e univoco sull’ammontare preciso dei minuti di ritardo. La risposta? Non c’è. I tabelloni non sono corretti. Viaggiatreno non è attendibile, le stazioni non sono avvertite dei ritardi in tempo reale.
Non rimane che aspettare. Sembra quasi il titolo di un libro di un “tecnico della crisi”… Non rimane che aspettare, ma in tempi di crisi tutto ciò che è straordinario diventa normale, e in parallelo, tutto ciò che sarebbe normale diviene straordinario.
Scusate il commento fuoriluogo, ma non so resistere: il tabellone fotografato sta dicendo HEL(?)
Vorrebbe dire HELP ?
Vorrebbe dire HELL ?
A parte questo, bell’articolo – e “bel” problema…
foto d’archivio. 😉
forsi xe HELD (trattenuto)…
PER FORTUNA CHE IL MANAGER DELLE FERROVIE NON CI COSTA TANTO, PER QUELLO CHE DOVREBBE FARE!!!DEVE AVER PRESO IL POSTO SENZA CURICULA,IL POVERACCIO !!! ALTRIMENTI NON SI SPIEGA TANTO DEFAULT!!!
sfsn – you got it!