21 Gennaio 2012

Trieste racconta Basaglia – Al TFF un documentario originale sulla rivoluzione basagliana

Erika Rossi, triestina d’origine ma milanese per lavoro, presenti al Trieste film Festival un film intitolato Trieste racconta Basaglia. Ci racconti che cos’è e come è nato?

Già, vivo a Milano ormai da 11 anni e dal 2005 lavoro a vari programmi di Rai3, ma Trieste rimane “mia”. Ho scelto un modo un po’ originale per restarle vicina: collaborare con il Dipartimento di Salute Mentale come filmaker. Nel 2005 ho realizzato un primo corto con alcuni utenti, nel 2007 ho girato il documentario Navighiamo a vista, in cui racconto il lavoro degli operatori della salute mentale. Ma quando ho capito che la storia dell’apertura dei manicomi, su cui esiste moltissimo materiale, non era mai stata raccontata dal punto di vista dei cittadini di Trieste ho trovato l’idea su cui volevo lavorare. C’è moltissimo da scoprire sugli anni Settanta.

In cinquantatre minuti racconti una rivoluzione civile in una città non sempre rivoluzionaria, né civile. Che taglio hai usato per parlare di Trieste e del percorso che ha portato alla chiusura dei manicomi?

Ci ho messo tre anni per mettere insieme il documentario, tra ricerche negli archivi e riprese. Ho voluto usare materiale molto eterogeneo e piani narrativi diversi: ci sono voci dei protagonisti dell’epoca e ricordi degli anni Settanta girati oggi in Super8, materiali di repertorio video e sonori, sia documentari che giornalistici. Ho anche usato la voce di Basaglia, ritrovata in un documentario finlandese girato a Gorizia nel ’67 e praticamente inedito finora. Tutto questo mi è servito per rendere l’idea di quel tumulto creativo che si è sparso nella città a partire quello che fu il manicomio.

Uno dei concetti cardine del pensiero e dell’azione di Basaglia ci ricorda che la realtà è minata di contraddizioni – mentre i racconti che ci ripetiamo tendono a semplificarle o eliminarle. Come hai affrontato questo nodo teorico nella costruzione del documentario?

Innanzitutto non c’è una voce narrante: investo e coinvolgo lo spettatore con materiali filmici molto eterogenei. E quando ho usato la voce di Basaglia, l’ho associata a immagini della città che sottolineano proprio questi intoppi nella “narrazione della normalità” che ciascuno è solito fare quando si racconta. E poi c’è la contraddizione che emerge nei ricordi dei triestini, nessun ricordo è soltanto benevolo, emergono sempre quelle zone d’ombra che oggi sembrano cancellate, e invece sono solo rimosse, dal pensiero unico che guida il XXI secolo. Per far funzionare tutto questo, il montaggio è stato essenziale: devo ringraziare Benny Atria e Chiara Zilli per tutto il lavoro fatto insieme!

Non ho mai fatto una ricerca seria sugli altri dialetti, ma mi ha sempre colpito il fatto che per indicare gli sconosciuti a Trieste, anziché il tizio o la tizia, si dice normalmente el mato, la mata. I triestini sanno che la città dei matti non è la cittadella del manicomio…

Te lo dico io: è certo che mato si usa in città da ben prima della rivoluzione basagliana… sembra proprio un’idea radicata nei triestini quella che mati siano, in un primo momento, tutti gli estranei che si comportano in modo indecifrabile. Quindi, ciascuno può esserlo per ognuno, a volte, e dunque siamo tutti potenzialmente dentro e fuori questa “città dei matti”…

A proposito. Per girare questo film sei entrata in contatto con i triestini che hanno vissuto sulla loro pelle questo cambiamento, ma anche con alcuni dei protagonisti di questa epopea… cosa mi dice degli uni e degli altri?

Beh, le professioni della salute mentale sono un universo con una visione del mondo tutta particolare. Non è possibile né corretto confrontare gli operatori con i cittadini comuni, i cittadini non hanno la consapevolezza di quale rivoluzione ha attraversato Trieste, l’hanno vissuta senza farsi troppe domande. L’impressione che ho è che sono stati alla finestra a guardare. Ma alla fine hanno accettato la situazione perché, sotto la scorza ruvida, questa è una città che sa accogliere.

E degli operatori, cosa ci dici? Li chiameresti, basagliani, post-basagliani, neo-basagliani?

Ti dico due cose: primo, è importante far risuonare ancora le parole di Basaglia, perché ci ricordano non solo un’idea di salute mentale, o di terapia, ma proprio una visione del mondo, che non è stata ancora davvero capita né metabolizzata. Nel contempo, però, il mondo e la medicina sono andati avanti, e non c’è stata una riflessione organica che ci permetta davvero di porci in continuità diretta o di reclamare l’eredità del pensiero di Basaglia in un modo univoco. E forse questo non ha neanche senso, e provare a farlo ci porterebbe a negare quelle contraddizioni che Basaglia non faceva altro che sottolineare.

 

Trieste racconta Basaglia – proiezione sabato 21 gennaio al Cinema Ariston, ore 17.15 nello spazio “Zone di cinema” del Trieste Film Festival

Trieste racconta Basaglia Teaser

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3 commenti a Trieste racconta Basaglia – Al TFF un documentario originale sulla rivoluzione basagliana

  1. Paolo Stanese ha detto:

    Nota: Trieste racconta Basaglia è prodotto dal Fantastificio; la regista desidera ringraziare anche Giulio Kirchmayr e Joel Mrvcic per le riprese.
    Sentirete presto parlare di nuovo del Fantastificio, casa di produzione triestina che… ma questa è un’altra storia.

  2. Quiero comunicarme con erika rossi gracie, saluti alejandro

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