9 Agosto 2011

Le avventure siciliane della carovana RIME Trieste-Palermo

Continua il diario della Carovana Trieste-Palermo dell’Associazione RIME, un viaggio lungo l’Italia in nome della partecipazione cittadina.

SCELTA
E’ l’età giovanile il momento in cui si dovrebbero fare le scelte fondamentali per la vita. Oggi le modificate condizioni sociali ripropongono anche all’età adulta la riformulazione di scelte per niente superficiali.
La tentazione di scorciatoie che nulla hanno a che fare con l’onestà, la legalità e con il concetto antico di rettitudine può rendere più difficile l’orientare la propria vita verso scelte nelle quali specchiarsi senza dover un giorno arrossire o abbassare lo sguardo, una volta chiamati a dar testimonianza del proprio operare.
Don Mario Vatta

Diario di bordo
Avventure siciliane (I)

8 agosto 2011, San Giuseppe Jato – Partinico – Portella della Ginestra

Ieri sera, a San Giuseppe Jato, “Soqquadro”, lo spettacolo che Rime ha portato in tournee per tutta Italia, è andato in scena per l’ultima volta. Da Torino a Palermo, attraverso dieci giorni di incontri e duemila chilometri di strada, si è evoluto, è cambiato insieme a noi: e ieri è giunto al suo apice simbolico.
Portare uno spettacolo come questo, che parla di identità nazionale, di luoghi comuni da sfatare, di mafia e non solo, non era facile in nessun caso: è stato ancora più difficile, ma importante, farlo in un paese ad alta densità mafiosa come San Giuseppe. Qui, nella difficile Valle dello Jato, a pochi chilometri da Corleone, nella piazza che la città dedica a Falcone e Borsellino: è stata una sfida coraggiosa, ma vinta. Lo spettacolo c’è stato, il sindaco Giuseppe Siviglia ci ha dato il suo sostegno, e di questo lo ringraziamo: la cittadinanza di San Giuseppe ha potuto così vedere nel proprio paese ragazzi provenienti dall’altro capo d’Italia parlare di italianità, di mafia e di unità.
Purtroppo il successo non è stato pieno: la partecipazione popolare non troppo calorosa, e una certa diffidenza che si poteva palpare. Anche un pizzico di tensione: si sono tutti accorti che la prima volta che sul palco è stata pronunciata la parola “mafia” è calato per qualche attimo il silenzio sulla piazza, anche fra gli avventori del vicino bar.
Ma poco importa: la sfida è stata vinta perché noi c’eravamo, a testimoniare il nostro messaggio, e siamo riusciti a portare a termine la missione che c’eravamo prefissi.
Passiamo poi la notte in quella che è stata la prima cooperativa di Libera Terra, l’ormai storica “Placido Rizzotto”, e la mattina successiva partiamo alla volta di Partinico, dove abbiamo appuntamento con Pino Maniaci, giornalista, direttore dell’emittente locale “Tele Jato”.
Partinico, cittadina di trentamila abitanti, non è come gli altri paesi del palermitano, ci racconta Pino: qui, la tregua di sangue instaurata dopo il passaggio di potere dai “corleonesi” ai Graviano, non vige: solo nell’ultimo anno ci sono stati otto morti ammazzati per mafia, e tre “lupare bianche”, vale a dire sparizioni. Che è come dire undici morti ammazzati.
Pino Maniaci è un uomo incredibile. Piccolo e magro, con due folti baffoni e gli occhiali: sembra la maschera grottesca di Groucho Marx. Sigaretta perennemente accesa (almeno tre pacchetti al giorno!), in moto perpetuo, mai zitto, condisce di ironico turpiloquio ogni frase che pronuncia, senza requie attaccato alle chiamate che provengono dai suoi tre cellulari: viene da chiedersi come quest’uomo, che pare non mangiare né dormire, riesca a fare quello che faccia.
Eppure ci riesce: lavora venti ore al giorno, come ci dice, e non si capisce se scherzi o sia serio. Ci riceve alle undici e mezza, e ci racconta che la sera prima era a Reggio Calabria alla commemorazione del giudice Scopellitti: finito alle tre, si è poi messo in macchina per tornare a Partinico e venire da noi. “E secondo voi quando ho dormito, eh?”
Pino Maniaci è un uomo di forza d’animo enorme, e dal coraggio formidabile: ormai da dodici anni, dirige Tele Jato, emittente locale celebre per il fluviale telegiornale che Pino conduce ogni pomeriggio dalle due e un quarto alle quattro e un quarto. Non un telegiornale come gli altri, come abbiamo il modo di toccare con mano: Pino è un giornalista che non ha paura di dire le cose come stanno. Fa nomi e cognomi dei mafiosi locali, denuncia i loro affari con pungenti inchieste, parla della politica connivente: in una parola, fa informazione libera, scevra di ogni servilismo. Quella che nell’Italia odierna manca come il pane.
Ma Pino non si limita a fare i nomi dei mafiosi: li sfotte anche. Li prende a male parole e nomignoli, li ridicolizza in diretta. “I mafiosi si fanno chiamare uomini d’onore, e per noi disonorarli è diventata una questione d’onore” , è questo il motto di Pino e della sua redazione, composta da figlia, figlio e moglie, più qualche collaboratore: un tg fatto in casa, insomma.
Le parolacce, la comicità, servono però anche a scacciare la paura: la vita non è facile per un giornalista coraggioso a Partinico. Pino ha avuto diverse intimidazioni, minacce, decine di pneumatici squarciati, due auto bruciate, e anche un’aggressione fisica. Il figlio di un boss cui Pino aveva dato non poco filo da torcere con le sue inchieste un giorno l’ha tirato giù dalla sua auto e l’ha riempito di botte. Ha anche cercato di strozzarlo con la cravatta, ma, come Pino ci mostra con ironico orgoglio, il doppio nodo l’ha salvato.
Nonostante tutto, Pino non molla. Questo piccolo ma grande uomo che sembra andare avanti a “mischia!” e nicotina continua la sua battaglia per la verità e per una libera informazione anche in terra di mafia. “La gente, se racconti le cose, ti ascolta: la televisione ha un’importanza fondamentale nel cambiare le coscienze. Il problema di questo paese sono i troppi giornalisti leccaculo!”
Pino ha capito che è fondamentale fare “Rete”, cioè unire le forze che condividono una certa etica di impegno: anche per questo collabora con Libera da diversi anni. E Libera, visti i risultati, non smette di sostenere “Telejato”.
La sua, infatti, non è una predica nel deserto: basti pensare che la sua emittente copre solo venticinque comuni della Valle dello Jato, non raggiunge nemmeno Palermo; ebbene, alle due e un quarto, all’inizio del telegiornale, riesce a fare di media centoottantamila spettatori. Cosa potrebbe essere Tele Jato in scala maggiore? Anche la risposta a questa domanda deve darci la forza di non mollare.
E’ anche vero che, quando qualcuno vede che il mafioso può essere non solo nominato ma anche deriso, acquista coscienza e coraggio: infatti nei comuni raggiunti da Tele Jato, sono mediamente molti di più i commercianti che non pagano più il pizzo.
Stiamo nella redazione di Pino per tutta la durata del telegiornale, e non solo vediamo dal vivo il suo coraggio, ma partecipiamo anche: ciascuno di noi legge insieme a lui una notizia del tg.
Ripartiamo da Partinico verso le quattro, giusto il tempo di mangiare panini con milza e panelle nell’assolata e surreale desolazione della cittadina siciliana. Ci dirigiamo verso Portella della Ginestra, al monumento che ricorda la strage di lavoratori che fu lì perpetrata dalla mafia il primo maggio 1947.
Ma il resto della giornata ve lo racconto domani, quando saremo già sulla via del ritorno, sul traghetto diretto da Palermo a Genova.

Marco Simeon

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