8 Agosto 2011

Carovana RIME: l’arrivo a Palermo

Continua il diario della Carovana Trieste-Palermo dell’Associazione RIME, un viaggio lungo l’Italia in nome della partecipazione cittadina.

Il lavoro è un diritto per tutti, compresi coloro che incontrano molti problemi nell’essere produttivi. E rappresenta un’opportunità fondamentale soprattutto per quelle persone cui tante parti della nostra società chiuderebbero oggi le porte.
A fronte di un indebolimento della concezione del lavoro come diritto, come opportunità di realizzazione di sé e come strumento educativo sembra affermarsi l’idea strumentale della lavoro, come mera esecuzione di compiti, anche e soprattutto nelle giovani generazioni.
Don Mario Vatta

Diario di Bordo

Un ulivo in via D’Amelio
7 agosto 2011, Belpasso (Ct) – Palermo – San Giuseppe Jato

Questa mattina, nella cooperativa “Beppe Montana”, abbiamo incontrato Armando Rossitto, dirigente scolastico di Lentini. La sensazione, dopo averlo conosciuto, è quella di un grande pedagogo e di un insegnante nel senso più bello del termine: un insegnante completo, a tutto tondo.
Armando ha capito che un vero educatore deve motivare i ragazzi, far si che siano felici di andare a scuola, e non essere un semplice trasmettitore di nozioni o, peggio, un cane da guardia.
Da moltissimi anni, ha improntato tutte le scuole che ha diretto (si tratta in particolare di Istituti Compresivi, che uniscono elementari e medie) a questa visione etica, che vuol fare della comprensione e del rispetto reciproco la chiave di volta di una nuova “alleanza” fra insegnanti e studenti.
Fra le sue attività principali, la promozione di progetti di educazione alla legalità nelle sue scuole, con iniziative volte a sensibilizzare anche i più piccoli alle tematiche della giustizia e della lotta alla mafia. Ci racconta come, arrivato nell’“Istituto Comprensivo G. Marconi” di Lentini, si trovò di fronte a numeri di questo tipo: il 25% degli alunni veniva bocciato a fine anno e il 12% abbandonava gli studi. “Inizialmente provai ad andare a prenderli a casa, con l’aiuto di qualche insegnante, a riportarli a scuola uno ad uno. Ma poi capì che era impossibile: bisognava cambiare la scuola, renderla adatta ai ragazzi: è anche in quest’ottica che nelle mie scuole voglio che gli insegnanti tengano comportamenti rispettosi dei ragazzi”.
Ma in questo disegno si inseriscono anche i progetti di educazione alla legalità, e quello che ne è seguito: dopo un incontro nel suo Istituto con Rita Borsellino, che aveva visto un’ottima risposta partecipativa da parte degli studenti, qualcuno diede fuoco all’Auditorium della scuola.
Fu un duro colpo, ma Armando non si abbatté: grazie anche al sostegno di Libera e a quello personale di Don Ciotti, poté risollevarsi. E proprio grazie a un’idea di Don Luigi, si diede avvio alla meravigliosa esperienza dei campi estivi della legalità, indirizzati ai ragazzi delle scuole. Ogni estate, la scuola di Lentini si apre, per ospitare giochi, attività, incontri, che per gli alunni sono occasioni per creare comunità e divertirsi, ma anche modo per iniziare una riflessione sui temi della legalità e dell’impegno.
E poi la scuola ha potuto avviare tramite Armando un’assidua collaborazione con Libera: la partecipazione con molti alunni a tutte le Giornate della Memoria e dell’Impegno del 21 marzo, innanzitutto. E poi il mandato, insieme ai ragazzi di una scuola del napoletano, di essere i protagonisti dello spot che ogni anno sponsorizza alla tv l’evento, probabilmente il più importante per Libera.
Quello che si vede nei video che ci mostra, nelle interviste con i suoi ragazzi, colpisce molto. Colpisce soprattutto la consapevolezza che anche in ragazzi molto giovani si può instillare sui temi che anche a noi sono cari, cosa che temevo non fosse sempre facile o possibile. Ma Armando è netto: “bisogna svegliarsi, per cambiare questo paese, e prima lo si fa, meglio è. Voi che siete venuti fin qua lo siete già abbastanza, ma non dovete mollare. Stare svegli resta la parola d’ordine, e non è mai troppo presto per cominciare”.
Partiamo dopo una rapido pranzo alla cooperativa, salutiamo le terre del catanese e ci avviamo lungo la superstrada che attraversa il cuore aspro e affascinante della Sicilia. Passiamo i campi gialli bruciati dal sole, le colline scoscese e le montagne aguzze di un paesaggio irregolare e bizzarro, misterioso, che pare nascondere mille segreti fra le pieghe della sua terra. Una visione che rispecchia lo spirito stesso della Sicilia, visibile ma impenetrabile, duro e meraviglioso, di selvaggia e violenta bellezza. E lo stesso modo di essere dei siciliani, fatto di silenzi e sottointesi, di non detti, come qualcosa di non detto pare nascondersi dietro l’apparente calma degli ulivi e del bestiame che pascola placido. Non a caso si dice che, per un siciliano, la via più breve per congiungere due punti non sia una retta, ma un arabesco.
Arriviamo intorno alle quattro a Palermo, e abbiamo giusto il tempo di un cannolo e una granita nella calura meridiana prima di recarci a un incontro cui nessuno di noi vuole giungere in ritardo: in Via D’Amelio, ci attende Salvatore Borsellino, fratello di Paolo.
Io avevo già avuto, come molti di noi, la fortuna di conoscerlo, ma vederlo in quel contesto è un’emozione impareggiabile. Anche Salvatore pare emozionato, e ci accoglie, contento si, ma pensieroso: quel luogo, anche diciannove anni dopo l’infame 19 luglio 1992, è troppo pieno di memorie.
Ci mettiamo intorno a quello che oggi è una specie di santuario di Paolo Borsellino, e di Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Claudio Traina e del nostro conterraneo Eddi Cosina: un ulivo piantato nel luogo preciso dell’esplosione che fece tremare la terra, proprio dov’era parcheggiata la 126 rossa. Quella 126 che, Salvatore ne è certo, non fu armata solo dalla mafia. O meglio, la mano fu mafiosa, ma l’esplosivo militare Samtex da dove arrivò? E chi era quel misterioso “signor Franco” che Gaspare Spatuzza ricorda nelle sue confessioni, che aiutò a riempire la macchina: forse un uomo dei Servizi?
Salvatore da 19 anni rifiuta le corone di fiori delle Istituzioni, al grido di “niente fiori di Stato per una strage di Stato”: la sua idea è che Paolo sia stato ucciso con la connivente consapevolezza di pezzi dello Stato. Perché Borsellino aveva saputo della “Trattativa” mafia-Stato, e non voleva piegarvisi. Trattativa che, secondo Salvatore, continua tuttora in altre forme. Ma la ricerca della verità non è mai stata facile: forse ora qualcosa emerge, ma sono anni che il Popolo delle Agende Rosse, tramite il sito www.19luglio1992.com, cerca di raccogliere materiali e testimonianze per arrivare alla giustizia.
Alzo lo sguardo alle aspre e maestose rocce del Monte Pellegrino, che sovrasta Palermo, e al Castello Utveggio: da lì via D’Amelio si vede perfettamente, e inizialmente si pensava che da quel Monte fosse stato fatto brillare l’esplosivo, ma poi la pista si rivelò errata. Di certo, al Castello Utveggio era, nei primi ’90, una stazione d’ascolto dei Servizi Segreti.
Sotto l’ulivo, intanto, Salvatore sta seduto fra noi, che lo ascoltiamo raccontare: la somiglianza fisica con il fratello Paolo, incredibile, gioca scherzi all’immaginazione, e pare quasi che il magistrato redivivo stia presso l’albero piantato alla sua memoria, come uno spirito benigno del luogo.
Ai rami dell’ulivo, sono appese lettere, biglietti, bandiere, e ricordi: lasciamo anche noi una borsa di Rime con le nostre firme, a sancire il tutto. Mi viene in mente “Alle fronde dei salici” di Quasimodo, che a fronte dei lutti della Guerre Mondiale, rifiuta di poetare: nella tradizione greca, per lutto si appendevano le cetre ai rami dei salici, perché il cantore non poteva, non voleva raccontare tutto. Noi invece appendiamo ricordi, ma le cetre le portiamo con noi, perché quello che abbiamo visto abbiamo il dovere, ma io dico il diritto, di riportalo nelle nostre città, di condividerlo.
Al momento dei saluti, Salvatore si è ormai accesso, è commosso, e noi siamo felici di aver potuto trasmettere la nostra vicinanza, e un po’ del nostro calore.
Ripartiamo, e arriviamo a San Giuseppe Jato, nell’interno: qui stasera, nella piazza “Falcone e Borsellino”, andrà in scena “Soqquadro” per l’ultima volta: il gran finale, in terra di mafia. Con noi ci sono i ragazzi della cooperativa “Placido Rizzotto”, che poi ci ospiteranno: ma come è andata, lo dirò domani.

Marco Simeon

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