5 Agosto 2011

La carovana dell’associazione RIME fa tappa a L’Aquila

Prosegue il diario del viaggio della carovana promossa dall’Associazione Rime, da Trieste a Palermo per la partecipazione cittadina.

INFORMAZIONE

Informazione significa responsabilità. Non si possono disgiungere i due aspetti della nostra società. Come non si può separare l’educazione da una informazione responsabile.
Educare non può svilupparsi solo in una direzione. Educare significa anche educarci. Un’informazione non corretta, approssimativa, ingannevole, significa in primo luogo mentire a se stessi e quindi tradire la ricerca della verità.
Informare correttamente vuol dire aver filtrato il proprio pensiero attraverso una coscienza onesta e responsabile.
L’informazione, quella in grande, avviene attraverso i “media”; quella spicciola, quotidiana, minuto per minuto, anche con un gesto, lo sguardo, la testimonianza.

Don Mario Vatta

Diario di bordo

Giornalisti veri

4 agosto 2011, L’Aquila – Roma – Castelvolturno

Oggi è difficile scrivere questo diario. Non penso si possa esprimere a parole quello che abbiamo visto nel capoluogo abruzzese: noi stessi siamo stati colpiti nel profondo, stupiti di fronte all’evidenza dello scempio.
Le nostre guide sono Cristina, di Libera Abruzzo, e Angelo Venti, giornalista freelance di lunga esperienza e di molte battaglie. Parliamo con loro nella piccola biblioteca di Paganica, paese del circondario aquilano anch’esso colpito dal sisma del 2009: il piccolo edificio sorge accanto al campo da rugby di Paganica, dov’era una celebre tendopoli degli sfollati.
Cristina e Angelo ci raccontano la loro verità sul terremoto dell’Aquila: una verità di abruzzesi, di chi ha indagato a lungo e con tenacia ha cercato di difendere dagli abusi la propria terra. Una storia liberata dai sensazionalismi, dagli spot elettorali, dalla smania miracolistica di tacitare tutto, di dire che tutto era ormai risolto.
Angelo con la faccia dura e abbronzata, la sigaretta perenne che pende dalla bocca e una smorfia ironica che potrebbe essere un sorriso: è netto, e sa quello di cui parla. I poteri straordinari della protezione civile, l’eterna deroga, l’esautorazione degli enti locali, la messa in disparte della gente del posto, della loro volontà. Gli aquilani non poterono decidere nulla: tendopoli e poi “new town”, dovettero accettare quello che veniva loro imposto.
Il risultato sono venti quartieri satellite: ma satellite di una città che non esiste più. Lindi e puliti, anche colorati, i nuovi complessi residenziali ricoprono la vallata dell’Aquila: ma sono cattedrali nel deserto, senza servizi, senza storia, senza connessione, senza vita sociale.
E’ stato così che il desiderio di creare il “miracolo aquilano” si è risolto in una gestione dell’emergenza totalmente scriteriata: è stato così che i soldi sono stati letteralmente “buttati nel cesso”, come titola una numero del 2010 della rivista indipendente di Angelo (Site.it).
E titola così perché, ad esempio, per l’emergenza furono approntati 4000 bagni chimici, del costo complessivo di 34 milioni di euro, che sarebbero bastati, secondo i calcoli, a una produzione di 100 kg di escrementi al giorno per ciascuno sfollato.
Caso emblematico, ma non è il solo: gli sprechi e le irregolarità non si contano. Dalla messa in sicurezza di edifici che devono essere abbattuti e che invece vengono ancora oggi sostenuti con strutture dai costi esorbitanti, agli appalti affidati agli amici degli amici. Dalle infiltrazioni mafiose negli stessi appalti, alla speculazione sui terreni espropriati per le nuove case. E la speculazione, futura e prevedibile, sugli edifici del centro storico dell’Aquila.
Soprattutto, l’assenza evidente di un piano complessivo per ridare vita e speranza alla città dell’Aquila: una continua dialettica fra provvisorio e definitivo, senza che si capisse il destino della città “vera”.
Ma basta una visita al centro storico per rendersi conto di tutto ciò: Angelo e Cristina ci accompagnano per viali e piazze, quelli agibili, quelli fuori dalla militarizzata “zona rossa”, ed è un’esperienza inquietante. Tutto è fermo.
Qualche bar è aperto, e qualcuno passeggia, ma Cristina dice di non lasciarci ingannare: è solo la facciata, e perché è estate. Per il resto, desolazione, camionette militari che presidiano gli incroci, qualche turista, anche straniero, venuto a fotografare il “mostro” in gabbia. Perché di gabbia si tratta. Come altro definire le impalcature di ferro, i morsetti, i sostegni, che a migliaia profondamente stanno confitti nei palazzi e quasi li coprono?
Edifici barocchi o fascisti, popolari o aristocratici: tutti legati insieme dallo sfacelo e dall’abbandono. Chiese meravigliose, piazze una volta vive e oggi recintate, o coperte con tetti di fortuna. Una città che oggi è un pacco di legno e acciaio: un pacco che nessuno ha il coraggio di aprire.
Fuori dal Viale Federico II siamo praticamente soli, fra le cadenti vie deserte, solo cani randagi e spelacchiati ci accompagnano come sentinelle, inquietanti emissari: sono loro ormai gli abitatori di questi luoghi. E solo loro ci seguono, assurdamente fedeli, in fondo a viale XX settembre, a quella che fu la Casa dello Studente dell’Aquila, e che venne giù come un castello di carte, inghiottendo decine di nostri coetanei. Oggi resta solo un brandello di edificio smembrato, e sulle cancellate, a fianco delle foto di chi non c’è più: un lenzuolo che dice “Oggi, 14 milioni: ieri 1,4 milioni sarebbero bastati a evitarlo”.
Ripartiamo scossi, tutti, ma non possiamo fermarci: siamo attesi a Roma nel pomeriggio alla sede nazionale di Libera, nella centralissima Via Nazionale, nell’unico bene confiscato alla mafia gestito direttamente da Libera.
Attraversiamo trafelati la calura dell’immensa capitale, e arriviamo, infine: la nostra ospite è, insieme a Lorenzo e Norma di Libera Informazione, Mara, moglie di Roberto Morrione, scomparso da pochi mesi.
Pure nella stanchezza che si fa sentire, ci rendiamo chiaramente conto di essere, per la seconda volta oggi, al cospetto di un giornalista nel senso più puro e bello della parola. Angelo a L’Aquila era una presenza viva, ma non meno vividamente Roberto compare nelle parole e nella memoria di Mara.
Roberto Morrione, che fu veterano della Rai, del Tg1, da cui fu estromesso dopo le inchieste scottanti sui legami fra P2 e CIA nei primi anni ’90. Che fu direttore e innovatore di Rai International, che fu soprattutto fondatore e direttore di Rai News 24, iniziatore di quello che rimane ancora oggi uno dei pochi canali guardabili della tv pubblica.
Dopo la pensione, dopo 45 anni spesi sul campo, decise di continuare il suo impegno, e si lanciò nell’avventura della fondazione del ramo giornalistico di Libera: Libera Informazione appunto. Sotto la sua egida, questa mosse i suoi primi passi, e assunse l’impostazione che lui volle darle, all’insegna dei valori che sempre hanno contraddistinto il suo operato. Come era stato sempre attento ai temi del sociale, fece sua anche la battaglia alla mafia: una battaglia che, lui lo capì, Libera non poteva combattere senza una branca informativa forte e strutturata.
Roberto Morrione fu un giornalista-giornalista, non un giornalista-impiegato. Scomodo per le sue inchieste, spesso osteggiato, non si piegò mai al potere e seppe mantenere un’etica professionale limpida e onesta, quella che a troppi giornalisti del servizio pubblico di oggi manca del tutto.
Sarebbe piacevole fermarsi con la gentile e sorridente Mara a parlare ancora di Roberto, a sentire come, nella pratica, si crei giorno per giorno la propria credibilità e la propria via di lotta: ma purtroppo siamo costretti troppo presto a salutarla.
Ci rimettiamo in strada, diretti verso sud, a Castelvolturno: giungiamo nel paese del casertano che ormai fa buio, ma i ragazzi della Cooperativa “Terre di Don Peppe Diana” sanno accoglierci nel modo migliore, con una pasta e le prelibate mozzarelle di bufala, gloria locale.
E mentre ceniamo nel cortile, qualcuno già pensa allo spettacolo che anche stasera (e ci mancherebbe altro!) si farà, qualcuno, anche io, a un’altra giornata passata per le strade d’Italia, fra le storie di chi lotta e di chi non ha mai mollato, fino alla fine, per questo paese.
Marco Simeon

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