6 Luglio 2011

Giuseppe Lupo: nella Basilicata del terremoto, raccontare è salvarsi

Copertina L’ultima sposa di PalmiraNe L’ultima sposa di Palmira lo scrittore finalista al Premio Campiello Giuseppe Lupo (che sarà a Trieste giovedì 7 luglio) intreccia storie di un tempo senza tempo al drammatico momento in cui la contemporaneità irrompe in quei luoghi arcaici e incantati, ma non per questo perfetti o paradisiaci. Il risultato: un libro di grande fascino e impatto narrativo.


Subito dopo il drammatico terremoto del 1980 un’antropologa milanese resta intrappolata nel fascino delle storie di un paesino lucano, mai comparso sulle carte geografiche, raccontate da un vecchio falegname. Gabriel García Márquez incontra Ernesto De Martino?

Sì, molti hanno visto queste come fonti per L’ultima sposa di Palmira. Ma io vorrei aggiungerne un’altra: questo libro deve molto a Le mille e una notte, capolavoro della tradizione mediterranea. Per almeno due motivi: il primo è il racconto-cornice con racconti nei racconti, ma poi anche perché, per Mastro Gerusalemme come per Shahrazade, il racconto è un modo per allontanare la morte: non la sua in questo caso, ma quella del suo mondo.

E Le città invisibili di Calvino?

Giuseppe LupoAnche Le città invisibili è un libro-cornice, che si interroga sui luoghi e i destini del presente. Ma i due libri sono profondamente diversi: nel mio c’è una città sola, piena di vivi e di fantasmi.
In più la mia Palmira è una città appena distrutta dal terremoto, e che rimane in vita solo grazie ai racconti e ai mobili decorati di Mastro Gerusalemme, che è il contrario del Marco Polo di Calvino, un non-viaggiatore.

I nomi dei personaggi sono carichi di echi simbolici: la città si chiama Palmira, il falegname Gerusalemme, ci sono un Patriarca Maggiore e bambini chiamati Angelo e Arcangelo. Questi nomi hanno un peso quasi magico… ma Viviana Pettalunga?

L’antropologa vive nel nostro mondo, che è il tempo delle notizie sul quotidiano, e dunque ha un nome che si può pescare nell’elenco del telefono. Mentre volevo che gli abitanti di Palmira fossero immersi nel tempo disteso dell’epopea, del racconto epico mediterraneo. Hanno tutti nomi molto evocativi, e come nei miei precedenti romanzi sui nomi ho riflettuto e lavorato a lungo, perché secondo me i nomi attirano destini!

Nei racconti di Vito Gerusalemme abbondano miracoli e trasformazioni, si intuisce continuità cosmo-uomo-natura, come nelle Metamorfosi di Ovidio, e anche una continuità vita-racconto-sogno-morte molto lontani dal sentire attuale.

Certo, qui metto in scena un mondo mitico e in parte senza tempo. Io sono nato in Basilicata, e molti dei racconti che riprendo nel libro, come le atmosfere e i valori di quel mondo, li ho sentiti per davvero da bambino. Vi si intrecciavano vicende quotidiane come matrimoni, nascite e morti con fatti magici e inverosimili. Perché la vita spesso è astrusa, e un racconto lineare (anche se fantastico) aiuta a preservarti e salvarti dal caos e dall’irrazionalità.

Questo oggi appare come un mondo perduto, ma era davvero vivo, prima del terremoto in Basilicata?

Non voglio dir né sì né no, sarebbe comunque riduttivo. Era vivo un modo di tenere unita la comunità, e anche di mantenere il contatto con i propri morti e con l’anima del luogo. Dopo il terremoto, tutto ciò è sparito. Forse sarebbe successo anche senza quella catastrofe, sarebbe bastata la televisione, ma è anche vero che grazie al terremoto c’è un segno forte e simbolico… della fine di quel mondo di simboli. E io riprendo a narrare, nella metafora e in concreto, dopo il terremoto, inserendovi anche il mondo di oggi.

Però non si trova nel libro un chiaro giudizio pro o contro la società che Vito Gerusalemme incarna e racconta.

Distinguiamo bene due piani: la civiltà contadina patriarcale è una cosa, l’epopea e la narrazione orale un’altra. È questo modo di tenere in vita col racconto ciò che volevo salvare, mondo contadino e moderno rischiano entrambi di essere sterili, senza le loro storie.
Dopo il terremoto, le anziane del paese ripetevano spesso «l’importante è che si racconti tutto questo»: senza il racconto si subisce la violenza della vita e si diventa vittime di un meccanismo cieco. Col racconto c’è una possibilità di salvare gli uomini dalla morte e dall’oblio.

Quale magia si augura che il suo libro possa operare nei lettori?

Io spero che questo libro susciti immagini, anzi immaginazione, visionarietà nei lettori. Certo: racconto a partire da suggestioni della mia Basilicata, ma non è la questione centrale. Ecco, io vorrei che i lettori sentissero di avere in tasca un chicco di quel grano magico di Palmira che fa avverare i desideri… perché esiste, no?

* * *

GIOVEDÌ 7 LUGLIO, ORE 18:00
a Trieste, presso la Libreria Feltrinelli, Via Mazzini
Giuseppe Lupo presenta il suo libro
L’ULTIMA SPOSA DI PALMIRA – MARSILIO EDITORE

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