Giovedì 6 maggio 1976 ore 21:02: la terra del Friuli collinare e pedemontano è sconvolta da un sisma violentissimo, un rombo continuo, i muri delle case che tremano come fossero di carta, i secondi che sembrano un’eternità, dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, cinquantacinque secondi, la terra, maledetta ballerina, trema come fosse un mare in tempesta. E’ è il terremoto.
Centinaia e centinaia di morti, migliaia di feriti, intere comunità abbattute, numeri da catastrofe umanitaria, ma il sisma ha demolito le case, ha distrutto le fabbriche, ha provocato morte ed orrore ma non ha abbattuto i friulani. Una regione abituata a fare e rifare, un popolo che è andato a lavorare per il mondo e che ha rimandato al suo paese i frutti dei propri risparmi, un mondo così unico ed esemplare non poteva avvilirsi di fronte ad una simile catastrofe. Dignità e virilità nel comportamento, anche di aveva perso un famigliare o la casa faticosamente costruita, senza lacrime, perché il dolore non è da mostrare, ma è da tenere dentro nel proprio intimo, umanità, solidarietà e tanto orgoglio di “fa di bessoi” cioè di “fare da soli”, sono la chiave di lettura di quella che è considerata da tutti la migliore gestione di una catastrofe. Da qui, dal Friuli terremotato, nacque la Protezione Civile Italiana, moderna ed invidiata da tutti i Paesi del mondo che ancor oggi copiano il modello d’efficienza e solidarietà.
Due ore dopo la scossa i primi nuclei dell’esercito erano già operativi: soldati della Mantova, dell’Ariete, alpini della Julia e genieri del 5° Corpo d’Armata, con attrezzature da lavoro e decine di automezzi si portarono sui luoghi del disastro, i cui confini di ora in ora diventarono sempre più ampi.
In tutta la zona colpita furono gli stessi sodati delle caserme disastrate a fornire gli aiuti alle popolazioni, con il passare delle ore l’intervento si fece sempre più massiccio, ai responsabili dei soccorsi si presentarono situazioni sempre più drammatiche, una regione sconvolta, morti, feriti e miglia di senza tetto che necessitavano di cure sanitarie, viveri e di un ricovero per la notte.
Per l’evacuazione dei feriti furono utilizzati tutti i mezzi a disposizione, con l’opera dei sanitari civili e militari, arrivati immediatamente e di propria iniziativa nelle località più colpite, negli ospedali civili e militare di Udine, nelle tendopoli e nelle infermerie da campo.
Incessanti le opere che i genieri del 4° e 5° Corpo d’Armata supportarono assieme alle forze di polizia, ai vigili del fuoco e ai volontari: la messa a dimora di tende per un totale di 81 mila posti, lo scavo tra le macerie, col pericolo di nuovi crolli, per ore ed ore rifiutando il cambio o anche la sosta per il rancio, per salvare una vita che da ogni cumulo di macerie, fosse potuta ancora uscire.
Velivoli dell’aeronautica, dell’esercito, della marina, delle nazioni alleate e convogli navali delle forze di tutto il mondo, trasportarono migliaia e migliaia di tonnellate di materiale: gli aeroporti di Istrana, Campoformido, Casarsa e la caserma Cavarzerani di Udine furono i cuori pulsanti di questa immensa organizzazione logistica. L’impraticabilità delle strade, l’urgenza, i terreni franosi, le necessità del bestiame ed il desiderio della popolazione di non abbandonare la proprietà, furono gli elementi che spinsero l’esercito ad utilizzare in modo massiccio ben 64 elicotteri.
Le caserme dislocate praticamente su tutto il territorio regionale, funsero da punto di riferimento per le popolazioni: all’interno di esse e nelle vicinanze sorsero le prime tendopoli e i primi centri operativi di settore.
Con l’armonica e proficua collaborazione delle autorità civili locali, l’esercito italiano con i 14.144 uomini impiegati giornalmente ed i 2.616 automezzi a disposizione, fronteggiò tutti i problemi che di volta in volta si porsero, prevenendone altri: si curò particolarmente l’aspetto igienico-sanitario delle popolazioni, costrette a vivere in comunità e in condizioni di estremo disagio, le visite mediche, i servizi igienici, i bagni campali, la disinfezioni delle tendopoli, il vestiario, le macerie da sgombrare, l’abbattimento degli edifici pericolanti, l’illuminazione, la viabilità, il ricovero degli anziani e dei bambini, i sussidi ed il vettovagliamento con l’alimentazione di oltre 75 mila persone, oltre quella dei reparti, con l’adeguamento delle razioni, la loro preparazione ed il rifornimento idrico, costituirono un impegno senza precedenti per gli uomini in grigioverde.
Lunga la serie di esempi di fratellanza umana a testimonianza di solidarietà giunta da tutti i continenti: Usa, Canada, Australia, Francia, Belgio e Germania solo per citarne alcuni e l’opera dell’Associazione Nazionale Alpini che con i propri uomini, dal sacerdote al bancario, dal muratore all’idraulico e dall’operaio al cuoco, donarono ferie e materiale di costruzione per l’attività nei cantieri.
I soldati delle divisioni Ariete, Mantova, Folgore, della Brigata alpina Julia, del genio militare del 4° e 5° Corpo d’Armata, ripristinata prima fra tutte la viabilità stradale e ferroviaria, suddivisi in 19 compagnie e 190 squadre, lavorando a ciclo continuo completarono, con largo anticipo sui tempi prefissati, ben 13.451 prefabbricati, pari ad oltre 40 mila mq di superficie abitativa in 25 comuni colpiti, suddivisi a loro volta in 75 cantieri di lavoro.
Ma la cosa che ha colpito di più dei friulani è stato il dopo, la perfetta organizzazione che prevedeva di ricostruire prima le fabbriche, poi le case ed infine le chiese; nell’immediatezza gli industriali friulani si organizzano, il cavaliere del lavoro Rino Snaidero dopo pochi giorni riaprì la fabbrica distrutta e meno di un mese dopo furono 44 gli autocarri partiti pieni di cucine da vendere, oppure l’industriale De Simon che sistemò la direzione aziendale in uno degli autobus che costruiva. A San Daniele Natalino Dal’Ava, aveva 54 mila prosciutti in mezzo alle macerie e i suoi operai la mattina dopo il sisma erano già all’opera per raccoglierli e spostarli in altri luoghi.
Ottima fu anche la gestione amministrativa della tragedia, l’8 maggio il Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia stanziò una cifra pari a 40 milioni di euro attuali, in collaborazione con le Amministrazioni locali, i fondi statali destinati alla ricostruzione furono gestiti direttamente dal commissario governativo Zamberletti assieme al governo regionale. Circa 40.000 sfollati passarono l’inverno sulla costa adriatica, per rientrare tutti prima della fine di marzo del 1977 in villaggi prefabbricati costruiti nei rispettivi paesi.
Nel giro di dieci anni e grazie ad un’attenta ed efficiente gestione delle risorse, la ricostruzione poté definirsi completata.
Ancor oggi, a trentacinque anni dal sisma, il Friuli ringrazia e non dimentica.
I numeri del sisma:
6,5 i gradi della scala Richter del 6 maggio ’76
6,3 quelli della seconda scossa del 15 settembre ’76
5.725 i km quadrati dell’area interessata
137 i comuni interessati:
– 45 classificati disastrati
– 40 classificati gravemente danneggiati
– 52 classificati danneggiati
18.000 le case distrutte
75.000 gli alloggi danneggiati
989 le vittime
3.000 e più i feriti
100.000 i senzatetto
200.000 i bisognosi di assistenza
600.000 le persone coinvolte
10.000 soccorritori all’opera già il giorno successivo
18.000 tende montate durante la prima fase per ospitare 116.000 persone
20.000 i prefabbricati montati
40.000 gli sfollati nelle località balneari dopo le scosse di settembre
4.500 miliardi di lire (valuta del 1977) i danni stimati
Le forze in campo per le operazioni di soccorso:
Esercito: 14.144 uomini e 2.616 automezzi
Carabinieri: 3.000 uomini e 597 automezzi
Polizia: 1.268 uomini e 309 automezzi
Vigili del Fuoco: 929 uomini e 558 automezzi
Marina: 427 uomini e 53 mezzi
Aeronautica: 160 uomini e 80 mezzi
Nemmeno io dimentico, la scossa, la distruzione, il coraggio da subito. Quando la terra ha continuato a tremare per mesi e mesi, intanto il Friuli andava avanti.
E quando un anno dopo il 6 maggio apparve la scritta “il Friuli ringrazia e non dimentica” ancora tra le scosse, ho pianto per la prima volta. Non ho perso la casa, nessuno, ma questo non si dimentica mai!
la ricordo pure io quella scritta ,Annalisa e non ho potuto impedirmi di fare paragoni tra il modo composto e operativo di reagire dei nostri corregionali davanti alla catastrofe rispetto alle pur giustificatissime lamentazioni ed incessanti pretese di aiuti esterni di altri colpiti da analoghe sciagure.
L’aiuto c’è stato , ma il Friuli ci ha messo di suo il vonde macacadis e lavorar a fare la differenza .
io ricordo che nei mesi successivi alla porta del mio ufficio, nel cuore della città, continuavano a bussare sedicenti friulani senzatetto anche con accenti non friulani (quasi ridicolo… ) così come dopo il terremoto di Banja Luka sette otto anni prima, bussavano alla porta di casa mia sedicenti senzatetto bosniaci domandando la carità. E ricordo un rampollo della Trieste bene, che si precipitò in Friuli spacciandosi per un medico, per avere agio di visitare e palpare le più giovani e carine terremotate. Si soffocò a stento lo scandalo, non so quanto denaro costò al padre di questo miserabile.
Quando accadono di queste disgrazie, avvoltoi e sciacalli come questi arrivano puntualmente.