Via del Rafut è la via che dal termine di via Favetti conduce alla linea di confine con la Slovenia. Non porta il nome di un personaggio famoso o di un benefattore, ma chi se ne è interessato nel passato sosteneva che l’origine del nome fosse una corruzione della parola tedesca “raffholz” che significa “legna accatastata” o “legna trascinata”. Può essere infatti che dal colle del Rafut – quello su cui sorge la villa Lasciac, oggi in Slovenia, per intenderci – e dal bosco del Panovec trascinassero la legna da ardere verso il piano. Il colle era ricoperto da un fitto bosco ai tempi dei Conti, ma il taglio incontrollato degli alberi lo rese poi brullo. La Società agraria lo prese successivamente in affitto per farvi nuove piantagioni sperimentali.
Un fatto curioso: nel 1767 sul colle furono coltivate per la prima volta nella nostra Provincia le patate, con ottimi risultati.
Comunque la parola tedesca storpiata divenne “rafoult”, “rafolt” e infine Rafut.
Nel 1897 iniziò l’iter per l’allargamento della via su progetto del perito Resen, prevedendo contributi da parte delle famiglie che ne avrebbero tratto beneficio. Questi ultimi però, nonostante le promesse, tardarono a versare i propri contributi, pertanto i lavori si protrassero a lungo, tanto che, subentrati i lavori della nuova ferrovia che avrebbe attraversato la strada in parola, furono sospesi. L’imprenditore Ernesto Rossi proseguì nel 1906 con la sistemazione del primo tratto di strada e non ci furono più fondi disponibili per ultimare l’opera. Il civico giardiniere Pietro Devetag aveva fatto piantare ai lati del nuovo tratto della via 30 ippocastani per parte.
Dal 1947 la nuova linea di confine ne ha lasciato in Italia un breve tratto.
Ce n’ha messo di tempo la patata per arrivare fino qui. Il mais fu molto più veloce.
…meglio tardi che mais…