17 Gennaio 2011

Il caso dei bio-sacchetti della spesa. “Ecm e borse di tela le soluzioni”, secondo un imprenditore locale

In questi giorni lo stop alle borse di plastica in vigore dal primo gennaio 2011 rappresenta un problema per molti cittadini intenti a fare la spesa nonchè per gli esercizi commerciali che stanno rifornendo la comunità di borse ‘biodegradabili’ che, secondo molti, sono poco resistenti e quindi disutili. La soluzione inoltre è costosa, dato il prezzo di 10-15 centesimi a sacchetto.

«Una possibile soluzione innovativa si chiama ECM (Master Batch Pellets) che consente di utilizzare sacchetti con le medesime caratteristiche di resistenza rispetto ai vecchi materiali in polietilene grazie alla presenza di microorganismi all’interno del materiale che rendono il sacchetto biodegradabile al 100%; noi la utilizziamo per tutti i nostri clienti», racconta Daniele Kirchmayer di TBags, marchio triestino che rifornisce da anni i commercianti locali. «Le soluzioni adottate dai marchi della grande distribuzione sono di certo poco felici, visti i risultati, e vista anche la evidente scarsa conoscenza delle soluzioni adottabili; l’ECM è egualmente affine alla normativa, non presenta particolari problematiche strutturali e ha un prezzo maggiorato del 10% rispetto ai vecchi sacchetti, pertanto una differenza quasi irrilevante».

Secondo Kirchmayer c’è anche un’altra soluzione per combattere il “caro-sacchetto”, che è quella più tradizionale di dotarsi di borse in tela da portare sempre con sè. Costano poco più di un euro, possono essere riutilizzate quante volte si vuole, sono resistenti, lavabili e naturalmente offrono il massimo rispetto verso l’ambiente.

E tu, hai qualche soluzione da suggerire alla comunità di Bora.La? Scrivi dritte, dati e indirizzi di chi può risolvere il problema nei commenti all’articolo!

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37 commenti a Il caso dei bio-sacchetti della spesa. “Ecm e borse di tela le soluzioni”, secondo un imprenditore locale

  1. chinaski ha detto:

    el rucksack. me ga insegnado un mio amico njoko.

  2. Diego Manna ha detto:

    per no restar in braghe de tela, 2 borse de tela sempre in auto e via! 🙂

  3. dimaco ha detto:

    Molto interessante, sopratutto il link dell’azienda.

  4. ufo ha detto:

    10-15 centesimi e ve par costoso? Giusto ogi son sta in un discount vizin casa dove che ala cassa i “regalava” le borse in surrogato de plastica a soli € 0,99. Oops.

  5. Milost ha detto:

    Borse di tela: sempre in macchina. Esistono poi anche le versioni moderne in tessuto dei vecchi cesti di vimini, capientissime, lavabili, con i manici rigidi e imobottiti ( così se pesano non ti seghi le dita),le cose si possono sistemare per bene e non si schiacciano, il che non guasta se si tratta di generi alimentari delicati. All’Obi di Nova Gorica, per poco più di 7 euro, ma esistono anche versioni di lusso.

  6. Giovanni Salcuni ha detto:

    La Norma di riferimento è la EN 13432 ( compostabilità degli imballaggi). Nessun additivo è conforme a tale Norma ( anadte a vedere i vari siti internet di chi li vende ). La borsa in bioplastica ( che DEVE essere conforme alla Norma EN 13432 altrimenti non potrà essere smaltibile nell’umido organico ) se non è resistente è solo perchè chi l’ha prodotta non lo ha fatto bene. Lo stesso vale per le borse in plastica. Comunque, una borsa in polietilene additivato, può essere smaltita soltanto nel rifiuto indifferenziato ( cioè ciò che va ad incenerimento ). Quindi dove sta la valenza “ecologica” degli additivi? E poi, non deve essere l’azienda che li vende a dire che “sono biodegradabili” ma deve essere un ente certificatore terzo che lo certifichi? Provate a chiedere a chi li vende se possono dare il certificato di conformità alla Norma EN 13432. Poi fateci sapere.

  7. Daniele Kirchmayer ha detto:

    Secondo la UNI EN 13432, le caratteristiche che un materiale compostabile deve avere sono: biodegradabilità, disintegrabilità, assenza di effetti negativi sul processo di compostaggio e bassi livelli di metalli pesanti. La precisazione che lei fa su questa norma e corretta, c’è un però.
    Di questi prove l’ECM è idoneo a disintegrabilità, assenza di effetti negativi sul processo di compostaggio e bassi livelli di metalli pesanti, ma la conversione metabolica del materiale compostabile in anidride carbonica (biodegrqadabilità) è da raggiungere in meno di 6 mesi. L’ECM ci impiega almeno 9 mesi. Solo 3 mesi in più non tre anni. Commercializzo borse in carta e bio e sinceramente come lei saprà se conosce il settore con l’ecm il guadagno è minore quindi non ho nessun interesse economico a difendere il materiale. Lo difendo perché qui si cercano soluzioni e per ora la migliore è il polietilene additivato per l’ambiente e per il cittadino. Forse in futuro l’ECM si degraderà in meno di sei mesi e sarà degno di essere usato da tutti per l’organico (tanti Comuni in Italia seguono solo la direttiva 94/62) forse l’EN 13432 sarà modificata a 10 mesi o verrà sostituita da un legge con vera… sicuramente nelle prossime settimane avremo tutti delle risposte.

  8. Giovanni Salcuni ha detto:

    Egr. Sig. Daniele,
    comprendo quanto da lei riportato. Però le faccio presente che per essere “biodegradabili e compostabili” non basta la dichiarazione individule della società che produce un materiale. Come per ogni prodotto, è necessario che un ente certificatore legalmente autorizzato a farlo certifichi che tale prodotto e’biodegradabile e compostabile. A riguardo, a parte le “dichiarazioni individuali” di ogni azienda che produce additivi oxo-degradabili, non esiste alcun ente che abbia mai certificato la loro biodegradabilità. Inoltre , non si può dire che tali additivi biodegradino in 9 mesi: non si chiarisce in che percentuale tali additivi debbano essere miscelati con il polietilene ( 1%, 2%, 100%, non si sa). Io invito semplicemnte a consultare il sito internet di chi li vende, dove non soltanto è scritto chiaramente che non sono conformi alla EN1 13432, ma , nelle prove fatte ( da loro e per giunta in vaschette di Petri, cioè un concentrato di microbatteri dove forse anche l’acciao inox viene corroso) il “campione” realizzato con 100% di additivo ( e lei sa bene cosa costerebbe realizzare un manufatto con 100% di tali prodotti, costerebbe molto più di oro e argento )”inizia una biodegradazione dopo 13 mesi”. “Inizia”, non completa il processo, e la biodegradazione non può essere presunta ma certa, provata, completa non “iniziata”. Quindi, se nelle prove fatte da chi vende tali prodotti, il campione realizzato al 100% con additivo ( non 1% come talvolta viene suggerito ) inizia a biodegradare dopo 13 mesi ( ripeto: lo scrivono loro non lo dico io ), come si può dire che un sacchetto in pe additivato con una piccola percentuale di questi prodotti biodegrada totalmente in 9 mesi? Invito sempliecemente documentarsi leggendo il sito internet di chi produce e vende tali materiali. Ma sopratutto, dov’è la 2certificazione” della loro biodegradabilità in 9 mesi? Il problema è che tutto è biodegradabile in natura, anche il polietilene, è solo questione di tempo. E la materia deve essere disciplinata da una Norma. Oggi la Norma EN 13432 copre questo vuoto. Mi creda, un sacchetto di polietilene è molto meglio ( da un punto di vista ambientale ) di un sacchetto di polietilene addivato perchè il sacchetto di polietilene si può riciclare nella settore plastica della raccolta differenziata. Il sacchetto additivato invece non può essere riciclato nella plastica perchè ne comprometterebbe il riciclo ( se tale prodotto si sbriciola ovviamnete questo è quello che potrà avvenire), nè potrà essere smaltito nella frazione umdia della raccolta differenziata ( perchè non conforme alla EN 13432 che oggi, con l’approvazione della Direttiva Europea Quadro sui Rifiuti n. 98/2008 è riferimento vincolante per il settore ). Quindi, tale sacchetto potrà andare soltanto ad incenerimento. Non si può pertanto paragonare il sacchetto in PE con additivo al sacchetto in bioplastica compostabile certificato secondo EN 13432, sono 2 cose diverse. Inoltre, esiste anche il precedente legale della causa intentata da Legambiente contro Coop Italia per le borse realizzate in PE con additivo oxo-degradabile, causa persa da Coop Italia per pubblicità mendace. Oggi tali borse sono ancora in smaltimento presso punti vendita Coop in Lombardia. Su tali borse è scritto chiramente ed in grande ” questo sacchetto deve essere smaltito solo tra i rifiuti indifferenziati e non tra quelli organici”. Personalmente, ritengo valide soluzioni sia la borsa realizzata ( correttamente ) in bioplastica compostabile sia la borsa realizzata in plastica riciciclata. In entrambi i casi, si rispetta pienamente quanto prescrive oggi la Direttiva Europea Quadro sui Rifiuti ( pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale con decreto n. 205 ). Resto a sua disposzione per ogni informazione e/o chiarimento ulteriore.
    Cordialmente.

  9. matteo ha detto:

    non so perche non le fanno in canapa a rete, costano poco e le si puo riutilizzare

    una volta la padania (nel senso pianura) aveva un florido commercio di canapa, pianta non solo da per fumare ma anche per utilizzare industrialmnete

  10. Milost ha detto:

    Comunque il vero passo in avanti non sta nella produzione e utilizzo di materiali biodegradabili, ma nella mancata produzione e messa in circolazione di oggetti che diventino troppo velocemente rifiuti. E’ il riuso la prima grande risposta al problema dei rifiuti. Se la tua borsa della spesa la utilizzi 100 volte, ci sono 99 borse di un qualunque materiale risparmiate. Premesso che i comportamenti virtuosi stanno comunque in cima alla scala dei valori, mi chiedo se sia meglio una borsa di plastica usata 100 volte ( e poi smaltita come si deve) o 100 borse compostabili e biodegradabili usate una volta sola. E non penso solo all’impatto e ai problemi posti dal rifiuto quando diventa tale, ma anche alle risorse spese per la produzione ed ai relativi impatti negativi sull’ambiente.

  11. Giovanni Salcuni ha detto:

    Il commento di Milost è sicuramente pertinente. Sono d’accordo sul fatto che sono prima di tutto i comportamenti virtuosi quelli che fanno la differenza. Per esempio, il sacchetto di plastica che viene più volte fatto vedere in testa ad un delfino è il prodotto di un comportamento dannoso di chi quel sacchetto lo ha gettato impropriamente in mare invece che conferirlo nel riciclo della plastica. Non è colpa del prodotto. Se adottassimo lo stesso concetto, allora si dovrebbe condannare anche l’industria dei motocicli e elettrodomestici “colpevoli” di essere stati trovati in fondo al golfo di Ischia e Capri. Il vero problema è come e dove smaltire i prodotti ( ciascun prodotto ) a fine utilizzo affinchè il rifiuto diventi sempre più una risorsa e sempre meno un problema gestionale ed ambientale. Ora, le bioplastiche compostabili, possono dare in tal senso un contributo ( non è ovviamnete la soluzione di tutto ) sia come innovazione di prodotto per l’industria manifatturiera, sia come innovazione ambientale. Questo perchè il manufatto realizzato e certificato come compostabile, può essere smaltito nella frazione umida della raccolta differenziata oppure può essere utilizzato o ri-utilizzato ( nel caso del sacchetto ) per raccogliere lo scarto umido organico domestico. L’umido organico rappresenta oggi la parte più importante della raccolta differenziata dei prodotti ( ben il 35% sul totale) e deve essere raccolto correttamente affinchè l’umido organico domestico possa essere una risorsa. Ed infatti, almeno in questo, l’Italia oggi è il più grande produttore mondiale di compost organico , cioè un fertilizzante naturale ( diverso dall’urea sintetica che viene da petrolio ) che è prodotto utilizzando come materia prima proprio lo scarto umido organico domestico. Ciò può essere fatto soltanto con sacchetti compostabili certificati secondo Norma EN 13432 ( compostabilità degli imballaggi )altrimenti, se un sacchetto viene utilizzato a tale scopo senza essere conforme, si inquina la produzione di compost il quale deve poi essere purificato dalle aziende che lo producono con costi che raggiungono anche 150 Euro/tonnellata ( costi che poi vanno a gravare sulla comunità come addizionali irpef ). Ecco perchè è importante l’utilizzo di borse compostabili, non solo per portare la spesa a casa ma , sopratutto, per il loro riutilizzo per la raccolta dello scarto umido organico domestico in maniera idonea e conforme alle specifiche tecniche richieste per la produzione di compost. Inoltre, le bioplastiche rappresentano una opportunità per l’agricoltura non in conflitto con le risorse destinate ad uso alimentare. Provate a pensare a quante tonnellate di agrumi ogni anno vengono macerate per mancanza di sbocchi commerciali. Provate a pensare a quante aziende agricole sono costrette a non sfruttare totalmente la loro capacità di produzione a causa della P.A.C. ( Politiche Agricole Comunitarie ) ancora in vigore ( purtroppo ) e promulgate decine di anni orsono perchè la produzione agricola eccedeva del 50% la domanda. Oggi non è più così, l’agricoltura ha bisogno di produrre di più, di ritornare finalmente a dutilizzare il 100% della sua capacità produttiva installata ( non si parla ovviamente di metter lo stivale italico a colture di patate o mais o barbabietola da zucchero ). E l’incremento e diffusione della produzione di bioplastiche compostabuili da fonti rinnovabili è sicuramente un contributo positivo in tal senso in aggiunta e non in contrapposizione con ciò che viene coltivato per uso alimentare. Per attuare questa sinergia di sistema, che porta ( al contrario delle borse riutilizzabili che comunque per la maggiore realizzate in polipropilene raffia, cioè sono in plastica e sono prodotte prevalentemente in Estremo Oriente togliendo lavoro all’industria Italiana ) posti di lavoro ed opportunità in più alla ns industria ed alla ns agricolture, è determinante il rispetto delle regole , delle Norme di settore. Altrimenti si vanifica tutto.

  12. Daniele Kirchmayer ha detto:

    Sig. Giovanni, rispetto il suo punto di vista ma sono convinto che quello che lei reputa sia il dogma da seguire cioè la norma EN13432 non è la sola norma da seguire. La invito a leggere questa intervista al ministro Prestigiacomo per rendersi conto che neanche chi deve legiferare non sa cosa si dovrà fare.

    http://www.ecodallecitta.it/notizie.php?id=104907

    Resto in attesa di un suo commento perchè vorrei capire a prescindere dalle soluzioni future, anche grazie al suo aiuto cosa si può o non si può fare oggi.

  13. Giovanni Salcuni ha detto:

    Egr. Sig. Daniele,
    la ringrazio per la precisazione. Sono al corrente dell’articolo apparso sul sito Eco Dalle Città ( dove peraltro ho anche io fatto un commento poichè, sono d’accordo con lei, sono rimasto perplesso sul contenuto).
    Ad ogni modo, questa mattina è apparso il comunicato ufficiale dell’Autorità Garante della Concorrenza e Mercato ( Antitrust) nel quale, con il provvedimento n. 21942, si condanna per pubblicità ingannevole comparativa le 2 società che distribuiscono ufficialmente in Italia l’additivo in questione nonchè una terza società che ha prodotto sacchetti in polietilene additivati.
    In sostanza, la commisione tecnica che ha fatto tutti gli esami sui campioni analizzati ha appurato che sia l’additivo che le borse prodotte in polietilene additivato non sono nè biodegradabili nè compostabili come falsamente pubblicizzato. Conseguentemente, viene fatto espresso divieto di commercializzare tali prodotti apponendo la dicitura biodegradabile e anche compostabile ( oltre ovviamente alla somministrazione di relativa pena pecuniaria ). La sentenza sul caso è stata emessa in data 17/01/2011. Anche il C.I.C. (Consorzio Italiano Compostatori ), cioè l’associazione che raggruppa in Italia tutte le aziende produttrici di compost organico derivante dalla raccolta differenziata dei rifiuti umidi organici domestici , ha emesso un comunicato ufficiale in merito ( http://www.compost.it ). Questa è una ulteriore conferma, oltretutto vincolante, che non si può auto-definirsi “biodegradabili” oppure “compostabili”. Se un prodotto ha queste caratteristiche deve essere certificato come tale da ente terzo legalmente autorizzato. Non esiste la bioplastica e la “bioplastica che costa meno”. Esistono le plastiche ( che a fine ciclo vita vanno nel riciclo della plastica) , esistono le bioplastiche compostabili ( che vanno smaltite nella frazione umido organico oppure possono essere utilizzate per la raccolta dello scarto umido organico ). Non esiste una “via di mezzo”, almeno su questo tema. Ogni prodotto deve avere una sua filiera di ricilo o smaltimento nella raccolta differenziata dei rifitui e deve rispondere a determinate norme e specifiche tecniche approvate ufficialmente. Gli additivi ( oxo-degradabili, degradabili, foto-degradabili ) sono in circolazione da almeno 20 anni ma mai è stata provata la loro biodegradabilità nè tantomeno la compostabilità. Pensi che attualmente c’è un altro “fornitore” di questi additivi ( di altra marca) il quale scrive testualmente nelle sue presentazioni che il prodotto è eco-compatibile con la Norma EN 13432 ( cosa vuol dire? O si è conformi o non lo si è ) e, subito dopo, a caratteri cubitali , scrive che il prodotto non è idoneo per la raccolta dello scarto umido organico domestico ( ?!?). Completa il tutto scrivendo che il prodotto deve essere riciclato nella plastica ( PE-HD). 3 chiare contraddizioni in termini di fatto. In definitiva ( e mi scuso se sono stato prolisso ) le Norme definiscono gli argomenti. Per quanto riguarda biodegradabilità e compostabilità che piaccia o meno il riferimento è rappresentato dalla Norma EN 13432.
    Rimango sempre a disposizione per ogni possibile informazione/chiarimento.
    Cordialmente.

  14. Ciano ha detto:

    Grazie a tutti per l’interessante dibattito

  15. Andrea minniti ha detto:

    Egr. Sig. Salcuni,

    in riferimento al comunicato ufficiale dell’Autorità Garante della Concorrenza e Mercato ( Antitrust) che ho appena letto, dice il contrario di quello che Lei ha detto, difatti l’I.S.S. (Istituto Superiore di Sanità) interpellato dall’AGCM per la verifica capillare della Biodegradabilità dei prodotti plastici additivati con ECM, che ha pienamente confermato la Biodegradabilità!
    A quanto pare invece è l’unico prodotto ufficialmente riconosciuto da un’organo Istituzionale.

    Gentilmente sig. Salcuni sia più preciso nel dare informazioni!

  16. Giovanni Salcuni ha detto:

    Ho letto l’altro punto di vista ( del quale ero a conoscenza avendo ricevuto il materiale informativo della conferenza ). Al di là del ruolo e funzione di chi ha espresso in tale conferenza il suo parere ( e che comunque rispetto ), resta il fatto che non vedo alcun test scientifico provato, alcuna documentazione tecnica che , anche in quella conferenza, abbia indiscutibilmente provato non la compostabilità ( che sappiamo non c’è ) ma almeno la biodegradabilità degli additivi e degli imballaggi ai quali sono aggiunti.
    Ad ogni modo, la sentenza dello scorso 17/01/2010 da parte della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato parla chiaro: gli additivi oxo ed i manufatti ai quali sono aggiunti non sono biodegradabili ( e compostabili) e le società che hannocommercializzato tali prodotti sono state condannate. Poichè la sentenza è vincolante e fa precedente legale per casi analoghi, viene oggi proibito di vendere tali prodotti pubblicizzandoli e classificandoli come biodegradabili e compostabili .
    Vorrei precisare, a scanso di equivoci, che il sottoscritto non è un funzionario di Novamont o Legambiente ( cioè le 2 società che hanno intentato la causa per pubblicità ingannevole nei confronti nelle società venditrici di quei prodotti ).

  17. Andrea minniti ha detto:

    Mi scusi ma penso che Lei stia leggendo qualcosa che non esiste…….La vita è bella perchè è varia….e Lei ne dà conferma..

  18. Giovanni Salcuni ha detto:

    Non capisco a cosa Lei faccia riferimento. Tuttavia, se il riferimento è la sentenza dell’Autorità Garante della Pubblicità e Mercato nei confronti degli additivi, sono spiacente per Lei ma nè io nè Lei possiamo cambiare questo fatto. Nè possiamo interpretarlo. La prego, se vuole, di informarsi e di prendere visione dei documenti ,prima di fare commenti, come ho fatto io. Poi ognuno rimanga pure della propria opinione ( e ci mancherebbe altro), i fatti sono però altra cosa.

  19. Giovanni Salcuni ha detto:

    Egr. Sig. Minniti,
    ho letto il suo ultimo commento. Ma, mi permetta, l’ha letta la sentenza dell’Autorità Garante della Pubblicità e Mercato? Guardi, lasci perdere la mia opinione, si vada cortesemente a leggere ( o “rileggere) quanto contenuto nel bollettino n.51 del 17/01/2011, provvedimento n. 21942 – PUBBLICITA’ INGANNEVOLE E COMPARATIVA, e, sopratutto, vada a leggere ( o rileggere ) cosa dice l’ISS ai punti 38 e 39.
    Se fosse come lei dice, allora perchè le società distibutrici di questo additivo ( noche una società produttrice di sacchetti additivati con tale prodotto ) sono state condannate per PUBBLICITA’ INGANNEVOLE E COMPARATIVA? Perchè le società coinvolte sono state condannate a pagare una pena pecuniaria?
    Perchè , come si legge nel provvedimento, tali società non possono vendere i loro prodotti come biodegradabili e compostabili? Questa non è la mia opinione ma quanto scritto nel provvedimento. Lo stesso ISS chiarisce che il concetto di “biodegradabilità deve fare riferimento a standard che definiscono il termine, le condizioni ed anche i tempi all’interno di un contesto di recupero del rifiuto plastico. Ripeto, se, come asserisce lei, tali prodotti sarebbero “addirittura gli unici biodegradabili”, allora perchè la condanna? La biodegradabilità e la compostabilità sono definite dalla Norma UNI EN 13432, recepita in Italia ( ed in Europa ) come il riferimento tecnico al quale essere conformi.Nessun produttore di additivo ( compreso quello in questione ) può produrre ( o ha mai prodotto ) un certificato emesso da ente legalmente autorizzato di conformità alla Norma UNI EN 13432. Queste non sono informazioni “sbagliate che da il sottoscritto” . Questi sono fatti. Ognuno può leggere la sentenza e trarne le conclusioni. Ma forse ho letto male io? Forse Legambiente e Novamont sono state condannate ? Comunque, dato che non è importante l’opinione del sottoscritto ma le carte documentali, questo sarà il mio ultimo commento sul tema e, ovviamente, oltre al fatto che ognuno è libero di avere la propria opinione, resta il fatto che ognuno è libero anche di leggere il provvedimento dell’Autorità Garante della pubblictà e del Mercato, le memeorie difensive delle parti, le perizie tecniche e la sentenza emessa. Senza interpretazioni.
    La saluto Cordialmente e saluto anche la Redazione e chi ci legge

  20. dimaco ha detto:

    da quello che ho capito il problema sta nel tempo che ci mette la borsa a degradarsi. il tutto misembra tutto come un cane che si morde la coda. Un istituo statale dice di no un’altro dice di s. Veramente c’è da rompersi la testa a capire come stannole cose veramente.

  21. Flores ha detto:

    dura riadattarsi al sacchetto di tela…come il trapasso all’euro. Bisogna ricordarsene al momento di entrare in Supermercato, fornirsene di un paio in più nel caso frequentissimo di acquisti non previsti, soprattutto rinunciare al riutilizzo canonico dei sacchetti di plastica contenitori dei rifiuti.
    I nuovi biodegradabili classici? per carità! per acquisti appena più pesanti è prudente utilizzarne due, infilandone uno dentro all’altro, altrimenti , parlo per esperienza, si spaccano già nel tragitto rovesciando il contenuto e nel momento meno opportuno, di norma mentre si cercano le chiavi.
    E puzzano! un odore indefinibile non propriamente rivoltante, ma comunque sgradevole e intenso, soprattutto se conservati in un certo numero.
    In quanto biodegradabili,se conservati pigiati ad esempio nell apposito contenitore Ikea, (quel cilindro di plastica di semplicità pari alla razionalità) dopo un pò si riducono in polverosi frammenti e pertanto risultano inservibili per l’immondezzaio.
    Non ho ohimè suggerimenti, ma li accoglierò volentieri, convinta che continuare per la vecchia strada e con i vecchi sacchetti “eterni”, sia morte per il creato.

  22. Giovanni Salcuni ha detto:

    Avevo detto che non avrei fatto ulteriori commenti. Mi scuso con chi legge e con la Redazione se ne faccio un altro.
    DIMACO ha in realtà centrato esattamente il cuore del problema. Infatti, svincolare il concetto di biodegradabilità dal tempo di degradazione non ha proprio senso. Concettualmente infatti, in astratto e genericamente, tutto è biodegradabile, anche il ferro, anche la plastica lo è, ci mette centinaia di anni ma alla fine tutto viene bioassimilato dall’ambiente. Su questo penso che tutti possiamo essere d’accordo. La questione però è che , se la biodegradabilità di un prodotto deve avere una valenza ambientale, allora la dobbiamo legare necessariamente ad un periodo temporale entro il quale il processo di biodegradazione sia certo e comopleto affinchè il prodotto a fine ciclo vita possa essere smaltito nella sua propria filiera della raccolta differenziata. Ciò perchè il vero problema è come smaltire i rifiuti affinchè la gestione del rifiuto sia sempre meno un problema e sempre più una risorsa. proprio per questo è stata introdotta una Norma , la EN 13432, la quale disciplina e regola la biodegradabilità e compostabilità degli imballaggi. Tale Norma dice ( riassumento ) che un prodotto , per essere biodegradabile e compostabile, deve completamente biodegradarsi e compostarsi, attraverso l’azione di micro batteri, umidità e calore in un tempo massimo di 6 mesi perdendo totalmente “visibilità” ed assimilandosi in maniera naturale all’ambiente. In questo caso, un manufatto, un imballaggio se certificato in conformità di tale Norma, potrà essere utilizzato per la raccolta della frazione umida ( o smaltito in essa ) e, come tale, definibile come biodegradabile e compostabile. Nella sentenza emessa contro chi produce additivi, viene espressamente chiarito che tali prodotti sono “scarsamente biodegradabili” in quanto non è certo il tempo di biodegradazione, nè sono certi i metodi e le condizioni attraverso le quali tali prodotti possano produrre una biodegradazione completa. Di fatto, secondo me, in termini di utilità, tra un prodotto di “dubbia biodegradabilità” ed un “normale” polietilene , l’impronta ambientale va sicuramente a favore del polietilene perchè questo prodotto ( e anche se ciò penso che tutti possiamo essere d’accordo) può alla fine essere riciclato nella raccolta differenziata della plastica. Così come un prodotto realizzato in bioplastica compostabile certificato a Norma EN 13432 potrà essere smaltito nella frazione umida della raccolta differenziata. Ma un prodotto per il quale non c’è alcuna certezza di biodegradazione ( almeno secondo tempi certi ), un prodotto che “dovrebbe sbriciolarsi ( non biodegradare, io ho visto tutti i siti internet di chi produce additivi e non ho mai visto, nemmeno nei “report fotografici allegati” alcuna prova di biodegradazione )alla fine dove lo posso conferire a fine ciclo vita? Soltanto nel rifiuto indifferenziato, cioè quello che va ad incenerimento. Prendiamo i sacchetti Coop ancora in circolazione realizzati in polietilene additivato: c’è scritto chiaramente che non possono essere smaltiti nella frazione umida ma solo in quella indifferenziata.
    Quindi, mi chiedo, dov’è l’utilità degli additivi? Dov’è la loro provata e totale biodegradazione in un tempo determinato che ne possa permettere lo smaltmento? Personalmente ho ancora a casa un busta shopper Esselunga , realizzata nel 1990 con 14% di additivo : è ancora perfettamente integra e forse più forte di prima. Sono passati 21 anni ela tengo come reliquia.

  23. alpino ha detto:

    Maria Santa che casin che ste fasendo per do buste dela spesa ciò neanche stessimo parlando di neuroscienze, ve metè do buste de plastica in cofano quando pagate la spesa buttate tutto dentro il carrello vi accingete a raggiungere il vostro veicolo dove scaricherete la spesa con calma.
    Oppure mitico trolley girmi cariga tipo 52 litri di contenuto e dopo vegnì fora dal supermercato tipo cinese che traina un risciò (o come se scrivi…no go voia de cercar)
    PS piccolo inciso qui a Padova tutti i negozi viaggiano regolarmente con le classiche buste di nylon, alla mia domanda posta alla commessa sul cambio imposto per legge ho ottenuto la seguente risposta: AHAHAHAAHHA

  24. Daniele Kirchmayer ha detto:

    LEGGI E NORME (parte noiosa)

    Cerchiamo di fare un riepilogo (e chiedo al sig. Giovanni di aiutarci smentendo dove errato con documentazione)

    Non esiste una legge che dica chiaramente a chi vende e produce cosa si può fare e cosa no.
    C’è stato un comunicato a dicembre ma una circolare non è legge. L’unica legge rimane la 296/06.

    Esiste una norma EN 13432 che tratta in maniera completa la biodegradabilità.

    Esiste un direttiva 94/62 CE che dice come possono essere fatti gli imballaggi (e che non cita la norma EN 13432)

    Non esiste una legge che dica che bisogna seguire la norma EN 13432 ma la legge fa riferimento solo alla direttiva 94/62 CE.

    Il materiale ECM è conforme alla direttiva 94/62 CE ma non è conforme alla norma EN 13432 perchè il tempo in cui sta per degradarsi va dai 9 mesi ai 5 anni (tempo dato dai produttori a questo punto potrebbe non essere vero).

    Nel 2006 in Francia ci fu un caso analogo, ma la Commissione Europea lo ritenne una violazione della direttiva 94/62/CE.

    E qui stiamo parlano solo di leggi non di soluzioni.

  25. Daniele Kirchmayer ha detto:

    RIEPILOGO DELLE CARATTERISTICHE

    MATERIALE BIO

    Positivo: massima biodegradabilità.

    Negativo: si rompono con facilità.
    Non possono venire riutilizzate nel tempo quindi bisogna produrne di più.
    Costano di più (Prezzo di vendita 5.000 pezzi del formato 30+20×60 cm., spessore 30 my a € 1.002,0 – Le ECM o le tradizionali spessore 20 my a € 324,00.) Si noti che per avere una resistenza decente bisogna farle più grosse

    ECM

    Positivo: resistenti possono venire riutilizzate. Costano poco. Riciclabili al 100%.

    Negative: tempo di biodegradabilità più lungo non possono venire utilizzate per contenere il rifiuto organico. Devono essere riciclate come plastica.

    PLASTICA (polietilene)

    Positivo: resistenti possono venire riutilizzate. Costano di meno. Riciclabili al 100%.

    Negativo: biodegradabilità dopo secoli

  26. Daniele Kirchmayer ha detto:

    Il mio personale punto di vista è che il materiale bio non funziona per i motivi sopra elencati. Può andare bene per il pesce, il ristorante cinese e cioè per tutti gli usi per cui la borsa quando arriva a casa va direttamente in cestino.

    La plastica non è malissimo ma è il passato.

    Il materiale ECM è un buon compromesso nel senso che se viene trattato come plastica è riciclabile al 100%, ma se inavvertitamente finisce in un bosco o in mezzo al mare il tempo di biodegradabilità è decisamente più basso rispetto al polietilene tradizionale.

    Lasciando da parte i supermercati da “venditore” ho un altro problema con il bio: c’è un quantitativo minimo da fare, le borse bio cominciano a degradarsi appena vengono prodotte quindi se non le si utilizza in un tempo ragionevole diciamo entro l’anno è possibile che un buon quantitativo di borse con sorpresa di chi apre lo scatolone, siano diventate inutilizzabili. Il mio cliente quindi deve A) spendere di più B) fare il quantitativo minimo mentre prima poteva farle per i prossimi 5 anni e abbattere i costi C) finirle presto altrimenti vanno in cestino D) Si trova senza borse, in verità le aveva ma sono da buttare e quindi rimane senza borse per 30/40 giorni perchè i tempi di produzione sono questi. Unico lato positivo, ma solo per me, io ci guadagno di più. Mi sembra di rubare.

  27. Giovanni Salcuni ha detto:

    Buongiorno Sig.Daniele,
    la legge contenuta nella Finanziaria 2007 ( emendamento Realacci , art. 1129,1130,1131) era già stata approvata in quel tempo. Non era però mai stato fatto un decreto di attuazione. Si era poi deciso di posticiparla come entrata in vigore dal 01/01/201 al 01/01/2011. Il Ministro Prestigiacomo, soltanto pochi giorni prima di Natale, ha deciso che la Legge sulla proibizione di commercializzazione ed produzione di sacchetti non biodegradabili non sarebbe stata più rinviata. E’ stato fatto quindi un “decreto di applicazione” ( se possiamo chiamarlo così ) che ha imposto lo smaltimento delle scorte di sacchetti in polietilene soltanto a titolo gratuito ( cosa che , come sappiamo , ha messo in crisi il settore ). Personalmente, ritengo che non sia stata ben applicata questa legge, ma si sarebbe dovuto dare all’indutria ed ai commercianti e/o GDO il tempo di “fisiologicamente smaltire ” le scorte e non a titolo gratuito ma facendole comunuqe pagare. Questa, ad oggi, è però la situazione.
    In merito alla Norma EN 13432:2000 ( recepita in Italia dall’UNI come Norma UNI EN 13432:2002 ), oggi questa Norma non è più soltanto un riferimento standard però volontario ma ha vincolo obbligatorio per ciò che concerne la produzione di imballaggi che possano essere definiti come biodegradabili e compostabili. Questo perchè è l’italia ( primo parese in Europa ) ha approvato in maniera definitiva la Direttiva Europea Quadro sui Rifiuti ( n.98/2008) la quale, all’art.183, stabilisce che i rifiuti umidi organici domestici sono definiti come rifiuti biodegradabili e possono essere raccolti soltanto con sacchetti “compostabili” ( il termine biodegradabile è stato tolto perchè troppo generico ) certificati in conformita alla Norma UNI EN 13432:2002. Questo è ciò che è stato approvato e poi pubblicato nella Gazzetta Ufficiale con Decreto n. 205 in data 10/12/2010. La Norma UNI EN 13432 è oggi proprio l’oggetto di riferimento per quanto riguarda la Direttiva Europea, poichè , come anche chiarito nella sentenza dell’Antitrust, non si può fare riferimento al concetto di biodegradabilità senza che tale concetto sia legato e disciplinato da Norme Europee.
    Questo per quanto riguarda la ( come giustamente definita da lei ) noiosa.
    In definitiva ( e non mi riferisco alla Legge che proibisce i sacchetti in polietilene ) o un prodotto è biodegradabile oppure non lo è. Se lo è deve essere conforme alla Norma UNI EN 13432.
    Per quanto riguarda gli additivi ( lei cita ECM ma ci sono molti altri sul mercato ) non c’è purtroppo nessuna prova documentale che confermi la loro totale biodegradazione in un periodo di tempo certo e in determinate condizioni.
    Quello che lei riporta in merito a quanto avvenuto in Francia è corretto

  28. Giovanni Salcuni ha detto:

    Caro Sig. Daniele,
    SACCHETTI IN BIOPLASTICA: si rompono soltanto se l’azienda che li produce non lo fa come si dovrebbe. Ci sono sacchetti bio-shoppers totalmente conformi alla Norma EN 13432 che, oltre a non puzzare, hanno una tenuta anche superiore a quella di buste tradizionali. Dipende da chi produce il prodotto e , anche, da biopolimero utilizzato. Attualmente costano molto ( è vero). Se certificate in conformità alla Norma EN 13432 sono ri-utilizzabili per la raccolta dello scarto umido organico o smaltibili nella frazione umida della raccolta differenziata

    BUSTE IN POLIETILENE: E’ mia opinione personale che la guerra contro tali buste ( e contro la plastica ) sia insensata. Non è la busta colpevole di inquinamento, ma il comportamento delle persone. La busta in plastica puo’ essere riciclata nella frazione plastica della raccolta differenziata, è questo è importante ( oltre che conforme a quanto prescritto dalla Direttiva Europea Quadro sui Rifiuti ). Costa relativamente poco ( nonostante i continui aumenti )
    SACCHETTO ADDITIVATO CON ECM:Personalmente, ritengo che non abbia alcun senso. E’ soltanto un sacchetto che costa di più di un sacchetto in polietilene ( non di meno di un sacchetto di bioplastica perchè non è biodegradabile, quindi bisogna paragonare mele con mele e pere con pere) con l’aggravante che, da un punto di vista ambientale, può essere smaltito soltanto nel rifiuto indifferenziato ( cioè ciò che va ad incenerimento ). Mi permetto di dissentire sul fatto che sono riciclabili nella plastica. Infatti c’è una ben precisa posizione presa in merito alla “riciclabilità” di questi prodotti da parte della stessa European Plastics Ryciclator Association ( cioè l’associazione che rappresenta le società che riciclano i manufatti plastici ). La presenza di manufatti plastici che di “degradano” nel tempo a causa della presenza di additivi, va ad inquinare il riciclo stesso della plastica ( nel sito http://www.polimerica.it si può vedere il position paper di tale associazione in merito agli additivi ).

    In defitiva, secondo me, non si può definire l’additivo un “buon compromesso”, la “via di mezzo”, perchè tali prodotti non soddisfano nessuno dei requisiti fondamentali richiesti dalla Direttiva Europea Quadro sui Rifiuti. Non sono riciclabili, nè compostabili. Derivano comunque da fonti fossili e vanno aggiunti a polimeri di origine fossile ( quindi, non c’è nemmeno il vantaggio di limitare l’abuso del petrolio come unica fonte di materie prime ed energia) e, conseguentemente, non c’è nemmeno alcun vantaggio da un punto di vista di emissioni di CO2 nell’atmosfera ( dato che questi prodotti sono di origine fossile, vanno aggiunti a manufatti prodotti con polimeri di origine fossile e sono per giunta prodotti e venduti da società prevalentemente localizzate oltre oceano, quindi c’è anche questo da mettere in conto come impatto ambientale ).

  29. Daniele Kirchmayer ha detto:

    Rimangono alcuni punti:

    A) i produttori possono produrre sacchetti in plastica??? Loro stessi “pensano di si ma non sono sicuri.” Sono certi di non poterlo fare per la grande distribuzione (GDO) ma per i piccoli continuano a farlo (ditemi poi voi qual’è poi il criterio di distinzione tra grande e piccolo)

    B) è dal 2007 che si proroga. Il tempo per pensare c’era. La precedente proroga era al 31/12/2009 e dal 1 gennaio 2010 invece che pensare al problema tutti si sono limitati a sperare in un’ulteriore proroga

    C) come produco una borsa per un negozio che utilizzava plastica resistente esempio per un’agraria e un negozio di autoricambi?

    D) Una delle soluzioni alternative sono le borse di carta che costa almeno 20 cent a pezzo posso continuare a farle plastificate?

    E) quando personalizzo una borsa in materiale bio, come incide il colore della stampa sul processo di biodegradabilità?

    F) in molti negozi si trovano in vendita borse di plastica non stampate. Vanno a smaltimento anche loro?

  30. Giovanni Salcuni ha detto:

    Caro Sig. Daniele,
    io comprendo la situazione, la conosco bene, mi creda, ma non posso dare soluzioni, non ho la bacchetta magica. Non sono una persona politica o che agisce in ambito governativo.
    Posso soltanto limitarmi, come operatore di settore, a giudicare i fatti, le leggi, le norme e cosa è conforme e cosa non lo è.
    Sono d’accordo peraltro con lei sul fatto che spesso non ci sia chiarezza, su questo ha perfettamente ragione, però, almeno su qualche fatto c’è la certezza: e cioè su cosa bisogna attenersi per produrre un manufatto che possa essere classificato come biodegradabile e compostabile, e su cosa possa essere prodotto e riciclato nella propria filiera. Altro, credo, non si possa fare. Se si ritiene che la soluzione sia produrre manufatti additivati, non sono certo io ad impedirlo, però ognuno deve essere al corrente che tali prodotti non sono e non possono essere classificati come biodegradabili e compostabili. Ripeto, personalmente, nonostante oggi la legge li vieti, secondo me sono molto meglio i sacchetti di plastica piuttosto che quelli in plastica additivata, sia da un punto di vista ambientale che commerciale ( costi ), così come hanno senso i sacchetti in bioplastica ( purchè realizzati nel rispetto delle Norme della compostabilità e qualità di prodotto ).
    Ognuno poi è libero di fare le proprie scelte imprenditoriali e personali e ne trarrà beneficio oppure no a seconda di ciò che si fa.
    La saluto Cordialmente e mi auguro prima o poi di conoscerla non soltanto via internet ma, magari, di persona.

  31. Daniele Kirchmayer ha detto:

    Ricambio i saluti, la ringrazio per avermi dato altri spunti mi dispiace per chi sperava di capire qualcosa di più ma questo non è accaduto.

    Avrei altre cose da dire, chiedere e obiettare ma direi che è il caso di fermarci qua almeno fino a quando non ci saranno altri sviluppi.

  32. AnnA ha detto:

    Io da decenni uso solo borse di tela (a suo tempo prese altrove… ora fortunatamente stanno finalmente facendo capolino anche qui in modo più visibile), mia madre il trolley.

  33. Marco ha detto:

    Buongiorno a tutti,
    mi ha molto colpito la vostra discussione e mi piacerebbe esporre il mio parere: Io sono totalmente contrario ai sacchetti biodegradabili prodotti con amido di mais, perchè si sfruttano risorse naturali il mais, cibo per l’esistenza, per produrre un bene superfluo, è assurdo come i nostri governi possano far si che ciò sia legale, ed in più aggiungo…voi credete che nei sacchetti in materiale biodegradabile (in amido di mais) al suo interno non contegano dei polimeri additivati??? e certo che li contengono…se no non avrebbero neanche un minimo di resistenza. Quindi è solo politica…ed è assurda.
    Ora vi racconto un episodio:
    Sono stato in un noto negozio che vende articoli per lo sport, mi sono accorto di essermi dimenticato il mio sacchetto per la spesa ed ecco che mi propongono un sacchetto biodegradabile: leggo che esso è prodotto in materbi lo prendo infilo dentro i miei acquisti con la paura che si potesse rompere, ma dopo tutto ha resistito, se non fino a quando sono arrivato a casa, una delle due “maniglie” ha dato segno di cedimento, alla fine l’ho pagato 15centesimi e li ho buttati nel cestino, perchè veramente era maleodorante! quindi ho buttato 15 centesimi nel cestino!!!! in più ho sottratto cibo al mondo!!! mi sono sentito veramente male!
    La mia opinione in tutto ciò è si alle buste di carta, e quelle di tela,si a quelle prodotte con l’additivo ECM ormai noto per la sentenzaì del garante riducono di parecchio il tempo di biodegradabilità e questo è accettabile, ma veramente dico NO! ai prodotti in amido di mais, che dovrebbero metterli al bando.

  34. Tomislav Dork ha detto:

    Buon giorno a tutti,
    desidero farVi presente che il polietilene è (insieme al polipropilene) uno dei materiali plastici più sicuro al mondo, tant’è che viene utilizzato anche nella produzione di giocattoli per neonati (andate a farvi un giro in farmacia)oltre che dei biberon; anche se ingoiato non c’è alcun pericolo per la salute; se invece prende fuoco non c’è alcun rilascio di diossina (fa gli stessi danni all’atmosfera di un bel tronco d’albero).

    Desidero invece farVi presente che GLI SHOPPERS IN MATERBI NON SOLO ASSOLUTAMENTE PER ALIMENTI.

    La Novamont produce diversi tipi di MaterBi (detti gradi), alcuni dei quali sono per alimenti (vedi quelli usati per la produzione di posate e bicchieri). Ma il grado specifico utilizzato per la produzione di buste e shoppers non lo è affatto.

    Ne è una conferma il fatto che non esista in commercio un solo shopper (vedi COOP, SMA, IPER, CONAD, GS, ecc.) che rechi la dicitura

    “Per Alimenti” ne’ il relativo marchietto con forchetta.

    A questo punto mi chiedo che danno possa arrecare all’ambiente, una volta finito in un fiume, in un terreno agricolo o tra l’umido, un prodotto che non può essere dichiarato “per alimenti” (a differenza del polietilene, completamene atossico).

    Lo stesso Comune di Bolzano non accetta i sacchetti in MaterBi perchè la società ECO-CENTER di Bolzano (incaricata
    dello smaltimento dei rifiuti dell’intera provincia di Bolzano) dichiara “i sacchetti in amido di mais (materBi)non sono compatibili con l’impianto di fermentazione di Lana.”

    L’imporre il MaterBi come unico materiale è un atto politico che va a danno dell’economia dei singoli cittadini (con un aggravio di spesa del 500%).

    Cordiali saluti.

    Tomislav Dork

  35. Paolo Serafin ha detto:

    Buongiorno a tutti,
    scrivo da addetto nel settore.
    Le opinioni espresse sopra sono tutte più o meno condivisibili. A chi però accusa le bioplastiche di contribuire ad affamare il mondo, chiedo di smettere di utilizzare tutti i tipi di carta, gli scatoloni, l’appretto per lo stiro, pannolini, colle e varie altre cose, in quanto circa il 50% della produzione mondiale di amido viene utilizzata per applicazioni non alimentari. Per info, la sola carta per fotocopie che abbiamo tutti contiene in media l’8% in peso di amido. E da dove credete che venga?

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