4 Novembre 2010

Scampoli di storia: le origini della calandraca

La “calandraca” è uno stufato di carne e patate o, meglio, di carne lessata ricucinata in teglia con le patate. Pietanza originariamente di gente di mare; il termine è di probabile etimologia greca, attestato su tutta la costa istriana e nel Quarnero: a Lussino è fatto con le patate, l’ olio e l’ aglio. E’ definito anche come “stufato”. Nel fiumano designa uno “spezzatino di manzo cotto insieme con le patate che dovevano quasi disfarsi nel sugo”.
Considerata la sua diffusione, direi che non si può quindi definire, come da più parti viene fatto, un “tipico” piatto della cucina marinara triestina, anzi. Secondo Mario Doria, docente di glottologia all’ Universita di Trieste, autore con Claudio Noliani del “Grande dizionario del dialetto triestino”, invece l’ origine del termine non è greca ma deriva da “calandrata”, equivalente a “cilindrata”, cioè carne seccata e passata sotto la “calandra” (la “calandra” era una macchina in uso nel Settecento costituita da pesanti cilindri a contatto per distendere in fogli varie sostanze”).

Vecchia calandra

Un’ ipotesi più recente collega la voce allo spagnolo. “Calandraca” infatti sono chiamati nel Sudamerica ispanofono vari cibi, per lo più frutto di mescolanze varie (pappe, polente, puree, macedonie) e “calandraja” (“kalandràkha”) è detto anche in Spagna un impasto di pane, uva, farina cotto come un pane al forno. Sia il termine di origine greca, spagnola o adriatica comunemente individua una “zuppa fatta con cibo vecchio, avariato”. Sicuramente in origine la “calandraca” veniva preparata con le carni salate di montone o di castrato, le più usate dai marinai da tempi immemorabili (e ancora in auge sino ai primi anni di questo secolo, quando dalla Dalmazia veniva importata l’ allora rinomata “castradina”) perchè le provviste di bordo, se si escludono alcuni animali vivi e poche derrate fresche destinate al consumo immediato, erano costituite esclusivamente da prodotti non deperibili, tra i quali la carne salata o essiccata occupava un posto di rilievo. Per poterle cucinare, queste carni devono essere preventivamente sottoposte agli stessi trattamenti del baccalà. Di qui Mario Doria – come ho già detto – ricava l’etimologia della parola “calandraca”, che deriverebbe da “cilindrata”, ossia passata sotto il mangano. Secondo Gianni Pinguentini – anche lui autore di un dizionario del dialetto triestino – il vocabolo trae origine dal nome di un’ antica imbarcazione, la “calandra”, come potrebbe essere confermato da un documento del 1225: “Ducemus nobiscum centum Calandram, et tenebimus quinquaginta galeas”. Sicuramente non si situava ai vertici delle preferenze alimentari dei marinai: “No xe pericolo che i coghi de bordo se dimentichi la riceta dela calandraca !” (“non c’ è pericolo che i cuochi di bordo si scordino la ricetta della calandraca !”). A Trieste molti sostengono che la “calandraca” sia un piatto greco importato a Trieste nel 1500 dalla moglie di certo Sancin di Servola, marinaio. La “calandraca” è senz’ altro piatto antichissimo, ma il suo aspetto originario doveva essere molto diverso dall’ attuale, poichè pomodori e patate, come già detto, non erano disponibili a bordo sino a tempi relativamente recenti. Doveva quindi trattarsi di un intingolo ottenuto con la carne salata o secca di montone o di castrato, in precedenza lessata per ottenerne il brodo. A bordo delle navi della K.u.K. Kriegsmarine (Marina Militare Austro-Ungarica), veniva preparata sin troppo spesso, a quanto appare dai documenti pervenuti, destando spesso sommesse proteste fra i marinai imbarcati. Non veniva più usata la carne salata, ma quella fresca di manzo già utilizzata per il brodo. Oggi il piatto viene preparato quasi esclusivamente con carni fresche non precotte, ciò che lo snatura e lo trasforma in un più anonimo spezzatino con patate.

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22 commenti a Scampoli di storia: le origini della calandraca

  1. omo vespa ha detto:

    iera sempre manzo? altre carni mai?
    forse ricordo mal ma me par de gaver magna una volta calandraca con carne de agnel.

  2. Rupel ha detto:

    che bona

  3. Paolo Geri ha detto:

    # 1. omo vespa.
    Parliamo della calandraca “originale”, quindi solo manzo che prima dava il brodo e dopo veniva “ricucinato”. Se invece facciamo uno stufato ovviamente possiamo usare la carne che vogliamo, ma non è più calandraca.

  4. Luigi (veneziano) ha detto:

    Voglio ricordare che la “castradina” è ancora notevolmente in auge qua a Venezia: non è un piatto sparito agli inizi del ‘900.

    Anzi: è il piatto tipico della festa della Madonna della Salute (21 novembre). Domani devo andarla a prenotare dal macellaio.

    L.

  5. Elisea ha detto:

    La mia mamma faceva con carne de gallina xe assai bon e piu legger

  6. John Remada ha detto:

    Oh che grande sorpresa!! Il n.4 ,il grande gigi si fa vivo! Ritorna grande saggio, non marcare visita! Mi auguro che sia un macellaio assai mite quello del mitico veneziano…

  7. Fiora ha detto:

    recidivo il personaggio al post 6…. MAI dico MAI nulla di appena inerente e appena degno d’interesse…. il post 5 vecchio di sette anni ,caduto quindi in prescrizione, offre a sto conte di Montecristo della mutua, pretesto per reiterare livori, abbastanza criptici per la verità ma con l’inconfondibile caratteristica di non far ridere.
    Ma butti giù uno straccio di ricetta delle sue parti e farà cosa buona (sperabilmente ) e giusta ( sicuramente!)
    in altra discussione si è autodefinito ” indomabile”. Mah! dai contenuti azzarderei piuttosto un ” inguantabile”!

  8. John Remada ha detto:

    @7 Di sicuro non ti batto, Fiorenza…..e ciò non mi duole. Il vero dolore è che il tuo faro nella notte buia , il marcatore di tanta cassa malati, è scomparso del tutto….eppure a farneticazioni era il massimo, ma si vede che le costole dicevano ” meglio mona che spacà del tuto!” Un saluto Fiorenza.

  9. Fiora ha detto:

    onorata! sul libro nero del Rancoroso nientemeno che accanto a Messner e ai grossi calibri di bora.la, con tutta probabilità dirottati per saturazione dei suoi ripetitivi sproloqui polemici vecchio stile e utilizzo di altrui sortite per tentare goffamente di colpire proprio chi gliele ha dedicate. Preoccupante…
    Ingredienti scaduti, nessuna variazione personale, né perlomeno pedissequa aderenza al tema della discussione. Di fresco non resta che il concentrato di bile.
    Pessima calandraca con ingredienti così !

  10. Fiora ha detto:

    Chi scrive pubblicamente, io per prima, ambisce al successo di pubblico e di critica, altrimenti non scriverebbe. Né può pretendere che sia solo la redazione a giudicare di quel che scrive.
    Pertanto se è vero, come è vero, che chi tace acconsente, come utente ho ritenuto giusto esprimere il mio dissenso.
    Superfluo precisare a chi le ha condivise,che ho cominciato a reagire dopo mesi e mesi di queste amene letture, ritrovate paro paro in ogni discussione e sorbite in silenzio.

  11. John Remada ha detto:

    Non posso ribattere Fiorenza….e neanche me frega….. Bora.la non è uno spazio per dispute personali , ma per esprimere la propria opinione in merito agli articoli proposti ,quindi sarei fuori tema. Del resto se sei quella che ho rintracciato su FB, lungi da me qualsiasi randevous di ogni tipo!! Saluti Fiorenza.

  12. Fiora ha detto:

    si tratta di un’omonima .Per questa omonimia, dove richiesto mi firmo anche col cognome da coniugata . MAI iscritta a FB.
    Un tanto per chiarezza.

  13. Fiora ha detto:

    …” bora la non è uno spazio per dispute personali..” è tua ,Remada?Finalmente e sarebbe la prima sortita sensata da mesi . meglio tardi che mai Persevera!

  14. John Remada ha detto:

    Bene, allora vale la prima parte del mio scritto.

  15. John Remada ha detto:

    Le sortite erano sempre precise, me ne dai una ,te ne torno 3…4 o di più, niente ravvedimenti.

  16. Fiora ha detto:

    penso che bora.la non sia neppure un luogo di sedute spiritiche dove un aspirante medium tenta di far riapparire gli scomparsi con invocazioni provocatorie.
    L’ operazione puntualmente fallisce perché alle invocazioni del dilettante non si presenta mai nessuno.
    Sarebbe il caso di cambiare mestiere e limitarsi a fare il commentatore

  17. Fiora ha detto:

    come investigatore prendi lucciole per lanterne, come medium risulti una frana…sei alla frutta , Jonny.
    Magari butti giù una ricettina locale per restare in tema e recuperi un minimo .

  18. John Remada ha detto:

    Qui sbagli di grosso….se i citati sono in un bel cappotto legnoso, si trattava di un tributo dovuto ai signori citati, non di un’invocazione a una resurrezione di certo non da me auspicata! Io vendo vinili e fumetteria ,oltre a antiquariato di vario tipo , non ho nessuna intenzione di cambiare mestiere; so fare anche altre cose se capita l’occasione , più o meno simpatiche…..dipende dai punti di vista.

  19. John Remada ha detto:

    Caso mai lanterne per lucciole, così le vendo al mio banco.

  20. Gianni Bua ha detto:

    @17….
    capisco che da …fastidio… ma IMHO lasciarlo senza alcuna risposta potrebbe far zittire il tizio.

    Servus, Gb

  21. Fiora ha detto:

    @20
    Ciao Gianni,proprio perché non sto sui social,( recente granchio del tizio)seguo assiduamente bora la . Ti assicuro che sono mesi che il personaggio, forte del garantismo della redazione, imperversa coi suoi cavoli a merenda ,nel silenzio esterrefatto della sottoscritta , e presumo indifferente di altri, .
    A nulla è servito lasciarlo senza repliche né il richiamo ufficiale della redazione. Anzi più protervo di prima ha ripreso ad invadere ogni spazio con i suoi diktat tanto ineffabili quanto ripetitivi.
    Qualcuno (non io) ha parlato di farneticazioni….ha minacciato querele. Risibile! Solo allora ho espresso il mio disappunto e il rammarico per come questa testata alla quale sono affezionata, rischi di diventare organo ufficiale di uno che dopo la lunga e operosa vita che gli auguro, da povero di spirito qual è, il posto a fianco del creatore se l’è assicurato a pieno titolo.

  22. Nereo Zeper ha detto:

    A Trieste la calandraca è uno spezzatino con patate in rosso, ossia con l’aggiunta di un po’ di pelati. Fino a una cinquantina di anni fa si adoperava ancora solo la conserva di pomodoro, e prima dell’ultima guerra si faceva innanzi tutto il brodo, e solo con la carne lessa si faceva poi la calandraca. Anzi, se diamo retta a chi dice che la calandraca era in origine un piatto marinaro – e ha tutte le ragioni per pensarlo, anche perché alcuni documenti lo certificano – pare che venisse fatta a bordo con carne di castrato salata.
    La calandraca è diffusa solo a Trieste, Istria, Fiume, Quarnero (Cherso, Lussino eccetera) e parte della Dalmazia, e non è conosciuta né a Venezia, né a Grado (né tantomeno nel resto d’Italia). E veniamo dunque all’origine del termine. Varie le ipotesi.
    a) C’è chi ha creduto che fosse una pietanza di origine greca (forse solo perché quella finale in -aca richiamava il mussakà, famoso pasticcio greco).
    b) Chi ha parlato di una pentola che si sarebbe chiamata calandra (?).
    c) Chi, come il Pinguentini ha creduto che derivasse dal nome di un tipo di barca, la calandra o calandricio, e quindi cibo fatto a bordo delle calandre.
    d) Altri, invece, come il professor Doria ha pensato a una carne calandrata, e cioè pressata dalla calandra, che sarebbe una macchina a cilindri per pressare. Questa carne calandrata e salata sarebbe stata poi la carne comune a bordo per fare le varie pietanze tra le quali la nostra calandraca. Quanto al -ca al posto di -ta, si veda stagnaco (secchio) che, essendo in origine fatto di stagno, avrebbe dovuto dirsi stagnato. Pensiamo a batosca che in italiano si dice ‘batosta’.
    Probabilmente sono tutti fuori strada. Bisogna sapere che oggi, in tutto il Sudamerica, per calandraca si intende una zuppa di cui ogni regione ha una ricetta diversa: per alcuni è una specie di macedonia, per altri una polenta, per altri un purè, insomma una mescolanza, una pappa. Ma ha anche un altro significato, ancora più diffuso, forse: vuol dire (nel gergo dei portuali di Buenos Aires) ‘persona debole e senza alcun valore, infelice, disprezzabile, fiacco, pigro, infermo, male in arnese’. El viejo calandraca, per esempio, altro non è che un vecchio rincitrullito e mal messo. Ma anche in Spegna il termine è conosciuto. È:
    a) un impasto (di pane, uva, farina cotto come un pane al forno),
    b) o ‘persona noiosa, molesta, spregevole’.
    Sempre in spagnolo calandrajo vuol dire ‘pezzo di tela rotta e stracciata, che pende dal vestito’, ‘drappo vecchio’, ‘persona ridicola e spregevole’, e alla fine ‘oggetto vecchio, brutto e senza utilità, catorcio’. Anticamente, però, calandraca significava “zuppa che si faceva a bordo con pezzi di galletta quando scarseggiavano i viveri”, ma anche “galletta avariata, o frammento di galletta, o resti della medesima”. In altre parole i marinai, quando dovevano arrivare a terra e mancava ancora qualche giorno e non avevano più viveri facevano un pastone di tutto quello che avevano di ‘vecchio’ appunto, anche di ‘avariato’ ‘deperito’, ‘sporco’ e pur di sopravvivere quello mangiavano. Ed ecco qui il collegamento: calandrajo significa in origine (e significa ancora in certi dialetti spagnoli) ‘vecchio, avariato, deperito’ e calandraca è la zuppa fatta col cibo calandrajo col cibo deperito.
    Quanto all’origine di calandrajo, se qualche studioso spagnolo parla di un andrajo (Corominas), che sarebbe uno ‘straccio rotto’, e perciò vecchio, altri pensano che calandrajo derivi da un altro vocabolo, il calandario, ossia il normale calendario, che poi, per metatesi sarebbe diventato prima calandraio, quindi calandrajo, che nei secoli passati si pronunciava [kalan’draʒo], e poi con la pronuncia attuale [kalan’draxo]. Infatti ancora oggi, in certi dialetti spagnoli, calandario significa tanto il nostro calendario quanto ‘oggetto vecchio, brutto e senza utilità’, ‘cosa vecchia e sgualcita’, ‘mostriciattolo’, ‘sproposito’.
    Ma perché un calendario dovrebbe significare tutto questo? Una risposta: i calendari un tempo non erano certo di carta che si gettava come oggi al passar dell’anno; dovevano essere di legno o di pelle o di qualche altra materia, e perciò dovevano finire in soffitta tra le cose inutilizzate, diventare vecchi, stracciati, sgualciti. Altra risposta: se il primo significato di calandario fosse ‘vecchio’, bisognerebbe pensare a qualcosa che, come i vecchi, “ha molti giorni”, un calendario appunto.
    Calandario, dunque, calandraio, calandrajo [kalan’dràʒo, kalan’dràxo], calandraco e infine calandraca, giunta per mare nei nostri lidi o importata da qualche marittimo.
    Da Internet: Calandraca era también de antiguo una sopa típica de los marineros españoles en alta mar. En Italia, más refinados los italianos, es un plato marinero de carne salada o mariscos compuesto con tomates, papas y aceite de oliva.

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