3 Novembre 2010

San Giusto, l’omelia del vescovo Crepaldi: “Bisogna far tornare di moda famiglia e matrimonio”

Ecco l’omelia dell’arcivescovo Crepaldi in occasione della solennità di San Giusto.

La Chiesa di Trieste onora e venera oggi il santo Patrono della città: San Giusto, morto martire per testimoniare, con il dono della vita, la sua fede nel Signore Gesù e il suo attaccamento alla causa del Vangelo. Ad una attenta considerazione di fede, il martirio di San Giusto dà espressione ad una forma di amore totale a Dio, fondata sulla morte di Gesù, sul suo sacrificio supremo d’amore, consumato sulla Croce affinché noi potessimo avere la vita (cfr Gv 10,10). Cristo è il servo sofferente di cui parla il profeta Isaia (cfr Is 52,13-15), che ha donato se stesso in riscatto per molti (cfr Mt 20,28). Il martire segue il Signore fino in fondo, accettando liberamente di morire per la salvezza del mondo, in una prova suprema di fede e di amore (cfr Lumen Gentium, 42). Come discepoli del Signore Gesù, ognuno di noi è invitato pertanto a prendere ogni giorno la propria croce e seguirlo sulla via dell’amore totale a Dio Padre e all’umanità: “chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,38-39). E’ la logica del chicco di grano che muore per germogliare e portare vita (cfr Gv 12,24). Gesù stesso è il chicco di grano venuto da Dio, il chicco di grano divino, che si lascia cadere sulla terra, che si lascia spezzare, rompere nella morte e, proprio attraverso questo, si apre e può così portare frutto nella vastità del mondo.

Chiediamoci: da dove nasce la forza per affrontare il martirio? In una recente catechesi del mercoledì, il Santo Padre Benedetto XVI ci offre questa pregnante e stimolante risposta: “Dalla profonda e intima unione con Cristo, perché il martirio e la vocazione al martirio non sono il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta ad un’iniziativa e ad una chiamata di Dio, sono un dono della Sua grazia, che rende capaci di offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa, e così al mondo. Se leggiamo le vite dei martiri rimaniamo stupiti per la serenità e il coraggio nell’affrontare la sofferenza e la morte: la potenza di Dio si manifesta pienamente nella debolezza, nella povertà di chi si affida a Lui e ripone solo in Lui la propria speranza (cfr 2Cor 12,9). Ma è importante sottolineare che la grazia di Dio non sopprime o soffoca la libertà di chi affronta il martirio, ma al contrario la arricchisce e la esalta: il martire è una persona sommamente libera, libera nei confronti del potere, del mondo; una persona libera che, in un unico atto definitivo, dona a Dio tutta la sua vita, e in un supremo atto di fede, di speranza e di carità, si abbandona nelle mani del suo Creatore e Redentore; sacrifica la propria vita per essere associato in modo totale al Sacrificio di Cristo sulla Croce. In una parola, il martirio è un grande atto di amore in risposta all’immenso amore di Dio”. Probabilmente noi non siamo chiamati al martirio, ma – come ho avuto modo di indicare nel recente documento Essere Lettera di Cristo a Trieste -nessuno di noi deve sentirsi escluso dalla chiamata alla santità, dalla chiamata a vivere in misura alta l’esistenza cristiana. Tutti, soprattutto nel nostro tempo in cui sembrano prevalere egoismo e individualismo, dobbiamo assumerci come primo e fondamentale impegno quello di crescere ogni giorno in un amore più grande a Dio e ai fratelli per trasformare la nostra vita e trasformare così anche il nostro mondo. Per intercessione di san Giusto chiediamo al Signore di infiammare il nostro cuore per essere capaci di amare come Lui ha amato ciascuno di noi.

In questa prospettiva e nel contesto di questa celebrazione solenne per la festività di san Giusto, desidero richiamare la decisione di convocare nel 2012 un Sinodo diocesano, che sarà opportunamente preparato in questi due anni di intensa attività pastorale. Nel già citato documento Essere Lettera di Cristo a Trieste ne traccio un breve profilo e ne descrivo i tratti salienti. La lunga e secolare sapienza cristiana, infatti, ha individuato nel Sinodo diocesano quella «assemblea consultiva, convocata e diretta dal Vescovo, alla quale sono chiamati, secondo le prescrizioni canoniche, sacerdoti e altri fedeli della Chiesa particolare, per aiutarlo nella sua funzione di guida della comunità diocesana»1. Esso è «un atto di governo episcopale ed evento di comunione di primario rilievo»2. La parola sinodo deriva dalla lingua greca (syn-odos) e significa un cammino fatto insieme per scoprire e vivere in pienezza la grazia di essere Chiesa di Dio, Popolo di Dio, Corpo di Cristo, Lettera di Cristo. Sarà un camminare ecclesiale, di tutta la Chiesa tergestina, in fedeltà al Vangelo di Gesù. Sarà un camminare insieme cadenzato dalle fondamentali esigenze della conversione personale e del rinnovamento ecclesiale. A san Giusto chiedo di sostenere questa nostra Chiesa diocesana nel suo cammino di preparazione al Sinodo in cui è chiamata a intensificare, in tutti i suoi componenti, un salutare processo di conversione al Signore. Ritornare a Dio e alle esigenti richieste del suo Vangelo, sembra oggi l’unica strada credibile per difenderci da una spazzatura morale e ideologica che sta inquinando, in maniera pervasiva, la nostra nazione. Vogliamo pregare il Signore che i miasmi di questa spazzatura non arrivino fino a Trieste. Ad essa ci opporremmo con l’esercizio attento delle virtù della vigilanza e della responsabilità.

Vigilanza e responsabilità che, nella nostra realtà locale, vanno esercitate nei confronti di un soggetto che, di giorno in giorno, diventa sempre più fragile: la famiglia. La fragilità della famiglia non è solo prodotta da contingenze economiche o sociali. Non è solo perché si trova tardi un lavoro, perché bisogna lavorare in due o perché le abitazioni costano troppo che la famiglia è in crisi. Lo stesso si deve dire per la procreazione. La denatalità e la fragilità della famiglia hanno prima di tutto cause culturali e di mentalità. Su queste bisogna agire, cercando di fare amare la famiglia e il matrimonio e renderli nuovamente attraenti per i giovani. Bisogna farli tornare di moda. Certo che fino a quando i media insistentemente promuovono le “nuove forme di famiglia” come se fossero normali, se celebrano la vita da single, se presentano la sessualità in termini ludici, individualistici e strumentali, se cambiano anche il linguaggio per veicolare nuovi schemi mentali….. una inversione di tendenza sarà molto difficile.
Vigilanza e responsabilità che, nella nostra realtà locale, vanno esercitate nei confronti di un soggetto che, di giorno in giorno, diventa sempre più a rischio: i giovani. La Chiesa diocesana è ben consapevole dei tanti problemi che investono il mondo giovanile triestino e, non da oggi, ha predisposto iniziative di formazione e di coinvolgimento tramite il servizio diocesano di pastorale giovanile. Per un corretto approccio a queste molteplici problematiche mi sembra importante partire da una consapevolezza di fondo, piena di fiducia e di speranza: i giovani non sono un problema e non sono neppure l’espressione tragica di un deserto etico come superficialmente siamo abituati a descriverli. Essi richiamano in causa le responsabilità degli adulti in maniera esigente, soprattutto quando chiedono che venga affrontata la cosiddetta emergenza educativa. Lo chiedono anche i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli; lo chiedono tanti insegnanti, che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole; lo chiede la società nel suo complesso, che vede messe in dubbio le basi stesse della convivenza; lo chiedono nel loro intimo gli stessi ragazzi e giovani, che non vogliono essere lasciati soli di fronte alle sfide della vita».
Vigilanza e responsabilità che, nella nostra realtà locale, vanno esercitate nei confronti di un soggetto che, di giorno in giorno, diventa sempre più aleatorio: il lavoro, che la lunga crisi economico-finanziaria sta rendendo un bene sempre più raro. Sappiamo tutti che il lavoro umano ha a che fare con il bisogno e con la vocazione. Esso è un bisogno legato al sostentamento proprio e della famiglia ma è anche vocazione. Qualsiasi lavoro, anche quello più ripetitivo, è creativo perché è atto della persona, ossia nel lavoro la persona si riconosce come tale: invito ad uscire, ad esprimersi, a diventare se stessa. Nessun lavoro è solo materiale, ma tutti esprimono la spiritualità della persona. Nessun lavoro dovrebbe essere costrizione, oppressione, sfruttamento. In ogni lavoro c’è molto di più di quanto il lavoratore ci mette. Il lavoro è di più di quanto viene pagato. Ciò che il lavoratore ci mette e ciò che viene pagato sono l’aspetto oggettivo o tecnico del lavoro, ma l’essenza del lavoro è l’uomo che lavora e che nel lavoro cerca conferma della propria identità. La disoccupazione va a mortificare l’essenza stessa della persona.
A san Giusto, nostro patrono, affidiamo queste nostre preoccupazioni, chiedendogli la grazia di dare ad esse una risposta di bene e per il bene di tutti i nostri amati concittadini di Trieste.

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21 commenti a San Giusto, l’omelia del vescovo Crepaldi: “Bisogna far tornare di moda famiglia e matrimonio”

  1. Luciana ha detto:

    Moda? Difficile, io punterei su un consolidato fenomeno di nicchia.

  2. Paolo Geri ha detto:

    Che “questa” visione cattolica presentata da Crepaldi e quella laica della famiglia siano contrapposte non serviva ribadirlo. E’ così da decenni in Italia. Come son serve ribadire che Crepaldi – adifferenza dei suoi predecessori – è un vescovo che fa politica attiva e di destra. Basta leggere la sua ultima intervista a “Il Piccolo”.

  3. bonalama ha detto:

    #2 leggere l’intervista ? e perché mai farsi andare il pranzo di traverso?

  4. ufo ha detto:

    Il lavoro è di più di quanto viene pagato“.

    Qualche mese fa ho letto su un forum sloveno di cui non mi ricordo il nome (ma decisamente sull’anticlericale) che la busta paga vescovile sarebbe attorno agli undicimila euro mensili.
    C’è qualcuno che ha dei dati affidabili al riguardo?

  5. Luigi (veneziano) ha detto:

    Lo stipendio di un vescovo in realtà è abbastanza basso, calcolato sulla base di un punteggio che mescola anzianità, “grado” (può essere o non essere cardinale, può essere o non essere a capo di una diocesi, può essere o non essere di curia) e popolazione della propria diocesi (nel caso in cui sia a capo di una diocesi).

    Diciamo che un vescovo di livello “medio/alto” porta a casa sui 2.000 Euro netti.

    Un vescovo però generalmente non ha delle spese “proprie”, ma sempre delle spese “funzionali”, di conseguenza ci sono dei capitolati nei bilanci della diocesi dai quali può attingere.

    Oltre a ciò, un vescovo non ha praticamente spese: “vitto e alloggio” sono pagati.

    Detto questo, conosco i casi di preti e vescovi che alla loro morte hanno lasciato in eredità praticamente niente.

    Luigi (veneziano)

  6. matteo ha detto:

    un uomo di dio non lavora per i soldi, il problema non è la religione ma gl’uomini

  7. mutante ha detto:

    c’è gente che si spacca in due per metter su famiglia in mezzo a tutte le difficoltà (e senza un’istituzione che muova un dito se non per esigere balzelli e bollette), e questo qui bltera che la famiglia deve tornare di moda?! ma da dove vieni, dal paese di roger rabbit?

  8. Victor Bergman ha detto:

    In sostanza, il nostro buon vescovo ha nostalgia dei bei tempi di una volta, di cui un breve ripasso:

    “Quella prima pagella, alle elementari, non la scorderò mai. Non perché i voti fossero tanto brutti o tanto belli, ma perché in prima pagina, in calligrafia arzigogolata, c’era scritto: «Giordano Bruno Guerri, figlio di Gina Guerri e di N.N.»: cioè di nessuno. Figlio di padre ignoto. Invece io il babbo ce l’avevo, eccome, e tornava a casa tutte le sere, e mi copriva di coccole e mi voleva bene. Solo che in quegli anni – parlo dei metà Cinquanta – il diritto di famiglia era crudelissimo, spietato. Mio padre aveva avuto un matrimonio, di divorzio neanche a parlarne, ed esisteva una tremenda legge sul concubinaggio per cui se avesse riconosciuto un figlio convivente e nato fuori dal matrimonio sarebbe finito in galera, come un delinquente qualsiasi. Ora, a mezzo secolo di distanza, non farò del colore lacrimoso sulla mia umiliazione e i miei tormenti di bambino, su come la faccenda dell’N.N. si riseppe subito in classe, su come la crudeltà degli altri bambini infierisse e su come per anni – anni, tutta la mia infanzia – io abbia aspettato le pagelle come uno schiaffo pubblico dal quale non mi potevo difendere. Neppure il mio forte, grande babbo, mi poteva difendere, perché lui non esisteva, era N.N., nessuno. È orribile pensare a quale ferocia possano arrivare uno Stato, una società, nell’intento di difendere la moralità pubblica, il perbenismo, la famiglia-base-del-consorzio-civile”

    Giordano Bruno Guerri, il Giornale, 30.10.2010

  9. mutante ha detto:

    ottima citazione, ottimo storico, però dal pulpito sbagliato: il giornale

  10. Bibliotopa ha detto:

    Una famiglia che decide di chiamare il proprio figlio Giordano Bruno sembrerebbe un filino anticlericale già in partenza.

  11. capitan alcol ha detto:

    Ma il nome non se lo è scelto lui.

  12. Victor Bergman ha detto:

    @Bibliotopa
    Famiglia anticlericale?
    Quale famiglia? Quella di G.B.G.,
    secondo i “crismi” della Chiesa,
    NON ERA una famiglia.

  13. chinaski ha detto:

    no no, ha ragione bibliotopa. guerri non fa testo, perche’ e’ anticlericale. e’ giusto che i bastardi siano pubblicamente riconosciuti per quel che sono, cioe’ dei bastardi. il decoro viene prima di tutto. l’ importante e’ che sia tutto in regola, che i verbali della questura di milano siano stati compilati con la penna stilografica blu, che la casa di cogne abbia i gerani ben curati alle finestre, che le svastiche sui muri siano tracciate col righello.

  14. Victor Bergman ha detto:

    Ma secondo voi, a chi allude il nostro vescovo, quando invita a
    “… difenderci da una spazzatura morale e ideologica che sta inquinando, in maniera pervasiva, la nostra nazione …” ?

    No, perché tralasciando le più o meno ovvie considerazioni che un vescovo fa sulla secolarizzazione (è il suo lavoro, dopotutto), questo passaggio potrebbe significare qualcosa, visto alla luce dell’ennesimo sexy scandalo del nostro premier…

  15. chinaski ha detto:

    no, non c’entra niente. la “spazzatura morale e ideologica” per le gerarchie e’ altra. berlusconi al massimo puo’ creare qualche imbarazzo, ma si sa che certi comportamenti vanno contestualizzati, come dice mons. fisichella.

  16. Victor Bergman ha detto:

    Ah, ma sì, certo, bisogna “contestualizzare”, ovviamente senza cedere alla “dittatura del relativismo”… ça va sans dire.

  17. bonalama ha detto:

    secondo me il presule si riferiva all’illuminismo

  18. MARCANTONIO ha detto:

    Non credo che Voltaire fosse gradito alla chiesa

  19. dimaco ha detto:

    credo che visto l’argomento questo filmato sia d’obbligo:

    http://www.youtube.com/watch?v=gqhacCXu5wU&feature=related

  20. bonalama ha detto:

    intendevo dire che se parlava di qc di negativo forse si riferiva all’ illuminismo, scusate la cripticità

  21. Davethewave ha detto:

    Crepaldi sta ZItto!

    Sti preti che parla de famiglia e fioi me fa schifo.
    Con tutte le famiglie che i ga rovinado e fioi che i ga… Lassemo perder…

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