13 Ottobre 2010

Il don Chisciotte Franco Branciaroli celebra al Rossetti due grandi del teatro: Carmelo Bene e Vittorio Gassman

Ancora un uomo solo sul palco del Rossetti. Dopo Simon Callow, è toccato a Franco Branciaroli aprire la stagione della sezione Altri Percorsi, con il suo spettacolo ispirato al Don Chisciotte di Cervantes. «Don Chisciotte è un enorme trattato sull’imitazione: così come lui imita i cavalieri, io imito i cavalieri della scena», dice l’attore e regista. E così propone una narrazione su più livelli, divertente e profonda, un gioco di specchi in cui si cala nel doppio ruolo di Don Chisciotte e Sancho Panza, dando loro un solo corpo, ma le voci e gli atteggiamenti di Vittorio Gassman e Carmelo Bene.

Branciaroli firma la regia, reinventa e si diverte. Imita i due mostri sacri, mentre discutono sul senso dell’opera di Cervantes e dell’essere attori, in un aldilà condito da alcolici e sigarette, dove genio e sregolatezza sembrano intrecciarsi come in vita. Il protagonista usa le «maschere verbali» dei due grandissimi, indossa e fa loro indossare i panni del Chisciotte e del suo scudiero. Le avventure picaresche del cavaliere si alternano a raffinate analisi sul testo spagnolo e sulla sua straordinaria capacità di parlare dell’uomo, dell’amore e della verità. Di mettere in scena un eroe visionario, la cui immaginazione e le cui verità assolute sanno plasmare un mondo nobile e lontano dalla mediocrità, ma pure irreparabilmente sganciato dal reale.

Branciaroli parla con la voce di Vittorio Gassman e Carmelo Bene e così celebra la loro grandezza e quella del teatro che fu. I due mattatori rivali incarnano gli antitetici punti di vista di don Chisciotte e Sancho Panza. Due sguardi alternativi, che si producono tuttavia all’interno di uno stesso mondo, così come avvenne anche per Gassman e Bene: «Erano due avversari irriducibili – ricorda Branciaroli – ma anche, al fondo, due artisti che si stimavano. E questa è una cosa che mi commuove». Il protagonista decide di nascondere la propria voce e si serve di quella di due attori «mitici» per dare vita a dialoghi e battibecchi e per farsi ascoltare dal pubblico. Omaggio certamente, ma anche «resa dei conti» e denuncia per la marginalità venuta ad assumere oggi dal teatro, dove non sembra esserci spazio per alcuna successione ai grandi. Dice Branciaroli: «È come se dicessi anche: questi sono i miti che avete codificato, e io mi ci confronto, e questo produce anche l’idea teoretica di un Chisciotte che si trova nella condizione in cui mi trovo io, che deve parlare con/per voce altrui, che non vive una condizione romantica con slanci ideali, ma subisce il destino d’un disgraziato alle prese con un mondo che non lo vuole, che non ha niente a che fare con lui. Il Cavaliere dalla triste figura impersona la deriva, l’ultima spiaggia cui viene costretto oggi il teatro».

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