20 Settembre 2010

Un triestino in Macedonia: Pasqua e Pasquetta

Nuova puntata del diario di Pietro Della Rocca, triestino 23enne che ha trascorso due mesi in Macedonia come insegnante di italiano all’Università di Prilep. Qui le puntate precedenti del racconto.

2 aprile

Venerdì santo, giorno festivo: vien mio fradel a trovarme. Arriva attorno alle 7 – smetto el caffè serale con gli altri e vado a prenderlo. El xe ancora confuso del viaggio, quanto lo iero mi appena arrivado. Cerco de spiegarghe che xe un altro mondo qua. Provo a farghe capir la logica locale in qualche modo: lo porto a veder el centro de Bitola, la SIROK SOKAK dove tutti passeggia o bevi el caffè, poi le due grandi moschee. L’ora della preghiera: sentimo cantar la cima del minareto. Poi lo guido nella CHARSHIJA, il vecchio bazar. Dedalo di viuzze tra casette ottomane che contien a malapena parte del negozietto che se realizza in strada. Poi il BEZISTEN, un centro commerciale dell’impero turco. E ghe indico anche i sottopassaggi pedonali ormai chiusi perché pericolanti – simbolo delle infrastrutture macedoni. Rientremo verso casa, passeggiando alle spalle della via principale. Son deluso e frustrado perché non rivo a farghe capir dove el xe. Me sforzo ancora, parlando. Ma vegno interrotto da un canto. Vien da una chiesa ortodossa: xe la sera del venerdì santo. Seguimo la musica, e dopo un paio de curve entremo in un cancello de ferro ruggine che da su una graia. Giremo l’angolo e se ne apri la chiesa: piena de fedeli e candele. Silenziosi i guarda, come aspettando qualcosa, i movimenti del prete che intanto – de spalle – continua a cantar. Dopo qualche minuto uguale agli altri qualcosa se movi, de colpo, e tutta la gente se disponi rispettosamente ai lati della navata. Lassandone veder nel mezzo una specie de tabernacolo de tela bianca da cui 2 tonache estrai un vecchio baldacchino sghangherado, pali de ottone e parte superiore in stoffa e nylon. El baldacchino comincia a camminar, e dietro de lui tutti gli altri in processione – compresa una madre in tacchi alti con bambino appena nato avvolto in una copertina bianca.
Guardemo da dietro la processione che se immetti nella sirok sokak, poi digo a mio fradel de dimenticarse per un po’ tutto quel che ga visto: se va a Manhattan. Lo porto alla festa de Darko, che ga el compleanno e xe molto curioso de veder come xe fatto el secondo italiano. No ghe go dito che vigniva, solo 2 persone saveva. Ma tutta Bitola lo aspetta. E infatti, come uscimo dai Balcani per entrar nel club Base – stargate che porta a Manhattan – tutti gli invitati de Darko che me conossi guarda fissi mio fradel. Uno lo fotografa 5 o 6 volte, gli altri fa la fila per saludarlo.
Stemo poco, domani dovemo andar a Ohrid.

3 aprile

La strada per Ohrid sembra breve e comoda, anche se l’autostrada se interrompi con due transenne inaspettate, obbligandone a prender la vecchia strada. Se fermemo per pranzo a Resen, el primo paese che trovemo. 2 sole strade, stracolme dei suoi abitanti e delle loro tazzine de caffè.
Decidemo de prender Ohrid da sud, costeggiando anche el lago de Prespa e fazendo el passo che xe tra i 2. La strada xe bella, non per manutenzion ma per panorama, aperto sul lago che unissi – o meglio dividi – Macedonia, Grecia e Albania. Fa caldo questi giorni, e xe chi aprofitta in riva al lago per prender sole su qualche sdraio. Noi iniziemo a salir el passo, e continuemo a guardar, nel caldo dei finestrini aperti, el panorama sottostante che ne parla de estate. De colpo – improvvisa e fuori luogo – dietro una curva la neve. Uscimo in maniche corte, me prendo la giacchetta: l’idea della neve fa freddo. Dovemo girar l’auto e tornar, tutta la parte finale del passo xe impraticabile, tanto che sprofondemo camminando.
Così ritornemo indetro, sulla stessa strada tra piccoli minareti piccoli campanili e i piccoli market che presto sparissi, lassando posto alle poche cassette de mele che i tanti abitanti metti speranzosi fuori dalla porta de casa a guardar le auto che passa.
Come se avvicinemo a Ohrid cambia tutto, completamente. Anche i prezzi: qua una bottiglia d’acqua costa el doppio che a Bitola. E la gente qua pol permetterselo, almeno a giudicar dalle auto che gira e lo stato de manutenzion delle strade. Con gli ultimi 10 giorni de Macedonia negli occhi Ohrid me sembra Montecarlo, per pulizia splendore e ricchezza. Mentre se guardemo intorno i ne consiglia de andar a veder la veglia pasquale nella chiesa de Plaosnik stasera, alle 11.
Giremo per Ohrid, ricca de chiese e monasteri, campanili e cupolette, minareti e croci ortodosse da cui ininterrotti sali inni al ‘Gospogi’ (Signore) per la Pasqua. Me convinco che sia un disco. Attorno alle 11 mentre semo di fronte a Sv. Sofia vedemo l’ennesimo gruppo de persone che dai caffè del centro sali verso Plaosnik. Se accodemo, domandandose – visto che el paese se svuotava – quanto grande ga de esser la cattedrale.
Se accorgemo subito che la xe enorme, ma che comunque la gran parte della gente sta sul piazzale attorno. Tacchi alti e minigonne, camicie alla moda: la gente fuori chiacchiera ride e scherza con la candela in mano. La cerimonia dentro è in corso ma pochi la seguono. Entriamo nella chiesa, stracolma, e tra la massa spiccan un uomo e una donna davanti a un leggio. Non è un disco, son loro che cantan tutto il giorno. Dietro alle tende che separan l’altare dalla gente i preti svolgono la messa nel segreto. Raramente escono, la faccia all’altare: una barba nera lunghissima vestita di rosso toglie il cappello nero al metropolita dalla barba bianca e vestito nero. E’ lui che canta ora, i 2 prendon fiato.
Troppo caldo all’interno. Tornemo fuori, dove la gente continua ad arrivar salutando fragorosamente tutti gli amici, mentre l’impianto audio diffonde gli sforzi dei cantori.
La cattedrale è ricchissima, lo stile tipico di questi luoghi, illuminata sollenemente nella rumorosa notte di Plaosnik.
I preti rossi e il prete nero si spostano all’esterno, salgo su un muretto per veder oltre alla folla. Il nero ha adesso una corona maestosa sulla testa, che il rosso ciclicamente gli toglie e rimette. Intanto qualcuno fuma, pochi ascoltano, i più chiacchierano.
-‘CHRISTOS VOSKRESE’ (Cristo è risorto)
– ‘NAVISTINA VOSKRESE’ (Davvero è risorto)
3 volte, poi le campane a festa. E tutti nel piazzale tiran fuori le uova, sode e tinte di rosso. Una ciascuno e le batton l’una contro l’altra, brindando per romperne i gusci. La cerimonia continua, ma anche i più diligenti son concentrati sulla convivialità delle uova. ‘CRISTOS VOSKRESE’.
Stavolta nessuno risponde, la bocca piena. I preti rientrano. La folla a quel punto, come scolari quando esce il professore, perde ulteriore compostezza e inizia a scemare. Ciascuno colla sua candela a riempire il sentiero in un’allegra processione che conduce giù a un bicchiere di skopsko o due – mentre gli altoparlanti continueranno a spargere la liturgia nel piazzale, quassù a Plaosnik.
Entriamo, la tenda dell’altare è aperta e si vedon i preti affannarsi là dietro. Lo fanno in modo ripetitivo mentre anche i cantori sembran sempre sullo stesso pezzo. Chi è dentro è assorto, e osserva con silenzio e rispetto. Come all’inizio talvolta i preti scendon il cancelletto e cantan rivolti verso le icone, per far presto ritorno nell’area dell’altare.
Da un’apertura laterale entrano una tonaca rossa e un turibolo il cui cigolio diffonde nella navata il fumo d’incenso. Per fortuna son vicino alla porta, aperta sull’esterno. Dove la gente continua a preferir el tabacco.
Poco prima dell’una ce ne andiamo. Ormai rimasti son quasi solo quelli dentro, e nel freddo apprezzemo la cattedrale e vediamo le rovine della basilica paleocristiana, prima nascoste dalla ressa.

4 aprile

Ci alziamo presto, domani sarà giorno di viaggio e quindi Ohrid e dintorni son da veder oggi. Visitiamo il castello poi andiamo a Caneo, dove un bambino ci propone la sua barca: per riportarci in centro 200dn. Dice di aver 14 anni, ma non ne dimostra assolutamente più di 10. E oltre al tassista fa anche el custode della chiesa.
Ohrid è decisamente turistica, ma nel centro storico basta girar un po’ per trovar gli abituali elementi di Macedonia: case fatiscenti, tetti senza più tegole, o case con ormai solo le tegole son nascoste dagli alberghi di lusso che guardan al lungolago. Sulla destra, dietro all’enorme bandiera che sventola dalla piazza, il castello illuminato domina le luci del centro storico – che scendono fino a Caneo. Davanti solo le onde del lago fan da confine con l’Albania.

5 aprile – pasquetta?

La mattina di lunedì ci alziamo presto e andiamo a prenderci un caffè prima di partire. Nella via centrale tutti i bar son deserti tranne uno, pieno di gente seduta fuori nonostante il consueto freddo della mattina. Entriamo, e siam gli unici. Due cappuccini. Intanto che li beviamo il cameriere continua a portar fuori shottini di tè fumante. Dev’esser il tè alla maniera turca di cui mi parlava Stanka: forte al punto che stordisce.
Partiamo, è ora di lasciar Ohrid. Mio fratello torna fin all’aeroporto di Skopje, io lo saluterò a Prilep, di strada. Passiamo per la zona a ovest del paese, quella contesa con l’Albania. E infatti qua tutti i cartelli e le insegne son bilingue, e anche l’autoradio parla albanese. E’ difficile orientarsi, ci perdiamo un paio di volte per seguir l’asfalto invece di deviar per la ghiaia.
Arriviamo a Prilep attorno alle 11.30, lascio mio fratello e vado in stazione degli autobus. Mi informo a che ora parte il prossimo per Bitola – è giorno festivo. Una e mezza, ok. Vado a mangiare intanto. Difficile trovar qualcosa aperto, ma conquisto il mio burek. Il bus arriva alle 2 meno 5. Faccio per salire ma l’autista mi fa cenno di no, protesto, mi dice qualcosa. Dal movimento delle mani capisco che è troppo pieno. Infatti guardo dentro al piccolo veicolo, un tempo arancione, e vedo più gente in piedi che seduta. Torno in biglietteria. Il prossimo è alle 5. Vado a cercar un tassista abusivo. Non è difficile. Trovo una vecchia berlina grigio scuro – Kaj Bitola?
Da
Kolko kosta?
Setumeset
Bon, 70denari. Entro, son el quinto passeggero più l’autista. Stiam per partire che si avvicina un uomo: passo sicuro, divisa della polizia. Apre lo sportello e parla col tassista in modo sbrigativo.
‘Ai. E pensar che iero quasi partido!’. Penso.
Sono ormai 2 settimane che Ivan mi ripete ‘Broter, taz Balcans!’ e non l’ho ancora capito. Devo stringermi, ora siam in 7: anche il poliziotto va a Bitola. Il tassista mi guarda – Autobuska stanica?
taka!
Mi dice anche qualcos’altro, individuo solo la parola ‘sakas’ e ‘denar’. Probabilmente mi dice che con un po’ di denari in più mi porta dove voglio. Ma la stazione delle corriere è perfetta.
Dietro siamo in 5, incastrati nei sedili sformati della Lada sgangherata. Davanti – assieme al tassista – c’è un solo passeggero, che urla, sbraita, batte forte la mano sul porta-oggetti. A volte prende la mano del tassista, per la foga. Gli altri ridono.

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Un commento a Un triestino in Macedonia: Pasqua e Pasquetta

  1. omo vespa ha detto:

    Grazie, bei resoconti, vien voia de veder sta mazedonia dal vivo. Co xe tempo no xe soldi, co xe soldi no xe tempo…

    Senti ultimamente lezevo che i vol far un monumento a Alessandro e che xe vegnu fora una barufa coi greghi e coi albanesi, ti rivi agiornarne se ti sa qualcosa de prima man, cosa che pensa i locali?

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