14 Settembre 2010

I fioi e el dialeto triestin

Approfittiamo del divertente pupolo di Sandi Stark per accendere il dibattito sull’usanza di tanti genitori triestini di parlare in italiano (con svariati scivoloni in neologismi patochiani) ai fioi.

L’usanza nasce con svariate motivazioni, tra le quali le più gettonate sono:
-il triestino è poco forbito per i pici e parlare in italiano fa più ninino (infatti si parla in italiano anche a cagnetti e gattini)
-i fioi avranno meno difficoltà a parlare in lingua da grandi e a non invertire congiuntivi e condizionali.
Tipo:
se gaveria fato mi, subito i me gavessi dà contro -> se l’avessi fatto io, subito mi avrebbero dato contro.

On the other side, questa usanza porta a un minore uso del dialetto nelle nuove generazioni, che molti temono si ripercuoterà nel futuro del triestin.
Che i giovani parlino meno il dialetto è dimostrato anche da uno studio del Monon Behavior Ciu su un campione di circa 100 persone che ha portato a questo prevedibile grafico: i veci parla dialeto, i giovani molto meno e i maschi parla in dialetto più delle femmine, a qualsiasi età.

E per finire, ecco il pensiero di Riki Malva sull’argomento:

Quel dela Quela on Facebook
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39 commenti a I fioi e el dialeto triestin

  1. Giovanni ha detto:

    Grande Riki!!!

  2. Flores ha detto:

    El dialeto, come che ne ricorda Riky Malva no xè solo una forma d’espression, ma xè tradizion e cultura.
    Baratarlo con un Italian ibrido e omologà, xè perder poco per volta la nostra essenza,la nostra “scontrosa grazia” la nostra anima.

  3. Sara Matijacic ha detto:

    Condivido e concordo!
    Un annedoto: una volta durante un doposcuola me xe successo de sentir una picia chiederghe alla mare: ” Mamma, hai preso le scovazze (con tanto de quadrupla z)? cusì no se impara ne un ne l’altro. :-/

  4. effebi ha detto:

    ma che problema !?
    che fazzino come ne hanno voglia ! 🙂

    ma perchè ? pensiamo forse che il dialetto triestino di oggi sia quello che si parlava 50 -100 -200 anni fa ? pensiamo che in altre regioni, città la cosa sia diversa ? (cioè che la gente o parla un dialetto assolutamente fedele alla tradizione oppure si esprime in linga italiana assolutamente grammmaticamente corretta !?) mah !

    credo che tutti a trieste ormai poggino le chiappe su una sedia e non sulla carega.

    dieri di smetterla di pensare a lingue e dialetti come sacri contenitori…

    e poi se si fanno degli esempi facciamoli almeno bene: “me xe successo de sentir una picia chiederghe alla mare…”

    chiederghe !!!??? dai…

    evviva le contaminaSioni !!!

  5. effebi ha detto:

    nel grafico propongo di sostituire “omini” con “mati” (vista la presenza delle “babe”)

    la baba… el mato…

  6. omo vespa ha detto:

    ma el problema vero xe un altro…come se fa a mandar qualchedun in mona de su mare in talian?! xe miga una roba de poco, per mi xe el unico, vero motivo per tegnirghe al dialeto.

  7. Diego Manna ha detto:

    mi credo che se disi:
    “torna da dove sei venuto!”

    che tra l’altro dimostra che l’italiano è più forbito del triestinAZ 😉

  8. omo vespa ha detto:

    eh, ma “torna da dove sei venuto” xe quasi uan discusion filosofica, metafisica, ti ghe lasi molte posibilita. mi porprio in mona de su mare lo voio mandar…e no poso? 🙂

  9. capitan alcol ha detto:

    mio cugìn co iera picio gà imparà a ciacolàr prima per furlàn che per taliàn. Dès va al Rocco con la sciarpa e il capelìn de l’Union.

    “L’ambiguità dell’uomo. Una teoria junghiana, signore.”

    http://www.youtube.com/watch?v=9lie7ZwLUBQ#t=2m39s

  10. arlon ha detto:

    Come insegna Daverio (e qualsiasi oservazion ogetiva), le lingue locali ga tuta una serie de rafinateze, richeze, substrati culturali che una lingua omologada, standardizada, amplificada e diffusa da la tv.. semplicemente NO POL gaver.

    Se a questo ghe zontemo che la storia local no xe proprio compagna con Firenze e dintorni, podemo gaver una idea de quanto che ghe podemo perder, a no mantignir una parlada local.

    Cio’ non toglie che il fatto che io scriva in questo sito in triestino non va ad influenzare le qualità del mio italiano, sia esso scritto o parlato 🙂

    O, dato che ghe semo, quela de un poche de altre lingue che oltre al italian podemo tranquilamente imparar.

    Personalmente, ghe vedo una gran, gran perdita de heritage; e me auguro che a le scelte de genitori orbi e superficiai se ribelli i muleti e le mulete.
    (per es. a le scole medie de solito ghe xe una “rinascita” del triestin, però più povero se no parlado anca in casa…)

  11. susta ha detto:

    Scusatemi, non ho tempo per commentare perchè devo mettere su la pasta e fagioi, portare giù le scopacchie e comprare il pane (due schiopette).

  12. Diego Manna ha detto:

    attenta a non sbrisciare e cadere nel plocchio quando scendi 😉

    confermo quanto disi arlon, go notà che molto spesso xe i stessi muleti che shifta (ecolo là, sporchemo subito el dialeto) da italian a triestin, ancora prima dele medie secondo mi.

    mi credo che el triestin sia più intrigante del italian per cui anca se in una classe xe una minoranza che parla in triestin e una magioranza in italian, sarà i secondi a avicinarse ala parlata dei primi e no viceversa.

  13. arlon ha detto:

    Eh, però se ga bastà fin desso no xe dito che basterà un doman .. mi cmq penso de gaver trovado l’anel debole de la question:
    la categoria “mulettes”, tra le quali ormai xe decisamente più facile sentir parlar per talian piutosto che in lingua (= triestin :P), e come se sa, tira più lore le mode, de un carro de.. 😀

    In sostanza, una volta che gavemo trovado el modo per convinzer le mulettes, semo salvi.

  14. dimaco ha detto:

    Mi credo che xe de valorizar la parlata locale. Mi parlo gorizian(lo scrivo per molto mal). Con mio nipote infatti me esprimo in tal lingua. Con mia fia parlo sloven così come con mia mare e mia moglie, con mio fradel in furlan e con mio pare in talian. In sloven me esrpimo con il dialetto de oseljan sanbasso e vitulia. Non con quei de osek o crncie che già i parla diverso.

  15. Luigi (veneziano) ha detto:

    “Ci sono due strati nella personalità di un uomo: sopra, le ferite superficiali, in italiano, in francese, in latino; sotto, le ferite antiche che rimarginandosi hanno fatto queste croste delle parole in dialetto. Quando se ne tocca una si sente sprigionarsi una reazione a catena, che è difficile spiegare a chi non ha il dialetto. C’è un nòcciolo indistruttibile di materia apprehended, presa coi tralci prensili dei sensi; la parola del dialetto è sempre incavicchiata alla realtà, per la ragione che è la cosa stessa, appercepita prima che imparassimo a ragionare, e non più sfumata in seguito dato che ci hanno insegnato a ragionare in un’altra lingua. Questo vale soprattutto per i nomi delle cose”. (Luigi Meneghello, “Libera nos a Malo”, p. 36).

    Consiglio caldissimamente questo vero e proprio capolavoro della letteratura italiana del ‘900.

    In un’intervista, Meneghello ricorda la differenza fra lingua e dialetto:

    “In casa ragionavamo nella lingua familiare a noi e a tutta Malo. Poi imparavamo un’altra lingua: quella aulica e un po’ bastarda della scuola”. Con difficoltà? “Con piccoli drammi divertenti: come si dice, come si scrive, eccetera. Per esempio: la differenza tra uccellino e oseleto si affaccia in un dettato: “Cari uccielini che cantate con tanta serenità nell’ombra del bosco che dite mai con le vostre voccine?”. In classe c’erano dodici modi per scrivere “uccellino”; undici di queste forme erano illegali. Solo il 7 aprile dell’anno successivo, sia pure con una nuova pagliuzza di illegalità supplementare nel becco, trovo sul quaderno la parola “lucellino”. La scrittura è solo uno dei segni, perché tra dialetto e italiano cambia la sostanza. Oseleto era la sola parola da dire in paese, tranne che recitando in maschera; e uccellino era la sola da scrivere. Non si insegnava la lingua parlata, mentre dovevamo studiare la lingua da scrivere. E’ probabile che nessuno avesse mai visto scritto oseleto fino al giorno in cui la maestra Zoriade, eccezionalmente devota, collocò il suo famoso messaggio sul guanciale del fratello che era un cacciatore fanatico: “S’ciopo e oseleto fa l’omo poareto”. Lui rispose con un altro biglietto: “Fra la cesa e la sagristia te deventi senpre pi insiminia”, fra chiesa e sacrestia diventi sempre più rimbambita. Ma la lingua implica una diversità di sostanza. Un uccellino non fa ciò che fa un oseleto, il quale non fa quasi niente. L’ uccellino è energico. Svolazza e loda Dio. Si fa ritrarre nei libri di lettura, o in cartolina, e si può copiare a mano; fischia alla radio con la sua vocina astratta. Quando viene la primavera è lui che l’annuncia. E’ utile alla società, anzi, sembra un po’ il servitorello della primavera e della maestra. Al confronto l’ oseleto è uno scalzacane. Non sa niente, non sa le poesie a memoria, non entra nei dettati, nei libri, nei pensierini. Non pare abbia alcuna funzione e non interessa alle persone istruite. Eppure tutti sanno che ha una qualità che all’altro manca: è vivo. Perché l’ uccellino, con tutto il suo lustro, ha l’occhietto un po’ vitreo, è solo un aggeggino di smalto e oro”.

    L.

  16. omo vespa ha detto:

    mi facio come le grandi guide spirituali:

    Anche el profeta maometo,
    parlava solo in dialeto.

  17. omo vespa ha detto:

    manna, grande el neologismo sciftar.
    ma in dialeto saria siftar, no?

    esempio: se saverio parlar danese, siftassi del triestin al copenaghin.

  18. Paolo Geri ha detto:

    Peck, sleif, kluka, sinter, brivez, kutscher, remitur, britola ….. chiedere a un ventenne triestino che cosa sognificano queste parole. Se ne indovina una è un miracolo.
    E allora il vero triestino è già morto. Meglio parlare solo italiano ma con i congiuntivi e i condizionali corretti.

  19. omo vespa ha detto:

    20 ani no go, ma me par de veder fornaio, tubo, accalappiacani, un carozziere e el resto no te saverio di… cmq, vara che per 150 ani le influenze vegniva de nord e de est, deso magari le vien de ovest, no vol miga dir che el xe morto. el se trasforma. ficnhe el se pol trasformar no el mori. il triestino e morto, evviva il triestino.

  20. Bibliotopa ha detto:

    “me xe successo de sentir una picia chiederghe alla mare…”

    no solo “successo” ma ” chiederghe” !!! domandarghe..
    Missiar le due robe no va o “lingua” o “dialetto” ma sia ben ciaro: el dialetto del MIO rion no xe quel de l’altro rion!!
    e no voio gnanca el purista che me imponi de cavarghe una t al dialetto cola regola che no so dove che xe scrita che “nosepol” scriver una doppia: mi la scrivo, e po al caso no la fazzo sentir nela pronuncia!
    Piutosto che i se impari meo el italian, che oggi sul Piccolo in un articolo do trovato ripetudo “inerte” e po de un’altra parte “inerme” che probabilmente chi che ga scritto ga pensado che xe istesso..

  21. dimaco ha detto:

    http://www.youtube.com/watch?v=Ag0D5A7mcPE

    molto meglio, almeno no perdi tempo a cpioaincollare intere pagine.

  22. chinaski ha detto:

    slaif xe el “freno”, britola xe el “coltello”, remitur xe la “confusione”, kluka xe la “maniglia”, sinter xe l’ “accalappiacani”…

    altre ‘sai cocole:

    flaida, far kibitz, mauco, un bich, bandòn,…

    traduzion, nel ordine:

    (“vestaglia”, “dare consigli inutili a chi sta giuocando a carte”, “amante”, “un po'”, “lamiera”)

    esempio: mudande de bandòn (‘sai de moda de ‘sti tempi, collezione autunno(caldo)-inverno 2010/11)

  23. capitan alcol ha detto:

    britule, slaif, cluche, šintar.

    pec: sm (goriz) fornaio.

    E poi allo stadio si insultano. 😉

  24. omo vespa ha detto:

    eh ma ghe xe certe bele bastardizazioni germaniche… tipo sparghet.

    comuqnue, bibliotopa, meio chiederghe che chiedergli. isnoma, meio uno che parla dialeto mal che uno che no lo parla per niente.

  25. dimaco ha detto:

    un bich dovrebbe derivare dal tedesco ” ein bisschen” che ha lo stesso significato, cosi come schleif(freno), ma che se si traduce corretttamente significa attrito. lapeculiarità del tedesco e dell’inglese è che alcune parole cambiano il loro significato in base alla struttura della frase e del suo significato compiuto.

  26. Gigi ha detto:

    @24 sparghet?
    mi conoso il sparghert (leggesi cucina economica a combustibile solido) come se disi a Gorizia-Gurizza-Gorz-Gorica, se ti intendevi quel.

  27. Sara Matijacic ha detto:

    Pardon error mio: non volevo dimostrar de saver el triestin, a casa el mio dialeto xe sempre stado un mix fra triestin e bisiaco(vista la provenienza mista dei miei genitori). La scena della fia che pronuncia scovazze con 4 z me fa sorrider ancora adesso! 🙂
    Ma quando nei temi dei fioi me ritrovo “scovazze”, “si è tombolato” assieme a un italian forzado (lunghi periodi senza un significato compiuto,per capirse), non so davvero dove metter le mani.
    o quando davanti le scole o ai negozi le mamme le parla “italian-triestin” coi fioi e un attimo dopo le se gira verso l’amica e le taca parlar in triestin…
    Non giudico, ognun xe libero de far quel che vol. Se tratta solo de considerazioni de un’insegnante e de una studentessa laureanda in lingue! 🙂

  28. milost ha detto:

    Bibliotopa, mi no gavessi dito “successo” ma ” me xe capità”…ve zonto anche ploch, kop, sbicia, slichignoso…qualchedun de Trieste sa cosa vol dir “mulo painter”?

  29. omo vespa ha detto:

    gigi, si xe quel sparghe(r)t la…

  30. milost ha detto:

    A proposito di contaminazioni. La mamma ( friulana? ben bon no so, triestina no la iera) alla figlioletta in spiaggia Grado: Basta Nicol ( ma le se ciama tute Nicol le picie adeso? Saria il diminutivo de Nicoleta?) che ti sporchi tutta con il “savalonne”…

  31. capitan alcol ha detto:

    traggo da pengio.com

    baba / babona / babare / babezzo = (dallo sloveno; comune anche in area giuliano/triestina) pettegola; spettegolare; pettegolezzo. Sono andata dalla mia amica e giù lì a babare! Che baba che sei!

    bugnìcolo = ombelico. Ho mangiato tanto che mi parte il bugnicolo. Con i primi caldi ci sono tutte le ragazze col bugnicolo di fuori.

    tegolìne = fagiolini (anche veneto). Mi dia un chilo di tegoline. Alla mensa universitaria di una città emiliana: “Vorrei anche delle tegoline lesse” (segue sguardo interrogativo) “sì, quelle lì”, “ah, i fagiolini!”. Poi con gli amici: “Dipo Gigino, ma cemût si disino lis uainis par talian? No si diseve tegoline?”

    véllo = eccolo. Vello (vella) che arriva.
    [io conosco la versione ‘Ailo’]

    Chi si ricorda l’ormai desueto ‘lopez’?

  32. Marcantonio ha detto:

    dovrebbe indicare un colpo forte nel linguaggio dei calciatori se non sbaglio

  33. capitan alcol ha detto:

    Si qualcosa del genere, io la conoscevo come pugno.

  34. DaVeTheWaVe ha detto:

    lopez: ginociada! =D

    e “viene papà a ciorci”? mi la go sentida per vero…

  35. delle ha detto:

    un grazie a Luigi Veneziano per l’ottimo post su Meneghello. Da magna gatti a magna radici, consiglio le poesie dialettali di Ernesto Calazavara. non me ne vogliano i triestini.

  36. Ciano ha detto:

    Virgilio Giotti forever, dei muloni, “Colori” xe de un altro pianeta, non me ne vogliate male

  37. Bibliotopa ha detto:

    #36 sembra che Virgilio Giotti, autore di “colori”, nella vita si esprimesse solo “in lingua” cioè in italiano. Testimonianza di Stuparich, se non erro.

  38. arlon ha detto:

    Lopez no xe per niente “desueto” 😀 xe un tiro dove che te ga el nervo, quindi particolarmente bibioso (de solito zenocio su coscia)

  39. Flores ha detto:

    e un Lopez, come che xè sta definì dal responsabile stesso, quel che me go becà mi drio el copìn, ‘lora sarìa terminologia impropria?

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