28 Agosto 2010

Intervista a Marco Devetak, giovane regista goriziano ma ormai londinese d’adozione

La redazione di Bora.La ha voluto fare una chiacchierata con Marco Devetak, giovane regista goriziano (ormai espatriato a Londra) presente all’ultima edizione del Premio Amidei con il cortometraggio “La terra degli ospiti”.

Quando è nato l’interesse per il cinema?
Fino alla quinta superiore ero molto interessato al fumetto, pensavo che avrei frequentato una scuola di fumettistica da qualche parte, in giro per l’Italia, anche se non ero proprio convinto.
Poi, una mia insegnante mi ha proposto di inserire nella tesina di maturità qualche film, intuendo forse prima di me la mia predisposizione al cinema. Così, ho visto il film Mulholland Drive di David Lynch
ed è scattato qualcosa, pur non essendo un appassionato di cinema. Da qui ho iniziato ad informarmi su alcuni corsi e grazie ad il consiglio di un’amica mi sono interessato ad un percorso di studio nel Galles, che prevedeva sia la teoria, sia la pratica, con realizzazione di cortometraggi…così mi sono iscritto.

Qual è il genere di film che ti piaceva maggiormente, quando sei partito per il Galles, e qual è invece il genere che ti interessa di più adesso?
Sono partito con uno spiccato interesse per il surreale, anche se, durante gli anni di studio ho visto molti film di tutti i generi, di tutte le epoche, e mi è capitato di innamorarmi di alcuni film che non erano del mio genere favorito, così ho cominciato ad ampliare i miei gusti, le mie vedute. Soprattutto in seguito al master, è cambiato anche il mio approccio al cinema, ci è stato insegnato cosa significa produrre un film anche dal punto di vista finanziario e quali sono le richieste di mercato.

Fino ad ora hai realizzato dei cortometraggi, com’è nato il primo, The last cigarette (2004)?
Questo corto è nato in un periodo in cui mi stavo appassionando al film noir, si trattava di un esercizio che prevedeva la realizzazione di un cortometraggio in digitale. Ho voluto provare a costruire un piccolo film noir con una storia molto complessa per la breve durata di cinque minuti, anche se la trama è facilmente intuibile.
Grazie a questo lavoro sono stato intervistato per la prima volta, nel Galles.

In seguito alla realizzazione di The last cigarette, sei tornato al genere “surreale”, di cosa tratta?
Il cinema surreale non è fantascienza: surreale è una storia che ti viene proposta, ed a un certo punto alcuni elementi di questa storia dipartono da quella che è la realtà, come noi la percepiamo. La storia può diventare surreale perché subentrano personaggi che non esistono o che si comportano in un modo che è completamente fuori dalla realtà.
Prendiamo come esempio il mio lavoro di laurea (This is not a film): la storia che ho messo in scena narra di un regista che ha degli incontri con il proprio produttore, per realizzare un film.
Nell’arco di questi incontri, al regista si presentano delle situazioni surreali, facendolo entrare in una realtà che non è capace di comprendere (ad esempio gli attori che si presentano a un’audizione con la testa fasciata da un lenzuolo bianco, e che si comportano come se ciò fosse normale).
Il grosso rischio del cinema surreale è che il tuo lavoro non venga capito.

Cosa hai fatto dopo la laurea?
Sono tornato in Italia, a Gorizia, per un anno, riavvicinandomi al mondo del fumetto.
La pausa mi è servita a capire che la mia strada è il cinema, così mi sono iscritto ad un master in filmmaking della durata di due anni a Londra (London Film School). Ho girato in pellicola, ho imparato sceneggiatura, regia, montaggio….
Arriviamo alla tua partecipazione al Premio Amidei 2010.
Il cortometraggio proiettato quest’anno durante il Premio Amidei è il mio lavoro di laurea (master).
Ho pensato di provare a fare qualcosa di diverso, magari a Gorizia, ed ho cominciato a scrivere una storia (La terra degli ospiti, 2009).
Sono tornato in città per un po’ di tempo, insieme ad una compagna di studi che ha voluto produrre il mio film, Birgitta Björnsdóttir, e devo dire che qui le persone sono state meravigliose: un sacco di gente si è appassionata dandoci un aiuto (centinaia di metri di filo spinato, divise della guardia di finanza dal museo storico di Roma…tutto gratis).
La mia idea di base era raccontare la storia di una persona anziana, sola. Nel voler dare un contesto, mi sono reso conto che la situazione locale negli anni cinquanta sarebbe stata perfetta. Un contadino anziano, solo, che si trova il campo diviso dal filo spinato e che è testimone delle tensioni create dal confine…

Secondo te c’è una differenza in particolare tra lo studio del cinema qui in regione e in Inghilterra?
Si, secondo me qui in regione si studia tanta teoria ma c’è poca pratica. A Londra ci sono molte attrezzature, l’approccio è molto più attivo, più pratico.

Quando vedremo un tuo lungometraggio?
Ci sto lavorando, sto scrivendo, mi piacerebbe girare qui, in queste zone. Ci sono però alcuni progetti a cui devo dare la precedenza (devo pur vivere, in qualche modo!).

Qual è il vantaggio, oltre alla visibilità, dato dalla partecipazione al premio Amidei?
Il networking: a Londra gli artisti emergenti non vengono considerati. Qui, durante l’Amidei, è molto facile incontrare registi di un certo livello, disposti a parlare, ad ascoltare. Si interessano molto.

Marco Devetak si è trasferito definitivamente a Londra e fino ad oggi ha realizzato, oltre a The last cigarette, This is not a film e La terra degli ospiti, anche The space between (2007) e Zabriskie bomb (2008).

Tag: , .

Un commento a Intervista a Marco Devetak, giovane regista goriziano ma ormai londinese d’adozione

  1. MICHELA BERGAGNINI ha detto:

    Ho seguito con molto interesse tutti i tuoi lavori cinematografici e mi sono piaciuti. Devo dire che ti sei affinato notevolmente nell’arco degli anni. Hai ragione il “surreale” è bello ma solitamente viene compreso solo “dagli addetti ai lavori”. Complimenti, sei bravo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *