30 Luglio 2010

Un triestino in Macedonia, diario di un 23enne insegnante di italiano all’Università di Prilep

di Pietro Della Rocca

Dal 17 marzo a 20 maggio io, triestino appena 23enne, mi son trovato in Macedonia: con un contratto come professore di italiano nell’università di Prilep, nel sud del paese. C’è il mare in Macedonia? Mi facevo domande di questo tipo, totalmente ignorante della geografia prima ancora della storia e della lingua del luogo. E questa ignoranza, non so come, si è trasformata in voglia di conoscere. Ed è così che è nata questa idea: andare a vivere due mesi in un altro paese, che parla una lingua che non conosco e con una società che già immaginavo esser diversissima. Quindi ho fatto la valigia, senza sapere bene cosa metterci dentro – a parte un block notes e una penna, come si fa in gita scolastica. Pieno di entusiasmo, raccontavo a chiunque questa mia idea: sulla strada tra l’aula dell’università e la mensa lo dicevo a tutti gli amici che incontravo… e tutti a darmi consigli. Vedrai vedrai, diceva uno che c’è stato, è come trovarsi in un film di Alberto Sordi. Stanno avendo un boom economico, aggiungeva un altro. Infine ho preso l’aereo e son partito: con lo sprito di un bambino che si sente un esploratore.

Lo scontro con la realtà macedone (e soprattutto col mio totale sbalordimento) mi ha fatto benedire quel block notes, su cui riordinavo le idee: scrivendo di getto quel che pensavo, quel che vedevo, quel che meno capivo. Via via rendendomi conto che tanto le mie aspettative quanto i consigli che mi eran stati dati eran totalmente sbagliati.

Così è nata questa specie di diario, scritta appunto solo e soltanto per riordinare le idee. Non tutti i giorni scrivevo, anzi, meno della metà, e sempre senza mai rileggere o correggere qualcosa. Come non ho corretto niente o modificato qualcosa una volta tornato, è un’insieme di impressioni momentanee e immediate: con grammatica da appunti e spesso in dialetto triestino. Di certo non è una giuda turistica, piuttosto ci si possono trovare (assieme a qualche rara riflessione) descrizioni di persone e di mondi, e trascrizioni di dialoghi. Le opinioni che vengono espresse in questi non sono mai le mie, appartengono ai personaggi di queste pagine e all’ambiente che li circonda. Io le ho semplicemente tradotte e trascritte, senza censure di tipo ideologico o di altra natura.

Primo giorno 17 marzo

Più che un film di Alberto Sordi me par una puntata di Mcgyver.
L’aereo arriva attorno alle 3, sorvola una campagna desolata che par una palude, case scoloride, ‘xe un altro mondo’.
Scendo insieme coi altri 20 / 30 passeggeri. Ghe xe un autobus, sembra anche lui venir fuori da una puntata de MacGyver: vecchio, col soffietto, bianco e rossiccio. Dieci metri e son in aeroporto. Una donna dal viso duro me guarda el passaporto, la me sorridi.

Realizzo che tutto qua xe scritto in cirillico. Me sforzo de metter a frutto gli sforzi, soprattutto fatti in aereo, e provo a decifrar. Ma a parte ‘Pasport’ e ‘Skopsko’ sembra incomprensibile. Un cartello solo xe anche in inglese: il rosso se ghe xe qualcosa da dichiarare, altrimenti verde. Seguo la direzione verde. Un poliziotto non xe d’accordo, me parla, me scruta, poi me fa cenno de aprir la borsa. Sempre più McGyver.
– Ver arr you live?
– I’m from Italy
– Vatz iour bisnis?
– I have a stage contract with university of Prilep.
Guarda le camicie, sfoglia el libro de Camilleri distrattamente. Me lassa andar.

L’aeroporto xe una bolgia, mi go la borsa, lo zaino, el portatile, i soldi, tutto in vista. E la gente me se catapulta addosso. No capisso cossa i disi, tranne la parola ‘TACSI’. Qualchedun de lori no xe un tassista ma solo un furbon, sicuro. ‘I’m waiting for a friend, falamnogu!’, inventando.
Cambio i soldi, el mato ga i baffetti, par un bon omo ma che sa far i suoi affari. Son troppo guardingo, esco a far foto e per no gaver tutta quella gente intorno. Poi torno, dopo 10 minuti, son più fiducioso. Me fermo al bar. La commessa me da una roba che la ciama croissant alle fragole, che no gaveva fragole e no iera neanche un croissant. No iera mal. Non so perché ma ordino anche una coca cola. Me per naturale farlo. 200 denars. “Falamnogu!” Adesso l’aeroporto xe semivuoto, e anche tutti i tassisti xe andadi via, facendolo sembrar un posto ospitale.

Xe le 16.15, xe ora de zercar un taxi, per bon. 10 minuti ancora.
Esco e vedo un capel strano, quasi un turbante: un panno arrotolado in fronte a un uomo che fossi perfetto come comparsa in un film sull’urss anni ’50. Lo guardo curioso, vedo che xe con un bambin e insieme xe una donna con un fazzoletto in testa. Cerco de capir quanti anni la ga che la sali in un’auto vecchissima, gialla e nera. Me rassegno che xe un altro mondo.
Trovo un taxi. Mostro al tassista el foglio con l’indirizzo de Ljupka, el me disi 25€. Non più de 1000 denari, sembro sicuro de mi. Contrattemo, el scendi a 1200. Metto le valige in baul, el fa per ciorme el portatile e metterlo dietro, istintivamente ritraggo la man. Me lo lassa, non fa domande, sta in silenzio e guida. El se ferma da un collega, capisso che domanda la strada. Arrivemo, scendo, arriva Ljupka mentre pago. Salgo a casa sua, noto che l’edficio, all’interno, xe identico a quel de Snezka a Capodistria. “40 anni de jugo qualcosa ga fatto”, penso.

L’appartamento xe luminoso, grande cucina con divani e 3 suoi amici sopra. Kiko, Marina e Marija. I me disi che xe pronto el pranzo che i ga fatto per mi, go appena magnano ma vaben, fazo pranzo e cena assieme. Patate piccatine, salsicce piccanti e ajvar. Bon: no go fame ma va zo ben.
Intorno alle 10 bevo un bicer de rakia, me lo offri un mulo che nel frattempo xe arrivado assieme a 2 mule e un omo. I parla solo macedone, l’unica roba in inglese xe su Berlusconi. Tralascio.

Andemo in un club, xe un’amica de Ljupka che canta. Bravissima, la canta Aerosmith e roba così, voce stupenda ma sprecada: el posto xe deserto. Tanto che, tempo de finir la birretta andemo via anche noi cercando GUSVA (folla). Ciolemo el tassì, semo 5 più l’autista, ma fa niente. Rivemo in un posto dove la gusva se la vedi subito: fila per entrar. Qualchedun brontola col buttafuori, i me indica e i disi ‘Napoli’. I ga sentido che i miei compagni me ciama ‘italianski’ e credo che no ghe vadi ben che anche un ‘napoli’ possi entrar nel club.
gusva xe gusva, senza dubbio. Verso le 2 tornemo a casa. El primo taxi che provemo no ne ciol, in 5 no se pol, el disi. Un altro ne fa cenno. Andemo.

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9 commenti a Un triestino in Macedonia, diario di un 23enne insegnante di italiano all’Università di Prilep

  1. Stefano (l'altro). ha detto:

    bello, piacevole da leggere.

  2. sindelar ha detto:

    Grande! Saludime Naat Veliov 😉

  3. omo vespa ha detto:

    “Qualchedun brontola col buttafuori, i me indica e i disi ‘Napoli’. I ga sentido che i miei compagni me ciama ‘italianski’ e credo che no ghe vadi ben che anche un ‘napoli’ possi entrar nel club.”

    …eh, sti comunitari, lanzemo una campagna de toleranza in favor de lori…

  4. sindelar ha detto:

    e anche Esma Redzepova!
    Здраво

  5. aldič ha detto:

    ciamime! venjo ancke mi!!! ciao

  6. sandro ha detto:

    ailo! se rimpolpa la colonia! mi son qua de ormai oto anni, se te passi per Skopje fame saver che se femo un sprizeto!

  7. aldič ha detto:

    ciamime dame la tua j.mail! se te pol? ciaoo

  8. Prilepcianca :) ha detto:

    @Sandro – Grazie per lo sprizeto!
    Ma dopo 8 anni siguramente sei diventato “skopski” 🙂
    Potete scrivermi a – prilepcianca@gmail.com

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