Biglietti esauriti per il concerto dei tre presidenti che Riccardo Muti dirigerà martedì sera in piazza Unità. I tagliandi omaggio distribuiti ieri dal Comune di Trieste garantiranno un posto a sedere in platea a 1.500 persone. Chi non è riuscito a procurarsi l’ambito biglietto potrà assistere al concerto “Le vie dell’amicizia” dai maxi schermi posizionati all’altezza dell’Hotel Duchi d’Aosta e in Capo di Piazza.
Il programma. Muti ha scelto di eseguire il Requiem in do minore di Luigi Cherubini, per celebrarne il 250.o anniversario della nascita. Inoltre sono è prevista l’esecuzione di ”Libertas Animi” tratta dall’Anthem to the European Slovenia del pianista e compositore Andrej Misson. Ad eseguirli saranno l’Orchestra giovanile Luigi Cherubini, la Giovanile Italiana, musicisti e coristi delle accademie di musica di Lubiana e Zagabria e del conservatorio Tartini di Trieste, il coro Stagione Armonica, l’Accademico France Preseren di Kranj e l’Ensemble interprovinciale del Friuli, diretti dal maestro Sergio Balestracci.
La logistica. Dalle 14 di martedì alle 5 di mercoledì verrà istituito il divieto di transito sulle rive interne nel tratto tra piazza Tommaseo e via Mercato Vecchio. Inoltre dalle 9 alle 12.30 e dalle 13.30 alle 16 di mercoledì e giovedì la Polizia municipale prevede l’istituzione di un restringimento di carreggiata in riva del Mandracchio con il mantenimento delle corsie laterali e soppressione delle due corsie centrali, una per ciascuna direzione di marcia.
Per evitare intasamenti e ingorghi il sindaco ha invitato a usare i parcheggi del Silos e del Molo IV, a pagamento, e quelli delle Rive, dell’ex piscina e del tratto tra la piscina terapeutica e Riva Traiana, tutti gratuiti dopo le 20.
Le strutture. Il parterre dei vip verrà posizionato in mezzo all’attuale carreggiata, davanti al palco che invece gravita sulla Scala reale. L’accesso ai posti in piazza, per chi sarà riuscito ad aggiudicarsi uno dei biglietti, sarà consentito a partire dalle ore 19.15 – e non prima – e terminerà al più tardi alle ore 21. Ciò per consentire un più agevole e ordinato afflusso delle persone e la loro sistemazione nei posti previsti, in tempo utile per il regolare inizio del Concerto, alle ore 21.30. Si ricorda che è necessario essere muniti di un documento d’identificazione, mentre non sarà consentito di portare con sé borse voluminose, zaini, lattine e bottiglie o contenitori di vetro.
INFO: la cerimonia al Narodni dom è prevista alle 18.30, mi dicono.
Hvala, NLP.
Tropo bela per non legerla. Senza Menia Lacota e camerati poi xe un godimento.
130 GIOVANI ITALIANI, SLOVENI E CROATI PER ”LE VIE DELL’AMICIZIA”
IL CORO DI TRE POPOLI, UNA LINGUA SOLA
Muti prova a Ravenna il concerto che dirigerà martedì a Trieste
di PAOLO RUMIZ
RAVENNA Ore 10.30, cinque minuti al via, il primo violino – un biondino italiano dell’orchestra Cherubini – si alza, risponde al La, e il silenzio teso dell’ex magazzino dello zolfo si gonfia di quell’unica nota assoluta, frequenza 440 moltiplicata per 130, corde, ottoni, strumenti ad ancia; cresce per mezzo minuto con la forza regolare del vento di Maestro che riempie una vela di randa, fa vibrare l’edificio dalle fondamenta, si spande per il porto semivuoto di Ravenna bizantina, tutta mattoni e respiro di mare, poi viene riassorbito dal silenzio.
Centotrenta, tanti sono i giovani in attesa del primo colpo di bacchetta di Riccardo Muti alla gran prova del concerto triestino delle tre nazioni: e non è ancora niente rispetto a quanto accadrà oggi, quando all’orchestra si aggiungeranno i 230 coristi venuti da Italia, Slovenia e Croazia. Trecentosessanta ragazzi, la ciurma di un incrociatore da battaglia, che martedì solcheranno l’Adriatico per occupare le Rive di San Giusto e suonare il loro Requiem per i morti di una frontiera lacerata.
Una camicia candida, quasi fosforica, sbuca da una tenda nero-seppia, s’infiltra tra le custodie enormi dei contrabbassi, le scarpe lucidate scricchiolano tra le ciabatte e gli shorts degli orchestrali in tenuta balneare, e dal podio la voce del Maestro comparso dal nulla coglie tutti di sorpresa. «Siamo qui per suonare nel nome della fratellanza, della libertà e dell’amore». Brotherhood, freedom and love. Parla come un padre severo e paziente. E ancora: «Nostro compito non è parlare delle colpe del passato, ma creare le premesse di un futuro di concordia».
Ed ecco che dai giovani sloveni e croati parte un applauso spontaneo e imprevisto, quelli italiani un po’ stupiti dall’inusuale rompete le righe vanno loro dietro. Tutti hanno capito e sono d’accordo con quel proposito di ferro: produrre un atto sinfonico capace di annullare i miserabili contrappunti di una politica che per troppo tempo ha campato di frontiere e divisioni. Guardare avanti dunque. E Trieste è il posto giusto per dirlo.
Si appollaia sul seggiolino, annuncia il madrigale sloveno, “Libertas animi”, improvvisazione moderna di Andrej Misson su un pezzo rinascimentale di Iacobus Gallus: frusciare di spartiti, l’orchestra attacca, il sulfureo magazzino del Ravenna Festival diventa un’unica potente cassa armonica, l’uomo in camicia si alza in piedi, si sbraccia, chiama imperiosamente “Corni!”, “Violini!”, “Bassi!”, “Tuba!”, la risonanza è pazzesca, tutt’uno con l’emozione di quei ragazzi davanti alla prova della loro vita.
«Troppo veloce qui, troppo veloce! Siamo in piazza, dev’essere tutto più Largo, altrimenti perdiamo in maestà…». Herr Direktor interrompe l’orchestra, ma ci vogliono otto-dieci secondi, è come fermare un fiume in piena, l’inerzia di una macchina da 130 elementi è impressionante. Riattacca, è felice, ora canta da baritono, “li-ber-tas-a-ni-miii”, imita il rullo del tamburo e l’andirivieni dell’archetto, le rughe si stendono, si scioglie la tensione di giorni e notti. Ah, insegnare è meglio che dirigere i Wiener Filarmoniker, la capanna dello zolfo diventa bottega di maestri cantori, trincea dell’armonia contro un mondo dominato dal frastuono.
«Ra-riii, ra-ra-riii, ra-ra-riii, ra-ra-riii», il pezzo croato romantico di Jakov Gotovac – Himna Slobodi su parole di Ivan Gundulic – ha andamento fluviale, pannonico, il Maestro lo drammatizza a gesti e lo interpreta a voce per indirizzare i violini, una foresta di archetti che freme come spinta da raffiche di bora, e risuonerà chissà come tra il mare e le montagne, il molo San Carlo e il palazzone austriaco del Lloyd.
«Gli inni, ragazzi, gli inni. Dovete suonarli con lo spirito nobile della Nona Sinfonia di Beehetoven, diminuendo and than crescendo, largo a tutta forza…, belli o brutti che siano sono comunque espressione dell’anima di un popolo». Duecentossessanta occhi sono fissi sul Maestro. In piazza grande a Trieste saranno decine di migliaia, a cogliere l’attimo atteso da decenni dell’ultimo diaframma che si rompe, la catarsi di una città dove mai si è sentito in un contesto solenne l’omaggio in musica ai nemici di ieri.
Chiede come si pronuncia in croato “Mia patria bella”, poi scopre quasi incredulo – nessuno gliel’ha detto – che l’inno sloveno è l’unico al mondo a non parlare né di sangue né di morti ma è un brindisi inoffensivo che ha per titolo “Salute!”, un canto di vendemmia e libagione. Si attacca, sforzato piano senza crescendo, l’uomo in camicia candida pretende più energia, “plim plam plam”, un pizzicato più sonoro dai violini che altrimenti, davanti a un coro di 260 elementi che rischia di cancellare l’orchestra.
Pausa sigaretta, in camerino Muti si augura che a Trieste non ci sia vento. È felice per la forza con cui i ragazzi italiani hanno suonato gli inni altrui. Ci tiene che la parte protocollare sia eseguita nel modo migliore, tanto più dopo i dubbi in merito espressi dal primo giornale di Lubiana, quasi il concerto di Trieste fosse un trappolone italiano teso a umiliare sloveni e croati. “Ma lei non si vergogna” pare abbia tuonato Muti nel teatro Lubiana, incontrando l’autore di quella notizia falsa e tendenziosa. E gli orchestrali sloveni gli avrebbero dato ragione.
Il pezzo forte, che più italiano non si può. Cherubini, Requiem, dall’inizio grandioso, tutto viole, violoncelli e fagotti. Tenebra, inferi, paura. «Contrabbassi state attaccati a me come sanguisughe, siete voi il fondamento di tutto». Non è un’orchestra, è una mobilitazione generale. Sul “Voca me” lo sciamano si alza dal seggiolino come un pipistrello ad ali spalancate, tiene tutti in pugno con lo sguardo, ha i capelli sulla fronte come un ragazzo. La macchina si è scaldata, l’orchestra trilingue va all’unisono, è l’esatto contrario di Babele.
L’Offertorio, la parte più pienamente sonora e corale. Corni, trombe, tromboni. «Deve sapere di incenso questa cosa… È una visione celestiale e immobile, il sentimentalismo è bandito…». Il Capo non ha delegato nulla, non ha voluto un preparatore a semplificargli il lavoro. Vuole insegnare tutto dall’inizio. È una pazzia, gli dicono, una cosa che non fa quasi più nessuno. Ma lui insiste, e basta guardare la faccia rapita dei ragazzi – tutti egualmente belli e indistinguibili secondo nazione – per capire che è la scelta giusta.
La sala è piena di buona energia, ma quando arriva la gloria del Sanctus l’energia non basta, serve più potenza, più solennità, e il condottiero deve fare appello all’orgoglio dei singoli battaglioni in manovra. “Italiani!”, “Sloveni!”, “Croati!”, qui è “tutto largo” e gli archi vanno su un martellato lungo, “ta-ta-ta-tararira”…, fino alla potenza quasi inaudita del “benedictus”. Chiama i corni urlando, per poi esigere da clarinetto e fagotto qualcosa di addirittura impalpabile, che ha da essere “più aria che suono”.
Ora siamo sull’orlo della Geenna. Il tempo del “Dies Irae” e Muti guarda guarda l’orchestra come un satanasso. «Ragazzi capisco che la giovane età è lontana dal male, ma qui è l’inferno che si spalanca, devo sentire da voi il fuoco in ogni nota, il crepitìo delle fiamme, l’inferno che ti cattura come un viscido serpente». Ed è il gong, le trombe del giudizio, l’orchestra che spara cannonate lente, disperate, ripetute, con l’uomo in camicia che si abbatte ogni volta sullo spartito come se fosse morto per davvero.
Fine della prova , i ragazzi escono su Ravenna al tramonto, aria pulita e fruscio di biciclette, respirano un sito ancora in bilico tra Venezia e Bisanzio. Molti hanno gli strumenti in spalla, se ne vanno in libera uscita come rondoni nel cielo mandarino, e quelli tra loro che sono stranieri sono stupiti che la tomba dell’Alighieri sia così defilata e dimenticata dai turisti, ma stanno bene tra i selciati silenziosi di questa città che non ha perso la memoria, ricorda con tante lapidi Mazzini e la Resistenza, Garibaldi e i suoi ebrei deportati.
Chissà se i tre presidenti potranno assaporare questo clima anche a Trieste, e chissà se i loro apparati di sicurezza sapranno lavorare senza tenere la gente lontana da questa straordinaria metamorfosi della frontiera. Intanto dall’altro lato dell’Adriatico è tempo del collaudo finale in teatro, con il coro dei tre popoli che diventano una lingua sola.
Ni za kaj.
Scommettete che ci saranno cortei di fascisti e fischi al momento degli inni nazionali sloveno e croato?
Sarà una delle tante dimostrazioni della “civiltà” italica…
Veramente splendido articolo. Non ho altro da aggiungere! 😀
Riflettiamo sulla “chiosa” di Rumiz:
Chissà se i tre presidenti potranno assaporare questo clima anche a Trieste, e chissà se i loro apparati di sicurezza sapranno lavorare senza tenere la gente lontana da questa straordinaria metamorfosi della frontiera. Intanto dall’altro lato dell’Adriatico è tempo del collaudo finale in teatro, con il coro dei tre popoli che diventano una lingua sola.
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Già chissà…. Vero PIEROVISCIADA?
e poi il 14 di luglio…
http://s2ew.udine.chiesacattolica.it/arcidiocesi_di_udine__ndash__il_portale_on_ndash_line_/archivio_notizie/00003877_Napolitano_in_Palazzo_Patriarcale_per_Tiepolo.html
Rumiz xe Rumiz…
Muti xe un entusiasta… povero ottimista, non conosce Trieste e i “camerati”…
Il maestro Muti è certo: «Questo sarà il più bel Concerto dell’amicizia»
Le prove continuano. Grande impegno da parte degli orchestrali. Sono giovani di Italia, Slovenia e Croazia
DEL 13 LUGLIO
L’EVENTO
Sul podio ci saranno 360 musicisti assieme a un potente coro. Suonati più volte gli inni nazionali
di PAOLO RUMIZ
RAVENNA «Sono certo che questo sarà il più grande e bello dei concerti dell’amicizia con cui da anni si conclude il Ravenna Festival, la più memorabile delle sue trasferte. Trieste deve essere più di Sarajevo, di Damasco, Erevan in Armenia e Meknes in Marocco, che hanno visto diecimila spettatori. Trieste è importante per l’Italia e le nazioni che la circondano».
«Sia chiaro. Questo è un concerto di popoli. E concerto vuol dire vivaddio cantare assieme, lasciarsi dietro le dissonanze. Quanto ai popoli, i tre popoli di questo concerto, Italia, Slovenia e Croazia, sono rappresentati dai loro ragazzi migliori. E io che li ho sentiti, posso dire che sono la garanzia di un futuro migliore, per tutti noi. Per questo e non per altro ho voluto invitare i tre presidenti della Repubblica».
Cicale, caldo sulla pianura ravennate, domani è la prova generale e Muti è finalmente contento, disteso. Sa che il concerto dell’amicizia in programma martedì sera a Trieste, sarà una festa di popolo. Non ci saranno transenne capaci di contenere l’entusiasmo per il più grande concerto che l’Adriatico abbia mai visto sulle sue sponde.
Trecentosessanta giovani sul podio, un coro potente, un’orchestra che va, che ha sciolto ogni dubbio sulla sua capacità dopo i legittimi timori di un amalgama difficile. E poi migliaia di persone in attesa dell’evento, come di un temporale dopo una siccità. Prenotazioni che arrivano da ovunque, le sedie che non bastano, i megaschermi allestiti per chi non riuscirà a farsi sotto, i presidenti invitati a mescolarsi alla festa senza troppi protocolli.
L’orchestra ha appena finito di provare l’inno di Mameli, un avvio roboante a suon di tamburi, roba da pelle d’oca. Poco prima si è provato l’inno sloveno, che poi è un allegro brindisi, e quello croato, più solenne, pannonico e asburgico. Dice: “Di voi ragazzi mi piace che avete suonato con vigore anche gli inni altrui”. Li ha sentiti: nessuno si è tirato indietro. Anche i giovani di Lubiana e Zagabria hanno dato fiato alle trombe e vibrazione agli strumenti ad arco per trasformare in una cannonata «L’Italia chiamò». Un miracolo che nessun politico era riuscito a compiere sulla frontiera del Nordest.
Gli ultimi ritocchi. Si rivolge agli oboe e alle trombe, ma esita, non sa se usare l’italiano o l’inglese. Chiede: lei che cos’è? Croato, sloveno, triestino? Usa il termine “triestino” perché gli altri italiani li conosce, sono i ragazzi dell’orchestra giovanile Cherubini, le sue creature. La cosa lo diverte. Si ferma un attimo, si confida: «Il bello di queste prove è che non so da dove venite, perché siete indistinguibili. Non vedo differenza fra italiani, sloveni e croati. Non è magnifico?».
Incalza: «L’unico davvero diverso sono io, perché sono più vecchio». Decine di archetti battono sul leggio in segno di approvazione. I ragazzi sono già oltre gli steccati, chiedono un tempo nuovo per il confine, intuiscono che un muro sta cadendo, anche se forse non sono consapevoli degli steccati che l’hanno reso così a lungo impraticabile. Muti incalza: «C’è gente che non vorrebbe che voi suoniate questi tre inni insieme, ma non non ne terremo conto». Altro festoso ticchettio dalla foresta degli archetti in attesa.
Cristina, la moglie, è ancora più felice. E’ lei che ha fortissimamente voluto Trieste, lei che ha trepidato per le iniziali polemiche sulle visite della memoria in programma con i tre presidenti, lei che ha intuito la necessità di buttare giù la linea Maginot dei reciproci sospetti con un grande atto musicale sinfonico. Lei, soprattutto, che ha intuito, il valore simbolico unificante del mare sulle sponde di una terra divisa.
Ieri sera le prove del coro, prima senza orchestra, oggi nell’amalgama finale. Domani prova generale e concerto in anteprima a Ravenna, poi la trasferta, che ahimé non avverrà via mare per guasto al traghetto veloce, ma che importa, è un circo allegro che si sposta, per la grande avventura di mezza estate.
Dal mio archivio privato
Gianfranco Gambassini – così scriveva sul quotidiano IL PICCOLO il 24.07.2007 :
” (…) al quale, per esser franco, si rizzano i capelli sulla testa ogni volta che ho l’occasione di ascoltare il friulano e la sua fonetica (…)”.
Qualcuno mi da la definizione di razzista?
detto fatto: qualcuno al quale, per esser franco, si rizzano i capelli sulla testa ogni volta che ha l’occasione di ascoltare il friulano e/o la sua fonetica …………… eh state bene lì voi che non avete gente simile FISICAMENTE tra i piedi
Non guastiamoci l’ Evento con piccinerie.
” A thing of beauty is a joy forever ”
John Keats
Controordine compagni: niente arrivo trionfale in traghetto. Dal sito del Primorski dnevnik la notizia che il barcone si è rotto, quindi autobus per tutti.
– consiglio per eros (e altri) “su de temperatura”:
http://www.flickr.com/photos/pierovis-ciada/4785588141/in/photostream/