28 Giugno 2010

Si mobilita il popolo dell’istituto bilingue di San Pietro al Natisone

di Luciano Lister, Nicola Baratella e Ilaria Banchig

San Pietro al Natisone/Špeter è diventato il centro di una protesta come non se ne vedevano da tempo. Protagonisti gli insegnanti, i bambini e le famiglie che gravitano intorno alla scuola bilingue italo/slovena del comune. Il motivo? L’istituto manca di una sede unitaria in cui gli alunni possano proseguire le attività del prossimo anno scolastico.

Sono infatti passati oltre tre mesi da quando le autorità, adducendo la non adeguatezza alle vigenti norme in materia di sicurezza, hanno disposto lo sgombero dei locali sede dell’istituto. Nonostante i ripetuti appelli dei genitori, che si sono prontamente attivati per spingere le autorità a trovare una soluzione, i tempi per trovare un’intesa tra le parti in gioco si sono di molto prolungati nel tempo. Per questo il comitato dei genitori e del personale scolastico ha deciso di indire un corteo di protesta.

I manifestanti si sono riuniti alle 19 nel piazzale della chiesa paesana e da lì, a seguito della Messa di fine anno scolastico (in lingua slovena), si sono mossi assieme ai simpatizzanti per dare vita al loro corteo.
La strada statale, coincidente con la via principale di San Pietro, si è così trovata temporaneamente congestionata da un corteo di circa cinquecento persone, diretto verso la sede municipale.
Numerosi gli slogan dipinti sugli striscioni, da quelli inneggianti alla ricchezza del plurilinguismo (Two jezike is meglio che one – Due lingue sono meglio di una) a quelli riferiti al valore aggiunto che l’istituto rappresenta per la comunità valligiana ( Uniti a San Pietro – Združeni v Špetru e Pubblica: Šola je tudi n/vaša – Pubblica: La scuola è anche n/vostra).
Nel corteo le diverse anime delle Valli: le tipiche fisarmoniche (segno inequivocabile del legame all’ambito culturale sloveno) si univano ai tricolori italiani (la Slavia Friulana ha sempre rimarcato con convinzione la sua appartenenza allo Stato Italiano – senza per questo rinunciare all’identità linguistica locale), alle bandiere del Friuli storico e a quelle della pace – quasi a voler dare un segnale distensivo dopo il prolungarsi delle polemiche sull’istituto. Fra bambini, genitori ed insegnanti, anche alcuni esponenti politici e del mondo culturale locale, nonché i numerosi ex-alunni che la scuola ha formato. Da dietro le finestre alcuni abitanti ad osservare incuriositi cosa succedeva sulla via.

Raggiunto il municipio, i rappresentanti degli insegnanti e dei genitori hanno illustrato ai partecipanti le motivazioni che li hanno spinti a manifestare, con diversi interventi sia in italiano che in sloveno. E’ stato sottolineato come il reperimento di nuovi locali in attesa della sistemazione di quelli esistenti si sia eccessivamente protratto nel tempo, questo soprattutto a causa di una serie di infruttuosi incontri tra i diversi amministratori locali delle Valli del Natisone e le istituzioni provinciali e regionali. Una rappresentante dei genitori ha rilanciato la proposta di riprendere per l’anno prossimo le attività nei locali della scuola “monolingue” Dante Alighieri, dove sarebbero disponibili alcuni spazi inutilizzati. Il collegio docenti della “monolingue” aveva già in passato gentilmente respinto la richiesta, giustificandosi con il fatto che gli spazi vuoti sarebbero utilizzati “nel caso in cui fosse necessaria l’aula di sostegno”, o la biblioteca o l’aula informatica.
La principale preoccupazione dei genitori organizzanti il corteo riguardava la soluzione al momento più caldeggiata dalle autorità, cioè la “dispersione” dell’istituto bilingue in più sedi nelle Valli, come Pulfero/Podbonesec e Savogna/Sovodnje. Ciò avrebbe minato la situazione di continua interazione tra i tre gradi di formazione – scuola dell’infanzia, scuole primarie, scuole secondarie di primo grado – ossia la filosofia stessa alla base del modello formativo dell’istituto. Diverse problematiche legate alla soluzione sarebbero comunque deducibili anche solo guardando una cartina delle Valli del Natisone: il comune di San Pietro è comodamente raggiungibile sia da Cividale che dalla Slovenia, ma che dire dei comuni più periferici proposti? Con una soluzione del genere, genitori con figli di età diverse avrebbero dovuto muoversi su e giù per le Valli per poter portare a scuola i propri bambini.

Finiti gli interventi dei portavoce del comitato genitori-insegnanti, i manifestanti hanno richiesto a gran voce un commento del primo cittadino Tiziano Manzini, che ha dichiarato: “Lasciateci lavorare, stiamo lavorando per risolvere i vostri problemi.”

Alcuni giorni dopo la manifestazione si è arrivati al probabile epilogo della vicenda. Presso la sede della prefettura di Udine, il 23 giugno è stato deciso lo smembramento dell’istituto bilingue in cinque diverse sedi, nell’attesa della messa in sicurezza del plesso originario, per la quale si prevedono due anni. All’incontro erano presenti gli assessori all’istruzione della Regione Roberto Molinaro e della Provincia Elena Lizzi, nonché il direttore dell’Ufficio scolastico regionale Daniela Beltrame e il sindaco di San Pietro al Natisone.
A San Pietro resteranno 4 parti dell’ istituto: le materne troveranno sistemazione presso la Casa dello studente; le primarie nell’ala nord delle ex-magistrali, eccetto una classe che verrà sistemata nello stabile della “Dante Alighieri”; gli uffici amministrativi presso la sede municipale. Per le secondarie di primo grado si prospetta invece una sistemazione a Savogna o Pulfero.
La proposta, avanzata dallo stesso sindaco di San Pietro Manzini, è stata approvata col parere contrario della Provincia.
Manzini ha dichiarato: “Più di così non si poteva fare.” Dal canto loro i genitori hanno risposto di non condividere “la logica della scelta compiuta.”

L’istituto bilingue di San Pietro, nato negli anni ’80 su iniziativa privata di un gruppo di genitori e solo più tardi riconosciuto come istituzione statale con la Legge 38/2001 (“Norme per la tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli – Venezia Giulia”) è tuttora l’unico ente a fornire un’istruzione scolastica organica (che comunque non comprende la scuola superiore) in lingua slovena in tutta la provincia di Udine. Va infatti ricordato che nelle altre zone comprese nella tabella di applicazione della legge (Comuni di Tarvisio/Trbiž e di Malborghetto Valbruna/Naborjet Ovčja vas, nonché il più delicato caso di Resia/Rezija) vengono sì impartite lezioni settimanali di lingua slovena, ma all’interno delle scuole statali italiane. Colpire l’istituto scolastico bilingue di S. Pietro equivale quindi a mettere in discussione tutta la struttura alla quale si appoggia chi vuole garantire un’istruzione in sloveno e non solo in italiano ai propri figli – avvenga questo per motivi di affiliazione alla comunità slovena regionale o semplicemente perché si vede lo studio della lingua del vicino come un valore aggiunto.
Ciò che sta accadendo a San Pietro riguarda l’intero sistema scolastico e non solo l’istituto bilingue, in quanto va a colpire il modello di istruzione democratico e pluralista che dovrebbe vigere nell’Europa Unita.
Nella sua causa, l’istituto bilingue ha incassato il sostegno delle organizzazioni delle minoranza slovena in Italia, di numerose autorità locali (non ultima l’Arcidiocesi di Udine) e del Ministero per gli Sloveni nel mondo.

Tutta la vicenda si inserisce in una più ampia situazione conflittuale che si è venuta a creare nella zona dall’entrata in vigore della legge di tutela della minoranza slovena.
Basti pensare alla questione dei cartelli bilingui, per ora assenti in comuni che per legge dovrebbero installarli – o a volte malamente imbrattati, ove presenti. Oppure ai toni esasperati delle passate elezioni locali, dove esponenti di spicco della zona e alcuni politici regionali intervenuti a sostegno di questo o quel candidato richiamavano addirittura scenari da plebiscito a favore dell’Italia.
Eppure nel corteo di venerdì erano presenti svariati tricolori, chiaro segnale che anche i cittadini manifestanti si sentivano cittadini italiani. Ma cittadinanza e lingua parlata non devono obbligatoriamente coincidere. Altrimenti paesi evoluti come la Svizzera non avrebbero motivo di esistere. E l’articolo 6 della nostra Costituzione non sarebbe mai stato scritto.

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