13 Giugno 2010

Acqua, vita, energia, guerra: conferenza al Narodni Dom

Si è svolta ieri pomeriggio alla Narodni Dom (oggi sede della Scuola Interpreti) la conferenza “Acqua, vita, energia, guerra”, organizzata dal Progetto per un Comitato lavoratori ed utenti, e alla quale hanno aderito numerose sigle dell’associazionismo triestino: Asud, Arci, Bioest, Comunicato Referendario per l’acqua pubblica, Sinistra Critica, Cobas, Centro studi per la Scuola Pubblica, Anpi, Comitato pace e convivenza Danilo Dolci, Sinistra Ecologia e Libertà, Senza Confini.

Dei numerosi interventi che si sono susseguiti nel pomeriggio, e che hanno contribuito a costruire un ricco mosaico dai tasselli molto variegati, ne abbiamo scelti tre: quelli di Lorenzo Barbera, Renato Di Nicola e Olel Jackson.

Lorenzo Barbera
Nato a Partanna, è il fondatore del CRESM (Centro Ricerche e Studi Meridionali). Si è formato con il sociologo triestino Danilo Dolci.

«Conobbi Danilo Dolci quando avevo 20 anni, e nel mio paese si discuteva su come i disoccupati potessero farsi sentire dall’opinione pubblica e dalle istituzioni. Così pensammo che se i lavoratori potevano utilizzare l’arma dello sciopero, i disoccupati potevano protestare lavorando. Ideammo quindi lo sciopero alla rovescia, rifacendo a nuovo una strada del paese. Era il 1956: il Ministro dell’Interno Scelba fece intervenire la polizia. Fortunatamente avvertimmo i media locali, così la polizia dovette comportarsi in modo adeguato. Vi furono alcuni arresti ma il processo più importante fu quello contro l’articolo 4 della nostra Costituzione, che tutela il diritto al lavoro. Lo Stato era intervenuto contro dei cittadini che chiedevano solo di lavorare.
Fu in quest’occasione che maturai l’idea che nessuno debba essere escluso dalla produzione di ricchezza (non solo economica, ma anche tecnica e culturale) e nessuno debba essere messo in condizioni di dipendenza dagli altri.
Ma andiamo al tema dell’acqua, e partiamo da lontano: nel periodo delle Guerre Puniche, Roma utilizzò la Sicilia come base militare per le operazioni belliche contro Cartagine. I Romani distrussero le foreste per stanare gli indigeni che rifiutavano di diventare schiavi, nonché per costruire le navi. Inoltre l’isola venne trasformata nel ‘granaio di Roma’ con la monocoltura a grano duro. Per più di venti secoli quindi la Sicilia fu coltivata esclusivamente a grano duro. Prima dell’avvento dei Romani, la Sicilia era una terra florida, ricca di sorgenti e torrenti mai secchi, grazie anche al clima piovoso.
Questo racconto serve a comprendere come da sempre la guerra, il potere e l’economia portino alla devastazione ambientale.
Oggi abbiamo compiuto uno studio in collaborazione con l’Università di Catania, al fine di monitorare le acque di tre grandi golfi del Meridione: Catania, Patti e Castellammare. Abbiamo scoperto che molto spesso i depuratori fognari o non ci sono o non funzionano, in particolare d’estate, quando la popolazione delle zone turistiche cresce esponenzialmente. Ma la scoperta più agghiacciante l’abbiamo fatta controllando le quantità di metalli presenti nel latte materno di 1000 donne residenti a Catania e 1000 ad Augusta, e nel pescato del Golfo della città etnea. Ebbene, i valori erano 1000 volte superiori al limite a Catania, e addirittura 1500 ad Augusta. Questo a causa dei numerosi insediamenti industriali presenti sulla costa, delle 500 tonnellate di mercurio scaricate in mare in questi decenni, ma anche delle grandi quantità di eternit ‘smaltite’ in maniera a dir poco criminale. Per non parlare di tutti gli altri metalli pesanti, della diossina… L’incidenza del cancro in questa parte di costa orientale sicula è sei volte superiore alla media siciliana.
Concludendo, sono convinto che oggi più che mai sia necessario mutare le ottiche di approccio con il mondo nel quale viviamo. Nel compiere un percorso sul livello locale non possiamo non inserirci in un’ottica mondiale. Oltre a ciò è necessario costruire una larga consapevolezza e partecipazione. La vera sfida di oggi è costruire un limite di dignità, anche ma non solo economica, al di sotto del quale nessuno viva, e un altro oltre il quale nessuno possa andare, per costruire un mondo dove nessuno sia escluso e ogni persona venga considerata imprescindibilmente come un valore prezioso».

Renato Di Nicola
dell’Abruzzo Social Forum

«Vi porto la nostra esperienza di lavoro collettivo, per il quale la partecipazione varia da lotta a lotta, da periodo a periodo.
Negli anni abbiamo ottenuto molti risultati, principalmente di resistenza ad opere, progetti e disegni politici che interessavano il nostro territorio e le nostre popolazioni:
Il terzo traforo del Gran Sasso: avrebbe compromesso la più importante falda idrica dell’Appennino, oltre ad essere una grande opera inutile visti i flussi di traffico transappenninici. La cosa che ha più mosso la popolazione abruzzese è stata l’esclusione da ogni luogo di discussione e decisione – l’opera venne presentata da Berlusconi e Lunardi a Porta a Porta! –.
Il drenaggio di 1/3 delle acque dolci abruzzesi in Puglia: non sarebbe stato un aiuto alla popolazione pugliese ma alla società privata che gestisce l’acquedotto, di proprietà di Caltagirone, e alle multinazionali che avrebbero voluto mettere le mani sull’acqua abruzzese. Persino ‘Il Tempo’, giornale di destra, fu contrario all’opera e titolò “I fiumi non si toccano, l’acqua non è merce”. Oggi con la firma del Presidente della Regione Puglia Vendola, l’opera non si farà più.
La ‘petrolizzazione’ dell’Abruzzo: l’ENI intendeva scavare due pozzi-pilota nella zona agricola della Regione – nota per il Montepulciano – al fine di estrarre petrolio solforoso (che nelle altre zone del mondo non viene estratto perché fortemente inquinante). Il progetto è momentaneamente bloccato e anche Berlusconi si disse contrario poiché sapeva che su questo si sarebbe giocata la vittoria nelle elezioni del 2009. Il discorso però non è chiuso: resta aperta la pista delle traforazioni marine: se ciò avvenisse, un disastro simile a quello del Golfo del Messico significherebbe la morte dell’Adriatico.
Infine, il terremoto dell’Aquila, che non esito a definire un esperimento scientificamente condotto di gestione autoritaria e violenta di un territorio e di una popolazione. Anche la cosiddetta ‘cricca’ e la corruzione che gira attorno al grande affare della ricostruzione sono tutti dei pretesti per nascondere la vera natura di questo progetto. Ma andando nel dettaglio, i passi di questo grande esperimento sono stati: la divisione della popolazione terremotata tra tendopoli e alloggi sulla costa; l’ospedalizzazione forzata degli abitanti delle tendopoli, con un uso massiccio di medicine e psicologi; la militarizzazione delle tendopoli, addirittura con il divieto di condurre una normale campagna elettorale per le Europee del 2009; la distruzione del tessuto urbano, con la decisione di costruire le ‘new towns’ e di dedicare il centro storico dell’Aquila a sedi di aziende e uffici, quando prima del terremoto era abitato da gente normale e ricco di vita. Oggi sono ancora tra 50.000 e 70.000 le persone assistite, e tutto ciò ha portato alla celeberrima rivolta delle carriole.

Per concludere, alla non credibilità del ceto politico, che spesso su questi temi sceglie la strada del silenzio o della disinformazione, non si risponde con l’impoliticità. I nostri discorsi non sono frutto di teorie campate per aria ma sono costruiti attraverso la sensibilità della gente sul territorio. E’ necessario quindi accrescere la sapienza popolare rispetto al territorio, tornare ad impossessarsi del proprio territorio».

Olel Jackson
Rappresentante del Presidio permanente NODALMOLIN di Vicenza

«La risposta della popolazione vicentina alla decisione di costruire una nuova base USA è stata simile a quella delle popolazioni abruzzesi raccontata prima da Renato. Il territorio vicentino è da sempre di idee moderate, e da sempre convivente con una base americana. Cosa è successo perché una comunità insorgesse contro un progetto condiviso da centro-destra e da centro-sinistra, costruendo un’intelligenza collettiva e operando azioni alle quali la politica tradizionale non ha saputo rispondere?
Probabilmente la molla è stata la costruzione di una narrazione alternativa della nostra città e del nostro territorio, in contrapposizione con la mancanza di informazione, l’inganno semantico, la bugia sistematica.
Abbiamo preso spunto da Spinoza – “Non ridere, né piangere, ma capire” – per costruire un ‘genius loci’ messo a disposizione della comunità.
Abbiamo deciso di impostare la nostra narrazione su tre coordinate: guerra, democrazia, beni comuni.
La prima coordinata è la guerra: è necessario far capire ai vicentini che la base sarebbe, com’è stata quella già presente a Vicenza per la Guerra in Afghanistan, una struttura di produzione di conflitti bellici, non certo come sosteneva il commissario Paolo Costa “un dormitorio per i militari americani”. Ospitare nel nostro territorio chi sostiene l’esportazione armata della democrazia significa agire, anche inconsapevolmente, come un ingranaggio del sistema bellico.
La seconda coordinata è la democrazia: riteniamo che il governo del territorio sia stato tolto, in questa vicenda, dalle mani dei cittadini. Viviamo in democrazia: ma dove si forgia oggi l’unione tra dèmos e kràtos? Nessun uomo politico è venuto a Vicenza a spiegare, usando le armi tradizionali della politica e della dialettica, il perché della base militare.
La terza coordinata sono i beni comuni: il territorio infatti è un bene comune come l’acqua e le altre risorse vitali. Nel gestire i beni comuni un territorio deve essere capace di includere e progettare il futuro, non solo di gestire il presente. Inoltre, sotto il territorio della futura base, scorre la seconda falda freatica del Nord Italia – la quarta d’Europa – che verrebbe compromessa da eventuali costruzioni. Ecco come gli argomenti, in questo caso guerra ed acqua, si intrecciano.
Concludo sostenendo che nel costruire i movimenti sul territorio non possiamo pensare di essere autosufficienti, bisogna altresì avere la capacità di contaminarsi e contaminare, sempre nel rispetto delle differenze altrui, per costruire una grande narrazione comune».

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Un commento a Acqua, vita, energia, guerra: conferenza al Narodni Dom

  1. Marisa ha detto:

    Parlando di territorio e arroganza del potere, che poi è un tema che mi pare sia stato centrale nel dibattito del 13 giugno al Narodni Dom, vi allego un comunicato stampa che ritengo molto importante e che in Friuli è già stato riportato da tutta la stampa locale con grande evidenza. A Trieste non lo so se ne siete venuti a conoscenza. Temo di no. E’ questa una prima imbarazzante sconfitta di Renzo Tondo, anche se la battaglia contro Terna/Tondo non è ancora vinta.
    —————

    COMUNICATO STAMPA N. 62 9/6/2010

    Elettrodotto Redipuglia-Udine ovest.

    La giunta regionale non potendo fare a meno di recepire le indicazioni emerse nel corso della istruttoria condotta dalle sue direzioni tecniche, ha dovuto bocciare il progetto dell’elettrodotto Redipuglia-Udine Ovest. La bocciatura, immediatamente comunicata alle funzioni ministeriali competenti, ha colto di sorpresa i più, non certo il Comitato per la Vita del Friuli Rurale che a più riprese aveva dimostrato la irregolarità di quel progetto sia dal punto di vista formale che sostanziale. Tanto da averne immediatamente sollecitato la non procedibilità. Atto dovuto, dunque, in relazione a precise e gravi anomalie, che i burocrati regionali non hanno potuto fare a meno di rilevare e l’esecutivo ratificare, pena la accusa di omissione di atti di ufficio. Per quanto l’esito di quella istruttoria non sia ancora accessibile, rimangono confermate le linee guida delle obiezioni, prima fra tutte la mancata valutazione quali-quantitativa delle possibili alternative all’unica soluzione imposta, cioè alla soluzione in aereo.
    Onde evitare i possibili e non improbabili colpi di mano delle segreterie romane e nuovi, inutili gravami economici sarà d’ora in poi cura del Comitato vigilare e organizzare un incontro con il ministro Prestigiacomo, ma nel contempo valutare tutti i possibili elementi a carico di quei funzionari pubblici che pur messi in guardia hanno continuato ad ignorare la improcedibilità e, nel contempo, le osservazioni pervenute da parte del Comitato e di singoli cittadini.

    La notizia della sonora bocciatura è giunta in anteprima in occasione della giornata di ieri otto giugno dedicata alla “green economy” in quel di Spilimbergo. Ebbene, a conclusione di una giornata densa di interventi autocelebrativi da parte dei burocrati della Regione Friuli-Venezia Giulia, il presidente del Comitato non ha esitato a mettere sotto accusa le varie funzioni regionali, colpevoli a suo dire di operare senza le necessarie competenze tecniche e la dovuta indipendenza di giudizio. E’ stato allora che l’assessore all’ambiente Elio De Anna ha anticipato l’esito della riunione di Giunta con la quale il vertice regionale ha di fatto bocciato il progetto della TERNA. Al di là dell’intuibile imbarazzo del presidente Tondo e di chi nell’esecutivo ha pensato di vendere la pelle dell’orso prima dell’ora, resta il fatto che l’assessore De Anna non ha mancato di rendersi disponibile ad un incontro con il Comitato, senza pregiudizi di sorta e le reticenze che in passato hanno caratterizzato i suoi colleghi. Invito, immediatamente accolto.

    Le mura di Gerico stanno dunque scricchiolando sotto le ragioni del Comitato per la vita del Friuli Rurale e di una società civile sempre più indignata per la subalternità dimostrata dal suo vertice regionale. L’assedio alla cittadella regionale, fatta di assemblee pubbliche, informative improvvisate in ogni possibile circostanza, di una comunicazione porta a porta sotto i vessilli della patria del Friuli e di migliaia di volantini ha cominciato dunque a dare i suoi frutti.

    Aldevis Tibaldi
    Comitato per la Vita del Friuli Rurale (Udine)

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