11 Giugno 2010

Restaurato il prezioso orologio Kandler del 1760

Il restauro del prezioso orologio a tabernacolo del 1760, opera di Paolo Kandler, è stato presentato ufficialmente nel corso di una conferenza stampa, svoltasi nel Civico Museo di Storia e Patria di via Imbriani.

“Un altro tassello si aggiunge all’ampia collezione di questo sito museale triestino” -ha sottolineato l’assessore Massimo Greco- che ha voluto ringraziare inoltre “la mecenatistica sensibilità dell’ Inner Wheel” e anche il restauratore Antenore Schiavon “l’alta qualità dell’intervento di nobile artigianato”. Parole di gratitudine sono state espresse anche dal direttore dell’Area Cultura Adriano Dugulin, che ha ricordato come “dal 1993 l’Inner Wheel mette a disposizione ogni anno finanziamenti che consentono il recupero, la conservazione e la valorizzazione di beni museali”, mentre la presidente Donatella Nicolich ha sottolineato come “questo restauro ci rende particolarmente orgogliosi”. E’ toccato quindi a Renato Schiavon ripercorrere la storia del restauro del prezioso orologio realizzato a Trieste nel 1760 da Paolo Kandler.

Acquistato dai Civici Musei di Storia ed Arte nel 1921, l’orologio restaurato è un’opera giovanile di Paolo Kandler (Graz, 1733-Trieste, 20 giugno 1794), nonno del più noto Pietro, “maestro insuperato fra gli storici delle province nostre” (come recita la lapide posta sulla sua casa natale in via San Nicolò 8). Esso appartiene alla tipologia viennese dell’“orologio da caminetto”, o “a tabernacolo” per la caratteristica forma esteriore, piuttosto frequente nel ’700. Se questi orologi si mostrano piuttosto ripetitivi nella forma esteriore, si differenziano profondamente nella parte decorativa e nelle innovazioni meccaniche. Incisioni, trafori metallici e motivi a rilievo erano presenti un po’ ovunque, anche nelle parti non immediatamente visibili: tutto doveva essere fatto con cura e puntiglio, quasi una sfida per vincere il tempo. La meccanica era invece relativamente semplice, nonostante la presenza di due quadrantini per escludere il suono delle ore e dei quarti, e una singolare finestrella per i giorni del mese. Un tipico preziosismo è il “falso pendolo”, che fa capolino sotto lo scudetto con la scritta “Paulo Kandler fato in Trieste”: veniva realizzato con uno specchietto sfaccettato che lo faceva assomigliare ad una pietra preziosa (il vero pendolo è invece nascosto ed è visibile sul retro dell’orologio).

La famiglia Kandler, molto nota in città, si stabilì a Trieste al principio del secolo XVIII. Il capostipite, Adamo Chandler, di origine scozzese, era al servizio dell’imperatore d’Austria come giardiniere, ma venne allontanato da Vienna in seguito ad un’avventura galante con una dama di Corte. A Trieste gli venne assegnato il ruolo di guardaboschi (Fòrster) del Farneto, bosco di proprietà imperiale. I suoi figli Mattia (o Matteo) Kandler (Vienna 1728 o 1731-Trieste 1804) e Paolo si dedicarono rispettivamente all’oreficeria e all’orologeria e fecero parte per molti anni della corporazione triestina degli orafi, fino agli anni ’90 del ’700. Mattia praticò il mestiere almeno a partire dal 1755 e fu il primo a Trieste ad eseguire lampade votive, calici, ostensori, che fino ad allora venivano acquistati fuori città. Il fratello Paolo – o Paulo, come si firma in questo orologio – s’impadronì della meccanica minuta e di diverse tecniche relative alla lavorazione dei metalli, al tempo necessarie a chi volesse costruire orologi: incisione, sbalzo, argentatura. Questa dote eclettica, d’arte e d’ingegno, verrà portata avanti da uno dei suoi dodici figli, Giuseppe Domenico (1766-1805), del quale si è conservata una pendola simile a questa di cui si presenta il restauro. Fra gli altri figli, scelse la via dell’arte anche Paolo Sebastiano (Trieste 1776-1837), valente pittore e scenografo negli anni di grande espansione del Teatro triestino. Dal suo matrimonio con Giovanna Ceruti nacquero il celebre storico triestino Pietro (Trieste 1804-1872) e il pittore Giovanni, detto Nane (Trieste 1805-1865), di cui nel Civico Museo di Storia Patria si conservano due bozzetti che ritraggono l’ambiente familiare , con i diversi componenti impegnati a “fare arte”.

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