23 Maggio 2010

Melara: arte di periferia, viaggio tra gli artisti “della bomboletta facile”

Duecentosessantasette mila metri cubi di cemento, acciaio e vetro che dominano Trieste dalla sommità dell’altopiano di Rozzol Melara.
Un gigante grigio che sovrasta con i suoi due corpi a ‘L’ la città. Difficile non accorgersi della sua presenza.

Nato nei primi anni ottanta dopo quasi un ventennio di lavori (1969-1981), il complesso residenziale popolare ATER di Melara, più conosciuto come “il quadrilatero” o più pittorescamente come “Alcatraz”, rappresenta il maggior ‘monumento’ al cemento armato che la città ha eretto per le crescenti necessità abitative.
Con i suoi 468 appartamenti è stato  – ed è tuttora – uno delle più grandi strutture della nostra provincia.
Concepito e realizzato dallo Studio Celli di Trieste secondo gli allora celebri  dettami del “Movimento Moderno”, periodo e stile caro all’architetto Charles-Edouard Jeanneret-Gris conosciuto con lo pseudonimo di Le Corbusier, ricalca con precisione dettami e finalità dello stile citato: tutto nasce e ruota in funzione al cemento armato.
Nato agli inizi del XIX secolo, il Movimento Moderno fece propri i concetti di praticità e utilità, idee sintetizzate dall’architetto tedesco Bruno Taut nei cinque punti cardine di questa architettura: la prima esigenza sta nella migliore utilità possibile dell’edificio a cui, i materiali utilizzati per la costruzione, devono essere subordinati. Altro aspetto chiave è che “ciò che è funzionale è bello”, quindi poco spazio a vetrate, facciate o alle finiture: tutto deve essere estremamente funzionale. Ultimo punto è l’unicità dei rapporti reciproci, cioè l’interazione che l’edificio avrà con le strutture circostanti: la casa, così spiega Taut, deve essere il prodotto di una disposizione collettiva e sociale.
Da questa concezione del costruire nasce la struttura di Rozzol-Melara; con l’idea di un grande “villaggio indipendente” in cui l’abitante possa soddisfare i propri bisogni primari: negozi, scuole e servizi devono essere a portata di mano in nome di una corretta funzionalità sociale.
Nel corso degli anni, invece, il complesso ha visto un costante e lento declino a cui le fredde ed impersonali pareti di grigio cemento hanno assistito; impassibili spettatrici del tramontare dell’idea architettonica moderna, testimoni immobili del degrado a cui la struttura stava andando incontro.
Non tutti però si sono arresi al grigiore della mastodontica struttura. Da qualche anno a questa parte un gruppo si artisti ha utilizzato le pareti del quadrilatero come un’enorme tela da dipingere e riportare alla vita grazie ed ignizioni mirate di colore.

Gli artisti “dalla bomboletta facile” si sono riappropriati della luce che attraversa le enormi finestre e l’hanno impressa sulle pareti dei lunghi corridoi che attraversano i vari livelli della struttura.
Non solo semplici tag (le “firme” spesso stilizzate che vengono lasciate un po’ ovunque, anche nel centro cittadino) sicuramente impopolari visto il comune senso di apparente inutilità e dell’effettivo grado di deturpazione degli edifici che spesso comportano, ma delle opere d’arte visiva più comunemente  chiamata “street art”.

Pareti che hanno preso vita grazie all’estro e al gusto di ragazzi che hanno deciso di rendere più viva e colorata la propria casa, il proprio quartiere, dando un senso al monumento di cemento armato tanto caro a Le Corbusier.
Non voglio entrare nel merito della legislazione e nella diatriba tra chi considera la street art come una forma di crimine e quelli che, diversamente, la considerano un’arte. Resto convinto che, se una cosa è in grado di dare un senso al grigiore che spesso pervade le nostre periferie, non può essere una cosa cattiva.

Non ci si improvvisa di certo artisti in questa jungla fatta di simboli, di codici e si mille sfumature. Guardando ‘un pezzo’ sul muro ci si rende subito conto di quanto lavoro e di quanta capacità tecniche ci siano voluti per raggiungere un risultato così coinvolgente.
Troppa disinformazione e pregiudizi aleggiano sulle figure dei writers. In attesa che qualcuno di questi artisti metropolitani ci venga a raccontare tutti i retroscena di un’arte di così forte impatto e così controversa, lasciamo parlare le immagini dei loro lavori.

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9 commenti a Melara: arte di periferia, viaggio tra gli artisti “della bomboletta facile”

  1. matteo ha detto:

    non so come hanno potuto costruirlo

    riguardo alle immagini, molto belle

  2. dultan ha detto:

    xe che i fenomeni de architetti non ga fato i conti con la civiltà (0) della gente che spaca tutto e sporca e lo scarso senso civico.

  3. federico ha detto:

    E’ un articolo che parla di Melara in maniera superficiale fraintendibile come sempre..di architettura poi …di streetart non so pensavo fosse incentrato su quello..ma a parte le foto buh…nn so cosa pensare..che hai fatto un giretto e ti sono piaciuti i pezzi?

  4. bubez goriziano ha detto:

    Per punizione io costringerei gli architetti che hanno progettato il quadrilatero ad abitarci.

  5. Richi ha detto:

    A Trieste si chiudono dormitori mentre la sinistra manifesta in piazza per le canne libere e stronzate simili (qualcuno ricorda il Gaspare Gozzi?), si multano i non abbienti che osano avvicinarsi al “salotto buono” e nessuno fiata e dulcis in fundo ci si nasconde il fatto che vi siano diversi quartieri dove ci sono problemi diffusi di alcolismo e disoccupazione.

    E vi chiedete come han potuto costruire Melara in una citta’ del genere?

  6. alpino ha detto:

    il quadrilatero dormitorio di Melara appare oggi nei manuali anche di sociologia urbano rurale ed affini com eesmpio di un idea passata errata fin dal principio, a legger l’articolo par addirittura che all’autor ghe piasi el posto 🙂 vien addirittua annoverato assieme ai mega quartiri dormitorio di Scampìa e Palermo oltre che alcune zone di Torm bellamonaca, poi street art ok, bella da vedere, ma de solito scuseme la bassezza dove xe cesso e cragna lì te trovi i graffiti..insomma forse xe mejo ripensare a Melara in altra maniera al di là dei pupoloti colorati sui muri

  7. Richi ha detto:

    Disemo che Melara xe stada un esempio positivo per tanti versi.
    Da una situazion de emarginazion e degrado i abitanti xe rivadi a crear iniziative e spazi per la muleria e oggi rispetto a quindici anni fa -a quanto disi tuti, miga mi- ghe xe stado un miglioramento.

    Anzi, diria che xe molto meio messa rispetto a certe aree de Ponziana, San Giacomo o Via Flavia che inveze xe decisamente degradade nei ultimi tempi.

    Inutile dir che chi che lo ga costruido e pensado xe un mus de merda.

  8. Luigi (veneziano) ha detto:

    Ogni volta che vengo a Trieste, questo orrore è come un pugno allo stomaco.

    Ai miei occhi è un esempio di approccio “ideologico” all’architettura: un’idea politico/architettonica domina la mano dell’architetto, e produce un mostro del quale io – da non triestino, e scusatemi per questo – posso solo augurare l’abbattimento.

    Scommettiamo che l’architetto Celli e i suoi soci non vivono in una casa di questo tipo?

    L.

  9. arlon ha detto:

    A Melar le soluzioni xe 2
    – o butarlo zo
    – o spenderghe SAI bori, per far una struttura ad utilizzo misto, dignitosa e con manutenzion, che funzioni sia come appartamenti che come uffici (e no un “dormitorio” come desso)

    A mi la seconda no me dispiasessi, ma la va studiada sai ben. Inutile dir che xe più divertente parlar de parchi del mar (mai visti) piutosto che lavorar a soluzioni pratiche per migliorar quel che xe 🙁

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