12 Maggio 2010

A èStoria l’inedito di Elio Apih sulle foibe: “Come e da dove viene l’infoibamento nella Venezia Giulia?”

Mentre è scattato il conto alla rovescia per la VI edizione del Festival internazionale èStoria, in cartellone a Gorizia dal 21 al 23 maggio intorno al tema “Orienti”, un appassionato omaggio arriva, dai promotori del festival, allo storico triestino Elio Apih, scomparso nel 2005.

Il festival quest’anno ricorderà Elio Apih, i suoi studi e le sue ricerche, ma soprattutto la sua personalità e le sue intuizioni spesso geniali, presentando addirittura un inedito dello storico triestino, “Le foibe giuliane” (180 pagine, collana Novecento € 18), che viene pubblicato da Leg – Libreria Editrice Goriziana e sarà disponibile in libreria da venerdì 14 maggio. Un’occasione per ribadire la statura critica e speculativa di Apih, capace di rinnovare la storia di Trieste e della regione Giulia, trasferendola, dalla dimensione della tradizione locale filologico-erudita, a quella europea, dell’illuminismo e del riformismo settecentesco, studiando fenomeni come il nazionalismo e il fascismo, e rivolgendo altresì la sua attenzione a problematiche quali la politica di snazionalizzazione fascista, gli ebrei triestini, l’antifascismo sloveno, la resistenza jugoslava, le foibe, l’austromarxismo. “Le foibe giuliane” esce in edizione postuma con l’attenta curatela critica di Roberto Spazzali, Marina Cattaruzza e Orietta Moscarda Oblak; la figura di studioso e intellettuale di Elio Apih viene delineata con grande intensità da Marina Cattaruzza nell’ultimo capitolo del libro.

Gli interrogativi posti da Elio Apih e le riflessioni che essi suscitano nel percorso del libro “Le foibe giuliane”, muovono da un quesito fondamentale: “Come e da dove viene l’‘infoibamento’ nella Venezia Giulia?” È bene precisare che l’autore tratta sia delle foibe del 1943 in Istria, sia delle foibe del 1945, che riguardarono anche Gorizia, Pola e Fiume, ma soprattutto, per efferatezza, Trieste. Ciò detto, è significativo che il primo capitolo si apra su uno scenario di vuoto metafisico: l’abisso (abissus abissum invocat) in cui si agitano elementi da primordio evocati tramite suggestioni letterarie, echeggiano voci di un’antica coscienza filosofica centroeuropea, si ridesta un universo premoderno di credenze misteriche e magiche che aveva profondamente colorato i tessuti dell’immaginazione di tante generazioni di istriani; la percezione diffusa è quella del male connesso alla foiba.

Ma sul piano storico l’“infoibamento” come eccidio trova collocazione nel quadro della Seconda guerra mondiale; taluni episodi (il massacro di Katyn, le Fosse Ardeatine, le stragi in Spagna descritte da Hemingway) possono fare pensare ad un’analogia fra le modalità “rituali” dell’eccidio. Tuttavia il quadro delle foibe giuliane pone la questione di un uso barbarico che sembra appartenere all’Europa centro-orientale, e ci si domanda se esista un’inquietante presenza di “esperti” istruiti dai protagonisti dei fatti di Katyn. Si tratta, ad ogni modo, di un accadimento storico complesso, che rompe un plurisecolare assetto sociale da un lato, e dall’altro, nella lotta di liberazione, assume, dal punto di vista sloveno o croato, carattere di revisione confinaria con l’Italia. Le tensioni politiche si intrecciano con quelle nazionali e viceversa, sicché la correlazione causa-effetto non è, per Apih, l’unica chiave interpretativa ammissibile.

Per decenni la questione delle foibe è stata ostaggio della polemica politica, fondata sul mero conteggio dei morti, sulla descrizione delle atrocità, senza contare l’aleatorietà delle testimonianze dirette, tanto più incerte quanto più accentuata ne è la contingente emotività. L’ipotesi dell’Autore è che il comunismo jugoslavo non è stato sottoposto a giudizio in quanto ha goduto di un’ampia immunità dettata dall’atlantismo e incontrato l’apprezzamento della sinistra italiana in nome della politica di equidistanza terzomondista di Tito; in Italia l’antifascismo si sarebbe invece dovuto impegnare di più nella costruzione di un’etica democratica nella società civile, e meno in quella di un’etica politica o partitica, nel corso di un lungo processo che ne ha enfatizzato il culto eroico anche tramite l’abuso retorico, laddove la generazione democratica di Apih aveva intravisto nell’antifascismo l’opportunità di una rifondazione morale della Nazione italiana.

Elio Apih (Trieste, 1922–2005), laureatosi in Filosofia teoretica a Padova nel 1945 e in Storia del Risorgimento a Trieste nel 1947, è stato uno dei massimi rappresentanti della storiografia triestina e giuliana del Novecento. Dal 1996 al 2000 è stato membro della Commissione storico-culturale italo-slovena. Autore, fra l’altro, di La società triestina nel secolo XVIII (1957), Italia: fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia (1918-1943) (1966), Risiera di San Sabba. Guida alla mostra storica (1983), Il ritorno di Gianni Stuparich (1988), con Trieste, del 1988, raggiunge il più alto momento di sintesi della sua pluridecennale attività.

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6 commenti a A èStoria l’inedito di Elio Apih sulle foibe: “Come e da dove viene l’infoibamento nella Venezia Giulia?”

  1. effebi ha detto:

    “Apih dice chiaramente che non c’è più spazio per la teoria giustificazionista. Non crede a chi parla di una reazione alle violenze dei fascisti e dei nazisti. Non crede nemmeno alla colpevolezza di un gruppo limitato, alle delazioni di qualche singolo malvagio. Per lui le foibe sono un crimine organizzato, opera del movimento partigiano e, come già accennato, una delle incarnazioni del Male del Ventesimo secolo”

    (Marina Cataruzza – Il Piccolo 13 maggio 2010)

  2. istro ha detto:

    …sai che non mi stancherò di ripetere che per me le foibe giuliane, le fosse comuni slovene, il massacro di Bleiburg, il campo di concentramento di Jasenovac, di Visco, la Risiera,….sono tutte pagine tristi della nostra storia, quella più vicina a noi, scritta con il sangue. Pagine uguali, la storia simbolica di Caino e Abele, senza giustificazioni possibili. Idealmente depongo un fiore, su ogni pagina….
    Pagine che per molti è difficile condividere, ma per tutti dev’essere facile rispettare, in silenzio.

  3. Victor Bergman ha detto:

    Apih ha centrato molto bene la questione.
    Per “realizzare la rivoluzione” i partigiani non stavano facendo altro che eseguire direttive analoghe a quelle che a suo tempo
    diramava già Lenin .
    Anche per le foibe vale la spiegazione della banalità del male, che in questo caso consiste nel ragionamento secondo il quale per ottenere il potere bisogna essere temuti, e per essere temuti bisogna dimostrare di sapere-volere-potere uccidere. La “vendetta” o la “punizione” non c’entrano niente. Le foibe non erano volute dalle vittime dei nazi-fascisti o dagli ex-deportati, bensì da gente senza scrupoli determinata ad approfittare della guerra per conquistare il potere.
    Eviterei però l’errore di delimitare questo male al solo ventesimo secolo. E’ un male che è sempre stato presente nella storia, ed è compito nostro vegliare continuamente per evitarlo.

  4. effebi ha detto:

    quoto victor:

    “Eviterei però l’errore di delimitare questo male al solo ventesimo secolo. E’ un male che è sempre stato presente nella storia, ed è compito nostro vegliare continuamente per evitarlo.”

    E sottolinerei che parlare (solo) di “foibe” può diventare riduttivo e forse anche fuorviante quando vengono trattati gli episodi collegati al dopoguerra nell’intera Jugoslavia. I “sistemi” di eliminazione furono efficacemente “variegati”. Le grotte slovene in cui si seppellivano vive le persone o gli annegamenti nel mare della Dalmazia sono solo due esempi, dove ovviamente le vittime non furono di una sola etnia in particolare… ma in generale quello che veniva identificato come “ostacolo” (nemmeno opposizione) al regime rivoluzionario.

    Ed è in questo che risultano ancora “inquietanti” quelle bandiere rosse che ancora vengono “ostentate” in occasione della cosidetta “liberazione” della Venezia Giulia (o come diversamente la si preferisce chiamare)

    con Istro mi trovo in sintonia su quasi tutto tranne che per un aspetto: il silenzio.
    tutto dobbiamo fare meno che rimanere in silenzio. è dal dialogo, da un confronto aperto anche formulato in queste forme, che avviene la comprensione dei fatti passati.

  5. alpino ha detto:

    Le foibe goriziane sono anche se così possiamo dire patrimonio storico sloveno, furono e sono limitate le ricerche sugli infoibamenti di preti sloveni della diocesi goriziana ed oppositori del comunismo o presunti tali sloveni residenti nelle zone di San Mauro San Pietro Salcano ecc ecc, il goriziano conta numerose vittime slovene per infoibamento oltre ad arresti ed altre crudeltà, proprio perchè fervido era l’impegno anche dei sacerdoti sloveni contro la deriva comunista jugoslava nella nostra diocesi con forti faide interne in quanto viva fu anche l’opposizione dei preti sloveni vicini all’OF che si univano ad altri delatori goriziani che collaboravano attivamente con l’OZNA

  6. effebi ha detto:

    Ed ecco quanto scritto dal Gen Mazzaroli in merito al Libro di Apih sull’Arena di Pola del 28/05/10 “Le foibe non furono una reazione”

    “Mai come quest’anno gli echi del Giorno del Ricordo stentano a spegnersi. Ancora non molti giorni fa, leggendo su un inserto de “Il Piccolo” alcuni articoli a proposito di come la ricorrenza viene percepita dai ragazzi triestini, sono rimasto colpito dalla considerazione formulata da uno studente. A suo dire, la celebrazione sarebbe troppo sbilanciata a destra e, quindi, poco credibile e condivisibile; la ragione sarebbe dovuta al fatto che, quanto meno in detta circostanza, a chiarimento “delle più complesse vicende del confine orientale” citate nella legge che lo istituisce, si sarebbe dovuto procedere alla diffusione nelle scuole del documento stilato al riguardo nel 2000, dopo sette anni di lavoro, dalla nota Commissione mista italo-slovena, ma mai reso pubblico dall’Italia.

    Ne emerge implicita l’accusa che la sua mancata diffusione abbia impedito, a giovani e meno giovani, di prendere coscienza del processo di causa-effetto che ha ingenerato il fenomeno storico delle foibe e dell’esodo. Noi, che invece i contenuti “giustificazionisti” di quel documento li conosciamo benissimo, troviamo oltremodo opportuno che non sia stato ufficializzato. Ciò non di meno, anche alla luce delle considerazioni di questo studente, dobbiamo prendere atto – ed anche altri dovrebbero farlo (cito, non a caso, uno dei suoi sottoscrittori, l’ex senatore Lucio Toth, che a suo tempo giustificò il suo operato come l’accettazione del “male minore”) – del danno morale da esso procuratoci.

    Il documento, peraltro, sin dalla sua ufficiosa (ufficiale in Slovenia) apparizione in Italia, era stato accolto “con riserva” anche da persone “informate dei fatti” non propriamente di destra. Ricordo, in particolare, uno scambio di opinioni avuto con il prof. Stelio Spadaro, uomo orgogliosamente e coerentemente di sinistra ma di profondi sentimenti italiani, che ne confutava, in generale, il diffuso giustificazionismo e, in particolare, la datazione dell’inizio del deterioramento nei rapporti italo-slavi all’instaurazione del fascismo in Italia nonché l’incompletezza dell’analisi per la mancanza di un qualsivoglia accenno al coinvolgimento croato nelle vicende occorse in Istria (e Dalmazia) nella prima metà del ‘900. Per questo, era stato tacciato di revisionismo dalle componenti più radicali del suo schieramento politico. Analogamente, in un suo editoriale pubblicato su “L’Arena” del marzo 2008, il nostro Piero Tarticchio – lui sì direttamente coinvolto dai fatti per la proditoria uccisione di diversi componenti della sua famiglia per mano dei partigiani slavo-comunisti – sosteneva che «la violenza slava del 1945 [e aggiungerei anche, in larga misura, quella del ’43] non fu una jacquerie».

    Ora a smentire la tesi di fondo di quel documento è nientemeno che uno degli allora altri suoi firmatari di parte italiana: Elio Apih, storiografo di matrice socialista, nato a Trieste nel 1922 e deceduto nel 2005. L’assist, del tutto imprevedibile ed inaspettato, che egli offre a quanti confutano lo studio condotto dalla predetta Commissione di storici (?) è contenuto nel suo libro postumo Le foibe giuliane (LEG – Libreria editrice goriziana, pagg. 159, € 18), recentemente presentato alla stampa (“Il Piccolo”, 13 maggio 2010) dalla professoressa Marina Cattaruzza, ordinaria di storia contemporanea generale presso l’Università di Berna. In esso, a detta della storica, esperta di “confine orientale” e non tacciabile di “destrofilia”, l’autore «dice chiaramente che non c’è più spazio per la teoria giustificazionista; non crede a chi parla di reazione alle violenze dei fascisti e dei nazisti; non crede nemmeno alla colpevolezza di un gruppo limitato, alle delazioni di qualche singolo malvagio. Per lui le foibe sono un crimine organizzato, opera del movimento partigiano e una delle incarnazioni del Male del XX secolo. Non a caso definisce le guerre del ‘900 civili e totali».

    Non ci chiediamo le ragioni di quel che appare come un radicale ripensamento di quanto sottoscritto solo pochi anni prima; ne prendiamo semplicemente atto apprezzando l’onestà morale dell’autore a ciò spinto, forse, dal fatto che, all’approssimarsi del “giudizio divino”, si è più portati ad indulgere nei confronti della verità che non dell’ideologia o della “ragion di stato”. Altro che accettazione del “male minore”; il sottoscrivere quel documento è stata, soprattutto da parte di chi più di altri lo avrebbe dovuto confutare, la supina accettazione di un uso distorto della storia per fini politici. Tuttavia, questa ottusa volontà di apparire politically correct, ovvero in linea con la vulgata storica, non ci sorprende; anche in cronaca esempi simili davvero non mancano.

    Uno dei più recenti l’abbiamo appreso anch’esso dalle pagine culturali de “Il Piccolo”. Il 30 aprile scorso il quotidiano triestino, a firma dello storico Roberto Spazzali, ha pubblicato un articolo con titolo a caratteri cubitali: 30 aprile 1945: il massacro di Lipa che l’Italia ha scordato in fretta. Che c’entra vi chiederete? C’entra eccome! Detto episodio è, infatti, sovente addotto da parte slovena come uno degli episodi che hanno ingenerato la violenta ritorsione dei partigiani slavo-comunisti nei confronti degli italiani. Pur sorvolando sulla grossolanità dell’errore commesso involontariamente dall’autore – il fatto si è, in effetti, verificato il 30 aprile del 1944 – ed a prescindere dal numero reale delle vittime, 287 o 269, comunque tante, dalla lettura del testo si evince con sufficiente chiarezza che si trattò di un’azione di rappresaglia, decisa e condotta dai nazisti, per l’uccisione di 5 soldati tedeschi per mano dei partigiani, e che la partecipazione di militari italiani (probabilmente anche di collaborazionisti sloveni) fu del tutto marginale. Perché allora un titolo volto ad attribuirne la responsabilità agli italiani? Ma non basta. Per rendere ancora più sconvolgente l’articolo ed a perenne vergogna di noi italiani, lo stesso è stato corredato da una foto (per la quale, in verità, l’autore si è chiamato fuori da ogni responsabilità, attribuendola alla redazione) che mostra un uomo circondato da centinaia di cadaveri spacciata come «una delle rarissime immagini che sono rimaste» di detto massacro. Quei poveri corpi senza vita indossano però per lo più un “pigiama” a righe e l’uomo che vi figura in mezzo è stato riconosciuto come Johann Baptist Ei-chelsdorfer, ultimo comandante del Kaufering IV, subcampo di Dachau; dunque non di vittime del massacro di Lipa si tratta, bensì di un lager nazista. Naturalmente, a seguito delle precisazioni avanzate da lettori meno sprovveduti di quanto i mistificatori della storia generalmente credono, sono state formulate delle scuse, dall’autore e da “Il Piccolo”, ma nella pagina delle “Segnalazioni”, non della “Cultura”, o presunta tale. Come di consueto, la rettifica, anche in questo caso è stata fatta con tutt’altra evidenza di come è stata data la notizia e c’è da chiedersi in quanti l’abbiano letta, come pure c’è da chiedersi se lo studente, citato in apertura, si prenderà mai la briga di leggere l’ultimo libro di Apih.

    Per concludere, prendo a prestito l’ultimo capoverso dell’articolo La tragedia delle foibe non nacque dalla rabbia. Fu studiata a tavolino con cui Matteo Sacchi, su “Il Giornale” del 13 maggio 2010, chiude la sua presentazione del lavoro di Apih. Cito testualmente: «Questa è la lezione più importante degli studi di questo storico così attento alle fonti. Guardando ai fatti dell’Istria alcuni dati appaiono chiari nonostante decenni di rimozione (italiana) e di mistificazione (jugoslava prima, slovena e croata poi): nell’eliminare gli italiani dall’Istria qualcuno pensò che il terrore fosse un mezzo accettabile. In Istria il livello politico delle formazioni partigiane decise di fare propria una riflessione di Hitler: “Il terrore è l’arma politica più potente e io non intendo privarmene”. I titini non se ne privarono».
    (Silvio Mazzaroli)

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