6 Maggio 2010

Invidie e orgogli della cucina triestina: «è la massima espressione della nostra cultura»

I fratelli Jean e Carlo Federico Milic sono gli autori, col padre Carlo, del libro “Storia e tradizioni dei ristoranti a Trieste”, pubblicato qualche anno fa per Italo Svevo Edizioni e ancora reperibile nella omonima libreria del capoluogo giuliano. Li abbiamo intervistati via email e così, con loro, abbiamo intrapreso un breve percorso sul significato dell’incontro a tavola qua, sul nostro Litorale.

Allora, se voi doveste spiegare a un “taliàn” di giù quali sono le differenze della cucina triestina con le cucine della penisola, come faresti?
Sicuramente Trieste è stata ed è tutt’ora crocevia di passaggio di molte etnie e un susseguirsi di eventi storici molto significativi. La nostra cucina ha così assorbito le usanze e le prelibatezze culinarie altrui, facendole proprie e modificandole secondo i propri costumi. Ciò ci ha portato a mescolare i sapori di diverse culture rendendole uniche nel suo genere.

Ditemi qual è per voi la ricetta più rappresentativa di questa città e perchè.
Difficile soffermarsi su una sola ricetta, perché molteplici sono i piatti che la rappresentano: la celebre Jota, la Porcina, Gnocchi di susini, il Goulash, la Putizza, il Presnitz, le Fave e molti altri… Se dovessimo scegliere, sicuramente al primo posto potremmo mettere la porcina, unica nel suo genere e nota per il suo gusto, con un goccio de kren (per “taliani” dicesi rafano) e senape: un’ottima scusa per parlare di lavoro o per scambiar do ciacole.

A cena fuori: qual è il posto migliore a Trieste per un incontro romantico?
Senza alcun dubbio potremmo proporre una buonissima cena a base di pesce a lume di candela o un buon pranzo con una splendida cornice come la baia di Duino, presso il ristorante “Al Cavalluccio”, dall’amico Marino Rossa.

Se voi doveste rubare un piatto ai furlàni, quale scegliereste?
Due le alternative: “Brovàda e muset” oppure “Frico con cipolla e patate”.

E se doveste rubare un piatto della tradizione balcanica (slovena, croata, serba…)?
All’unisono gli intervistati rispondono: LE SARME!!! , ma non dimentichiamo anche il “Burek”, “Prekmurska Gibanica” e “Strukli”.

Qual è il valore del cibo a Trieste nella socialità di ogni giorno, nelle famiglie e nella vita pubblica?
Il cibo sin dalla notte dei tempi ha rappresentato a Trieste il punto di incontro tra diverse culture sia all’interno della famiglia che nel vivere quotidiano. La massima espressione di una cultura multietnica, nonché la liaison per stupendi incontri conviviali, ma anche per concludere ottimi affari e per conoscere nuove persone.

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41 commenti a Invidie e orgogli della cucina triestina: «è la massima espressione della nostra cultura»

  1. Bibliotopa ha detto:

    mi dà da pensare: la cucina come massima espressione della nostra cultura…forse dipende anche dalla definizione scelta di cultura.

  2. enrico maria milic ha detto:

    cultura è l’insieme di pratiche sociali di una comunità

  3. effebi ha detto:

    mi piacerebbe vedere sulle rive un alternarsi di ristoranti di cucina “carnica” “friulana” “veneta” “austriaca” “slovena” “istriana” “balcanica in generale” “greca”…

    sarebbe un bel esempio di “cucina triestina”

  4. chinaski ha detto:

    La scienza della fiacca

    (storiella triestina, raccontata da Italo Calvino in “Fiabe Italiane”)

    C’era una volta un vecchio Turco, che aveva un solo figliolo e gli
    voleva più bene che alla luce degli occhi. Si sa che per i Turchi, il
    più gran castigo che Dio abbia messo al mondo è il lavoro; per­ciò
    quando suo figlio compì i quattordici anni, pensò di metterlo a scuola,
    perché imparasse il miglior sistema per battere la fiacca.
    Nella stessa contrada del vecchio Turco, stava di casa un
    professore, da tutti conosciuto e rispettato perché in vita sua non
    aveva fatto che quello che non poteva farne a meno. Il vecchio Turco
    andò a fargli visita, e lo trovò in giardino, sdraiato all’ombra d’un
    albero di fico, con un cuscino sotto la testa, uno sotto la schiena, e
    uno sotto il sedere. Il vecchio Turco si disse: «Prima di parlargli
    voglio un po’ vedere come si comporta», e si nascose dietro una siepe a
    spiarlo.
    Il professore se ne stava fermo come un morto, a occhi chiusi, e
    solo quando sentiva: «Ciacc!», un fico maturo che cascava lì a portata
    di mano, allungava il braccio piano piano, lo portava alla bocca e lo
    ingollava. Poi, di nuovo fermo come un ciocco, ad aspettare che ne
    caschi un altro.
    «Questo qui è proprio il professore che ci vuole per mio figlio», si
    disse il Turco e, uscito dal nascondiglio, lo salutò e gli domandò se
    era disposto a insegnare a suo figlio la scienza della fiacca.
    – Omo, – gli disse il professore con un fil di voce, – non stare a
    parlar tanto, che io mi stanco ad ascoltarti. Se vuoi educare tuo figlio
    e farlo diventare un vero Turco, mandalo qua, e basta.
    Il vecchio Turco tornò a casa, prese per mano il figlio, gli ficcò
    sottobraccio un cuscino di piume e lo portò in quel giardino.
    – Ti raccomando, – gli disse, – devi fare tutto quel che vedi fare
    al professore di dolce-far-niente.
    Il ragazzo, che per quella scienza aveva già inclinazione, si sdraiò
    anche lui sotto il fico, e vide che il professore ogni volta che cascava
    un fico allungava un braccio per raccoglierlo e mangiarlo. «Perché
    quella fatica dell’allungare il braccio?», si disse, e se ne stette
    sdraiato a bocca aperta. Un fico gli cascò in bocca e lui, lentamente,
    lo mandò giù, e poi riaprì la bocca. Un altro fico cascò un po’ più in
    là; lui non si mosse, ma disse, pian pianino: – Perché cosí lontano?
    Fico, cascami in bocca!
    Il professore, vedendo quanto la sapeva lunga lo scolaro, disse: –
    Torna a casa, ché non hai niente da imparare, anzi, ho io da imparare
    qualcosa da te. E il figlio tornò dal padre, che ringraziò il cielo
    d’avergli dato un figlio così d’ingegno.

  5. piero vis'ciada ha detto:

    – el pan de fighi xe diventada specialità triestina ?

  6. chinaski ha detto:

    quel no so, ma la fiacca si’ 🙂

  7. Bibliotopa ha detto:

    in effetti, mia mama, che no gaveva letto Calvino, doprava l’espression “figo, caschime in bocca”. Sempre “cultura” come pratica sociale?

  8. enrico maria milic ha detto:

    @ bibliotopa

    certamente. antropologia sociale docet

  9. Bibliotopa ha detto:

    @emm
    ahi ahi, “antropologia sociale”.. troppa cultura impegnata per me, che credevo si parlasse di cucina..

  10. alpino ha detto:

    Ma un poca de panada co l’oio per tuti?

  11. Bibliotopa ha detto:

    beh, ve confesso che mi come “massima espressione della nostra cultura” pensavo a Italo Svevo , o Claudio Magris, o per qualchedun altro Boris Pahor.. e inveze ara ti…

  12. enrico maria milic ha detto:

    @ bibliotopa

    la divisione tra cultura ‘alta’ (magris & co.) e ‘bassa’ (cibo) non fa per me…

    @ alpino

    panada? cossa xè? una ricetta del ‘bordello’?

  13. Bibliotopa ha detto:

    @emm abbiamo concezioni diverse, la “panza” è importante ma io la trovo più una questione “tecnica” che culturale.

    Per la Panada, La cucina triestina, di Maria Stelvio, ed XV, Minestre estive “Panada” pag 113 scoprirai che non è roba di “bordello” e nemmeno del regno delle Due Sicilie.
    la trovi pure in Caterina Prato, traduzione italiana 1893, pag 112 Panata di pane bianco.
    La faceva mia nonna , vedrai che prima o dopo qualcuno ce la porterà come gran riscoperta fra le ricette domace.

  14. arlon ha detto:

    “la “panza” è importante ma io la trovo più una questione “tecnica” che culturale.”

    No poso no eser più in disacordo.
    Me domando se bibliotopa se nutri solo de pirole con principi attivi, visto che tanto xe una question “tecnica”. 😀

    El magnar ne porta ala percezion de ritmi, tempi, valori, priorità.
    El che ne riguarda tanto quanto l’ultimo libro che gavemo leto. Anzi, xe un substrato che ne riguarda da ben prima che podesimo leger.
    Oviamente, el ne anche influenza.

    Anche in cossa magnemo xe scrito cossa che tendaremo a eser: come persone, come fameje, o come comunità slargade.
    Per niente de sotovalutar, come fattor.

  15. Bibliotopa ha detto:

    Sugerisso a arlon de propor alora de trasformar el sito Bora.la in un sito altamente cultural, parlando principalmente de cusina. 🙂
    Come te vedi, mi contribuisso proprio a quela sezion, ma no me vanto de esser “el massimo” della cultura.

  16. Bibliotopa ha detto:

    mi spiegherò meglio: riconosco alla cucina triestina due notevoli qualità, essere genuina e varia, esprimerei semmai qualche riserva sulla presenza di tanti piatti ipercalorici ( fritti, maiale, burro cotto..) che secondo me vanno riservati ad occasioni speciali e non ad ogni giorno: era diverso nel modo di vivere di secoli fa; capisco la scelta affettiva per cui la “cucina della mamma” è sempre la migliore perchè ci ricorda l’ambiente in cui siamo ( sperabilmente affettuosamente circondati) cresciuti.
    Ritengo però che la cucina triestina non sia nemmeno il top delle cucine regionali, nazionali, internazionali, e che considerarla ***il massimo*** della cultura triestina, al di là della boutade dell’articolo, contenga di conseguenza una valutazione assai bassa della rimanente cultura triestina: insomma, se il meglio che offre Trieste è il modo di mangiare, allora il resto della cultura triestina sarebbe proprio trascurabile.

    Poi ci sono le questioni dialettiche, che non mancano almeno dalla cultura sessantottina in poi, il piacere di dimostrare, come i sofisti dei Dialoghi di Platone, qualsiasi tesi appena un po’ plausibile: da “siamo quel che mangiamo” a “tutto è politico” , “tutto è una questione economica”, “tutto è una questione sessuale”.. etc, tutte affermazioni che contengono una parte di verità, ma che diventano paradossali se presentate come assoluti.
    Sull’importanza del cibo e sul fatto che mangio e cucino ogni giorno non sollevo alcuna obiezione, ma allora ricordo che se è per quello, altrettanto importante per la salute, dopo il mangiare e la digestione, è la sua regolare evacuazione: vogliamo parlare anche di una *cul*-tura anche a questo riguardo?

  17. arlon ha detto:

    (la domanda la me pareva ‘bastanza retorica..)
    Cmq, chi ga mai parlado de el massimo? I autori, mi no sicuro 😀

    Resta el fatto che per mi xe tuto tranne che un fattor “tecnico”, cos’ che se magna in tola.

  18. arlon ha detto:

    “altrettanto importante per la salute, dopo il mangiare e la digestione, è la sua regolare evacuazione: vogliamo parlare anche di una *cul*-tura anche a questo riguardo?”

    Ma te sa che el gabinetto xe stado provado che xe un dei momenti dove el pensiero creativo se sviluppa più facilmente?

    Podemo anche parlarghene 😀 ma no me par un argomento de portata local, diferenziandose ben poco de posto in posto.

  19. alpino ha detto:

    @Enrico Maria Milic..ahia ahia mancanza grave
    Panada: dicesi panada con l’oio, l’uovo rimasto dove vengono intinte le fettine prima di essere infarinate nel pane grattuggiato poi fritte (fettine appanate) nei decenni passati in bisiacheria (Nord est d’Italia, Ronchi, Begliano, Turriacco ecc ecc non Cosenza, Palmi, Catanzaro) questo intingolo veniva successivamente fritto con un goccio d’olio fino a creare un piccola Fortajeta (frittatina in bisiaco, lingua usata a Ronchi, Turriacco ecc ecc non Brindisi, Bitonto..)nelle case una volta non si buttava via nulla..tradizione locale, ma se si pensa troppo ai bordelli….

  20. Bibliotopa ha detto:

    “Ma te sa che el gabinetto xe stado provado che xe un dei momenti dove el pensiero creativo se sviluppa più facilmente?”
    se conta che Lutero iera stitico, e che una idea genial ghe xe vegnuda in un momento felice..

    el “massima”, che iera appunto quel che contestavo, no la cultura culinaria in sè, iera riferido alla frase del sottotitolo, che po alterava leggermente la frase del testo “La massima espressione di una cultura multietnica”, che podessi voler dir, in soldoni, che a tavola se riva a far andar dacordo tutti!
    per mi cusinar inveze xe una roba tecnica, perchè bisogna imparar come far! ma tecnico no xe miga una parolazza, no?

  21. ciccio beppe ha detto:

    “they always compare to their mother”

    Jamie Oliver sugli italiani e le loro capacità critiche culinarie.

    http://www.youtube.com/watch?v=fVJvoRxjNu0

  22. alpino ha detto:

    un biondin che butta do pessi in forno con na salsetta e do foie de verde..i ghe fa addirittura un video..

  23. Bibliotopa ha detto:

    Ma guarda un po’, Alpino, che abbiamo in mente ricette diverse di panada: secondo la mia famiglia, e secondo la ricette di Maria Stelvio, si trattava di una minestra estiva, ottenuta cucinando a lungo in acqua e un po’ di olio avanzi di pane raffermo, immagino si avvicini al Pancotto o alla Panada piemontese; la ricetta suggerita qua sopra corrisponde più o meno alle Schnitte triestine, dal nome evidentemente di origine tedesca, “fette” ed è spesso zuccherata e usata come dolce.
    Una volta nessuno buttava il pane.. e credo che ricette di questo genere si trovino nelle tradizioni di qualsiasi regione in cui si usi mangiare il pane.

  24. alpino ha detto:

    Bibliotopa, dicendo così concordi con me che non si tratta di una ricetta del Bordello come diceva Enrico MM, ma di qualcosa di locale, comunque ho specificato versione bisiaca, quella di mia nonna per intendersi, il pane non centra nulla con la ricetta da me suggerita in quanto solo il condimento (ovvero, il giallo d’uovo con il grana) viene messo a cuocere.

  25. Bibliotopa ha detto:

    Alpino, forse ho capito, tu per “panada” intendi qualcosa di simile a quello che io chiamerei “impanadura”, buona ad esempio per il Wienerschnitzel (altra ricetta non propriamente del Bordello..)e che alla fine, se ne avanza, viene impastata come un hamburger e fritta anch’essa!
    vero, lo facevamo anche noi, solo che io.. so ben regolarmi con la quantità di materiale per impanadura, uso solo un uovo, se non basta lo allungo con un po’ di latte, per cui alla fine del lavoro di impanare (spesso a casa mia sono sardoni) il piattino rimane vuoto: se resta un po’ di pangrattato, lo si mette via per la prossima volta, per esempio per farcire i carciofi.
    Tecnica culinaria..

  26. alpino ha detto:

    ustia giusto mi sono dimenticato il latte che giustamente anche noi usiamo, di solito noi abbondavamo un pochino con il preparato perchè se, oltre al latte sale grana pepe uovo ci aggiungi delle punte di rosmarino tagliato e paicere per chi ma i gusti saporiti pochissimo trito di aglio, lasci le fettine dentro il tutto in ammollo in frigo per una mezza giornata poi escono saporitissime e quindi di avanza il condimento anch perchè non viene assorbito dalla carne…
    Una volta si usava ora non mi fido più soprattutto con il pollo, è sempre condimento dove è passata carne cruda quindi preferisco non utilizzarlo oltre, per il pane grattato non lo tengo perchè totalement inumidito post appanatura e quindi non mi fido, anzi per il pane grattato è spettacolare il pane pugliese o toscano quando rimangono dei pezzi da fa indurire (li puoi usare per le polpette) lo gratti fine fine e ne esce un’appanatura croccantissima e da paura!!!!

  27. enrico maria milic ha detto:

    @bibliotopa

    mi lasci molto perplesso quando scrivi:

    Poi ci sono le questioni dialettiche, che non mancano almeno dalla cultura sessantottina in poi, il piacere di dimostrare, come i sofisti dei Dialoghi di Platone, qualsiasi tesi appena un po’ plausibile: da “siamo quel che mangiamo” a “tutto è politico” , “tutto è una questione economica”, “tutto è una questione sessuale”.. etc, tutte affermazioni che contengono una parte di verità, ma che diventano paradossali se presentate come assoluti.

    onestamente, mi pare molto da radical chic ritenere che abbia poco valore la cultura culinaria e della convivialità e che, invece, abbia sempre molto più valore la “cultura dei libri” ( = quella che si insegna a scuola, e visto il tuo background mi pare significativo che tu ritenga quella dei libri la sola cultura che si possa certificare come “alta”).

    oggi abbiamo straordinarie opere per raffinatezza in tutti i campi globali della “cultura” popolare: penso a film e musica che non sono stati pensati solo per le nicche, per esempio.

    per quanto riguarda il senso “alto” della cultura del cibo credo che basti leggersi qualcosa di petrini di slow food.

    ‘dio

  28. Bibliotopa ha detto:

    emm se tu che ripetutamente usi le parole alta e bassa per cultura, non io..

  29. Bibliotopa ha detto:

    ps, non so quanto tu sappia del mio background..

  30. arlon ha detto:

    cmq: i video de Oliver in Italia xe “culturalmente” veramente niente mal.
    E po’ xe divertente veder un che de solito se fa figo con piati (per mi) improponibili, ciaparse insulti da un cogo sicilian che fuma in cusina hahaha

  31. ciccio beppe ha detto:

    arlon: hai visto questo? http://www.youtube.com/watch?v=oLgmk323H6k

    In America i bambini non conoscono neanche la differenza tra una patata e un pomodoro. Se non è ignoranza quella.

  32. ciccio beppe ha detto:

    Voi avete dei figli che vanno scuola? Non pensate che l’educazione alimentare debba essere materia di studio a partire dalle scuole elementari?

  33. enrico maria milic ha detto:

    @ bibliotopa

    qualche voce su di te circola, sei uno dei nomi noti di internet a trieste, no?

    @ ciccio beppe

    concordo!

  34. Bibliotopa ha detto:

    @emm troppa grazia! per un poche di foto e la partecipazione a qualche forum locale.. in effetti il mio nick vuole significare la mia passione per i libri, che ho fin dall’infanzia, tant’è vero che sono pure attiva sul sito Anobii, la biblioteca virtuale. Anche se qui vi porto un po’ della mia esperienza culinaria familiare,che poi.. è nato dalla mia indignazione a veder prendere in considerazione l’acquisto di gnocchi di patate confezionati! 🙂

    @ ciccio beppe
    per l’educazione alimentare a scuola, voi siete forse troppo giovani per ricordare, ma ai miei tempi si studiava ( solo per le femmine, però, e lo trovavo un’ingiustizia) economia domestica, nel quale programma era prevista la gestione della casa, le diete, gli alimenti, le sofisticazioni possibili… con la riforma della scuola media del 1962 si trasformò in una educazione tecnica o qualcosa di simile, per alunni ambosessi, non so se con programmi unici o differenziati.

  35. arlon ha detto:

    @ c. b: sai cocolo par, sto food revolution.
    (anche se no ne riguarda sai, xe sempre ben saver dove che NO se vol rivar..)

  36. piero vis'ciada ha detto:

    esempio:
    i fusi “istriani” …maccheroni o fuzi per croato (indiferente co la galina o sugo misto) mio pare li magnava coi “asburgici” capuzi coverti de “italico” parmigian (che po anche el pomodoro xe bastanza “mediteraneo”)

    una roba cussì gaveria de esser eletta a “piato europeo”
    http://www.flickr.com/photos/pierovis-ciada/2836723033/in/set-72157622562297806/

  37. alpino ha detto:

    @Piero..se una sortedi maltagliati?
    el piatto se perfetto con un bon sugo de carne, ma perdonime ghe va proprio i capussi sora de la pastasuta ???

  38. piero vis'ciada ha detto:

    no, xe penete fate in casa, macheroncini e no xe obligatorio meterghe i capussi, ma xe de provar… 🙂

  39. arlon ha detto:

    I fusi/fuži, se fati ben, xe una goduria incredibile 😀 saria proprio interesante far un articolo con tuti i modi (tradizionai o meno) sia de farli a lori, che de far el piatto.
    Piero, te ga voia? 😀

  40. piero vis'ciada ha detto:

    – de magnarli !? 🙂

    sul mio flick qualcossa trovè sulla preparazion alla istriana della magica peneta.
    sui condimenti ogni paese o realtà ga una sua version

  41. arlon ha detto:

    eh bon, te me parevi esperto 😀 qua ghe vol meter de mezo qualche vecia zia, altrochè!

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