30 Aprile 2010

Memorie di uno geisho/7: l’importante è capirsi

Udine fondamentalmente si trova in Italia. Non si sa ancora fino a quanto, ma per ora è così.
Gli udinesi un po’ meno, data la loro famigerata ritrosia ai rapporti umani superficiali con le genti provenienti da oltre Tagliamento. E, soprattutto, dalla marilenghe.
Che, a detta loro, non è affatto un dialetto, ma una vera è propria lingua.
Bon, va detto che se la caratteristica peculiare di un dialetto per poter assurgere a lingua fosse solo l’inintelleggibilità della stessa da parte della comunità dei non parlanti, i fonemi emessi da mio nonno di ritorno dalla sessione serale di briscola alcoolica sarebbero la lingua più difficile ed èlitaria del mondo.
Le cose non stanno esattamente così, ma poniamo il fatto che il friulano sia una vera e propria lingua: nonostante questa stranezza, Udine si trova in Italia. I-ta-lia. Non Austria, o Slovenia, o Sailcazzonia. Italia.

Non siamo quindi in un paese straniero.
Quindi, caro amico trevigiano della sinistra piave, è perfettamente inutile che tu ti sforzi di esprimerti esclusivamente nell’unico idioma da te conosciuto, ossia il dialettino del tuo paese. Ostentandolo pure orgoglioso e strafottente, dato che ti permetti un volume di parlata abbastanza sostenuto, nella certezza che i barbari friulani non capiscano una parola di ciò che dici e che, se li insulti, ti guardino sorridendo come gli indios facevano con i conquistadores spagnoli.
Ignorando tra l’altro che Udine è probabilmente la città del Friuli col più alto contenuto di trevigiani residenti, o mio stolto amico.

Per questo ti dico di non sgranare gli occhi stupefatto se c’è qualcuno che, mentre blateri col tuo collega durante la proiezione del film, ti sussurra frasi del tipo: “Ghea moèo de spacàr i cojoni?”.

Film in concorso:
Film “top” di oggi – e il mio preferito finora – è la commedia nera hongkonghese La Comédie Humaine: un killer appena giunto ad Hong Kong e assiderato su di un tetto viene soccorso da uno stralunato sceneggiatore. Tra tentativi di uccisione e parodie di film, i due finiranno col diventare amici e – ognuno col proprio bagaglio di esperienza – aiutarsi reciprocamente. Commedia perfetta, nella quale c’è di tutto: ritmo incalzante, parodie del genere poliziottesco, risate a crepapelle. Sicuramente il vincitore morale del festival.
Come film “flop” invece metto The Legend Is Alive, ma solo perché fa la figura del vaso di coccio tra i vasi di ferro. Il film narra la storia di un orfano ritardato mentale che pensa di essere figlio di Bruce Lee. Cresciuto ad arti marziali dalla sacerdotessa del tempio buddista, Long (questo il suo nome) parte per un viaggio in America alla ricerca del presunto padre, ma ben presto metterà a disposizione le sue tecniche di lotta per aiutare una ragazza in difficoltà. Il film non è affatto brutto, anche se un po’ troppo semplice, ed ha l’idea di incompiutezza: non si sa se è un film di arti marziali o un film incentrato sulla visione distorta del mondo da parte di Long. Posto il primo caso, primo caso le scene di azione sono veramente poche e di media qualità; posto il secondo, non si è riusciti a tratteggiare più in profondità i sentimenti di Long, lavorando sulle solite immagini stereotipate di amore e dolore.

La perla del giorno:
“Io temo di più non colui che dà 100 calci diversi, ma colui che dà lo stesso calcio 100 volte” (attribuita a Bruce Lee dalla madre di Long nel film The Legend Is Alive).

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