9 Aprile 2010

L’editoria italiana non paga, scordatevi la carriera – piccolo panorama realistico per gli aspiranti scrittori

Chi vive in Italia, e abbia almeno quarant’anni, quel che ora scriverò lo sa già, tuttavia è meglio metterlo per iscritto, ché magari servirà ai giovani italiani, perché sappiano che i motivi della loro rabbia e del loro sentirsi derubati, ignorati o sfruttati dalla attuale editoria, sono motivi sacrosanti.
Ricordatevi dunque sempre questo, giovani: l’Italia è il Paese dei malfattori incapaci di qualsiasi professionalità di alto livello culturale e morale. Solo loro, i privi di scrupoli che manco leggono i vostri CV e i vostri inediti, possono vivere (e bene) in questa stupenda isola di mafiosità e ignoranza – vergogna e motivo di riso per l’Europa moderna tutta, Paese isolato e giustamente incompreso, Paese dove neanche un contratto editoriale vi garantisce dal non essere pagati dall’editore che lo ha controfirmato.
Se non siete come loro, degli insensibili e dei disonesti, lasciate da parte le aspirazioni sane.
Dunque fate i calciatori, per carità, bravi giovini, o prendete altre strade, imbracciate altre carriere: economia e commercio, gioco in borsa o nelle bische, rapine ben fatte assieme ai banchieri, prostituzione televisiva, stradale o partitica, spaccio di droghette varie e quant’altro, che so: un assessorato al comune… ma la letteratura, l’originalità, la profondità e l’intelligenza, la competenza e la serietà, l’onore, per favore no! No! Mai! Diventerete lo zimbello di tutti e morirete di fame! Chi vi vuol selezionare e pretende di giudicarvi nell’editoria (tutta: piccola o grande, tranne eccezioni), sappiatelo sempre, è un incivile, un uomo rozzo e abbrutito senza passioni né competenze o professionalità: sfuggitegli! Sfuggite all’editore! Amatevi! Piuttosto cercate di conoscere quei sottosviluppati mentali che stanno nei realitisciò! Fate la fila per farvi decerebrare dalla De Filippi o simili! Ve ne prego! Amatevi! Non studiate l’italiano e men che mai la letteratura, la sintassi!
Insomma: se siete onesti e il papà non ha amici importanti, per favore emigrate subito a vent’anni, non aspettate di averne trentacinque come ho fatto io, povero demente illuso, attualmente quarantacinquenne! Laurea e via: trovare ostello fra gente normale, fuori Italia.
Eh, sí, qui adesso, giovani italiani, io vi scrivo per amore puro e disinteressato (lo faccio gratis): perché sappiate che se siete forti lettori e avete sale in zucca, se pensate che l’Italia sia dopotutto un Paese europeo, dove l’editoria è un campo dell’economia che accetta chi sappia lavorare bene, cioè scrivere bene, dove si può fare carriera come nell’economia, ecco, attenti: toglietevi questi grilli dalla testa: sapere scrivere è in Italia un demerito, anzi addirittura una colpa e una carriera nel campo della cultura è possibile solo per chi si arruffiani con direttori, editori, politici, imprenditori e loro fiduciari (portaborse e lustrascarpe amici di famiglia). Giri chiusi ed ermetici – non come Montale, eh eh eh. Siete fuori dai giri: non fatevi alcuna illusione, siete totalmente inutili, o magari solo carne da macello ad andar bene.
Sí: per fare strada nell’editoria italiana bisogna essere dei maleducati, nel senso di arraffatori, politicanti, affaristi spregiudicati e soprattutti analfabeti, o semianalfabeti (per salvare il blasone) che NON leggono, o se leggono lo fanno in fretta e se lo fanno in fretta non capiscono un acca. Ma leggono bene le cifre del proprio stipendio, quelle sí, hai voglia. Però voi uno stipendio, se avete dignità ed amor proprio, non lo percepirete mai. Prostituendovi magari sí: dovrete scrivere male e in modo piatto e intanto arruffianarvi col capo imbecille, e attendere che vi lanci un boccone come ai cani. Al guinzaglio.
Cosí, dunque, preciserò ancora, adesso scrivo (gratis) perché voi giovani dovete sapere di aver prefettamente ragione a ritenere l’editoria italiana un insieme di persone di dubbia moralità che pensano alla saccoccia loro e a quella dei tipografi, dei distributori, dei vecchi tromboni della letteratura, pensano alle tasche di tutti quelli che sono loro indispensabili insomma ma non alle vostre, voi siete di serie B: e questo perché voi giovani onesti e capaci scrittori avete la colpa di essere giovani, innamorati del sapere e della vita e bravi, professionali o che potete diventar professionali ben presto, se qualcuno vi aiuta e vi paga.
Avete la colpa di tutto questo, capite? E chi sta in colpa deve morire di fame, non deve pensare a fare lo scrittore ma l’impiegato a termine, non deve sposarsi e fare figli, essere felice, ma deve decadere e diventare un pessimista, un moribondo come i vecchiacci che vi giudicano. Mai leggere e lanciare le opere profonde scritte con sacrificio e competenza da chi non stia nei giri giusti, dicono e sanno bene questi vecchi perfidi e mezzi zombie, Grandi Ignoranti Editori e Direttori e Capiredattori ex leccaculo o attuali leccaculo anche se hanno i capelli bianchi.
E se ogni tanto leggono qualcosina – poco eh, non si sa mai ché fa male alla vista – questi volponi tutti direttori editoriali e intimi dei capoccioni, o anche tutti figli di papà o partigiani di qualche partito politico o filibustieri avventurieri, questa gentaglia insomma, se legge i dattiloscritti degli sconosciuti – putacaso il vostro dattiloscritto inedito – questa gentaglia, ripeto, cerca solo il modo per sfruttarli gratuitamente, i vostri sacrifici di occhi di testa e di cuore. E se poi questi mascalzoni vi fanno pubblicare un articoletto, guai a pagarvi: il vostro lavoro, il vostro tempo non vale una lira, un euro pardon. Gratis è la parola che tutti propongono al giovane che scriva bene, non certo ”Ti pubblico e ti pago” ma GRATIS. Gratis voi, loro invece hanno già uno stipendio, ovviamente, il tipografo, poi, loro lo pagano, eh… il tipografo vale molto piú di voi che scrivete l’opera, sia chiaro.
No, no: la letteratura italiana non paga – gli scrittori competenti – paga solo editori, direttorucci e direttoroni, distributori, librai e tipografi. Con l’eccezione di qualche scrittore ammanicato e spesso penoso, che vanta un nome, e lo vanta perché ha un altro impiego sicuro in altro settore, e inoltre va a cena con gli editori e dunque può stare tranquillo. E nemmeno troppo, ma piú di voi che scrivete meglio di lui, sí, certamente costui è piú tranquillo di voi: che gliene frega? Tanto ha un altro lavoro, scrive solo per la gloria, mica perché sappia fare solo questo, come voi, poveri giovani letterati, voi poveri imbecilli illusi e sentimentali che vorrebbero fare letteratura per professione come in tutt’Europa accade ai competenti.
Allora forza: leggete solo i classici di almeno cinquant’anni fa e intanto imparate a scrivere male, esercitandovi inoltre a prostituirvi in altri campi piú redditizi, cos’aspettate? Donnine allegre, gigolò, savoir faire a tutta birra, ragazzi: muoversi!
Non crederete mica che Gadda, Campanile, Calvino e gli altri bravi oggi, se avessero venticinque anni nel 2000, farebbero altro se non imparare a scrivere sgrammaticato e a fare i furbi per sopravvivere nella marmaglia?

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22 commenti a L’editoria italiana non paga, scordatevi la carriera – piccolo panorama realistico per gli aspiranti scrittori

  1. GIRO ha detto:

    E vero Sergio. E’ vero quasi tutto quello che hai scritto. Forse la situazione in Italia (non solo nell’editoria) è anche peggio di quella descritta…
    Posso comprendere il tuo sfogo rabbioso ma non giustificarlo…
    C’è sempre un’altra via, un’altra strada o in alternativa la si può fare una nuova strada… anche a 45 anni…
    Chi Ti sta rispondendo lo ha fatto ed è diventato un piccolo piccolissimo editore regionale ma di gran successo…
    Ho la fila di giornalisti, scrittori etc. etc. giovani ed anche più “vecchi” di Te che vorrebbero scrivere ed essere pubblicati. In compenso non si trova nemmeno 1 di giovane che voglia fare il commerciale e mettersi ogni giorno in gioco come ho fatto sempre io in tutti (anche i miei) 45 anni.
    Buona Fortuna

    Franco

  2. Erika ha detto:

    ma perchè questo articolo?

  3. susta ha detto:

    In effetti mi sono posta anch’io la domanda sul perchè di quest’articolo.

  4. Luigi (veneziano) ha detto:

    Se la tua biografia presente in internet non mente, mio caro Sergio, tu da anni vivi in Slovenia, collaborando per i principali media del paese.

    Di conseguenza, lì ti immagino onusto di gloria, riconoscimenti e anche di quei denari, che in quel paese completamente diverso dalla fogna chiamata Italia vengono riservati agli scrittori.

    Chiaro che sarebbe la stessa cosa se tu vivessi – per dire – in Portogallo o in Irlanda, in Lussemburgo o in Norvegia. Ovunque – tranne nella sbeffeggiata Italia – i giovani poeti o scrittori vengono rapidamente trasformati in star. Li si addita per strada.

    Ai calciatori – all’estero – sputano in un occhio. E’ risaputo.

    Agli attori ed alle attrici, soprattutto ai palestrati, alle rifatte, alle sgallettate di ogni risma, riservano i gironi dell’inferno. A Cannes – per dire – uno come Brad Pitt che da noi è stato osannato sarebbe rincorso con le forche.

    Io invece vivo ancora in questo cesso: a Lido di Venezia, per la precisione. Ogni notte mi rigano la macchina, ed io per vendetta getto le scovazze in laguna. Piscio in vaporetto, non mi lavo da tre anni ma grazie ai miei status-symbol, e cioè il jeans a vita bassa, il catenone d’oro col leon di San Marco sul petto pelosissimo, i Ray-Ban da sparviero, la Golf Cabrio (per le sbarbe) e il Ferrarino (per le éscort d’alto bordo), godo ancora di qualche privilegio.

    Così funzionano le cose, nel medioevo chiamato Italia.

    Grazie d’avercelo ricordato.

    Luigi (veneziano)

    PS Come GIRO, da cinque anni cerco gente che faccia un lavoro commerciale in un settore complesso, che necessita di continuo aggiornamento, tu guadagni solo a provvigione e all’inizio fai una gran fatica. Giovani laureati: zero via zero.

  5. Richi ha detto:

    “Ogni notte mi rigano la macchina, ed io per vendetta getto le scovazze in laguna. Piscio in vaporetto, non mi lavo da tre anni ma grazie ai miei status-symbol, e cioè il jeans a vita bassa, il catenone d’oro col leon di San Marco sul petto pelosissimo, i Ray-Ban da sparviero, la Golf Cabrio (per le sbarbe)…..”

    Ma questo sono io a diciotto anni! Che cacchio.

    Ma

  6. Amrita N. ha detto:

    Caro Sergio,
    capisco la tua rabbia e la tua frustrazione tuttavia credo che un articolo come il tuo sia piú controproducente che di aiuto per i giovani aspiranti scrittori a cui ti rivolgi. É giusto sapere come vanno le cose nell’editoria italiana e l’oggettiva situazione di crisi in cui verte in questo momento ma nel tuo pezzo non c’e’ un solo dato oggettivo a supportare ció che dici. Ci sono molti giudizi e affermazioni che immagino provengano dalla tua amara esperienza in Italia e grande pessimismo e disfattismo, ma mi chiedo…a cosa puó servire se non demoralizzare, scoraggiare, ammazzare i sogni che sono la linfa vitale che ogni individuo ha per creare qualcosa?
    Ogni creazione inizia da un sogno e da una visione…e le strade possibili non sono necessariamente quelle che sono state battute fino ad oggi ma se non ci diamo una possibilitá per immaginarle allora davvero non c’é speranza.

  7. alpino ha detto:

    quoto luigi che praticamente vive a poki km da me..
    PS cerchi un commerciale? mandami una mail vediamo se posso aiutarti.
    trokkino@gmail.com

  8. Julius Franzot ha detto:

    Sergio Sozi ha fatto molto bene a scrivere la verità. Se lui vive in Slovenia, sono solo che affari suoi, non si riferisce alla situazione slovena, ma a quella italiana. su cui potrei aggiungere io purer qualcosa, tipo consistenza di e democrazia in certe associazioni culturali che ricevono sovvenzioni, assenza di una casa editrice a Trieste che vada oltre il Tagliamento, serie di rifiuti che si ottengono da grandi case editrici italiane (a volte anche in modo sgarbato), business a Trieste da parte di editori con sede in altra regione che spillano soldi ai pensionati in vena di protagonismo, libri sovvenzionati da enti pubblici che vengono acquistati in massa (con i nostri soldi) e poi marciscono nelle cantine.
    Comunque, ragazzi, in Germania è molto diverso, ma non necessariamente meglio!

  9. chinaski ha detto:

    bah, parliamo di editoria scientifica, per esempio? l’ italia e’ praticamente assente dal settore, che in realta’ e’ in mano a poche multinazionali (springer, elsevier, taylor&francis e poche altre). gli studiosi sono pagati dallo stato (oppure dalle fondazioni, nei paesi in cui le universita’ sono private). non ricevono una lira dalle case editrici che pubblicano i loro lavori scientifici. anzi, in certi settori le case editrici pubblicano a pagamento, tipo 15$ a pagina. 15$ che vengono pagati dalle universita’ con i fondi per la ricerca (statali). infine le case editrici vendono gli abbonamenti alle universita'(si parla di 5000$ all’ anno per una sola rivista), che ovviamente pagano con i soldi che ricevono dallo stato. in italia piu’ della meta’ del bilancio di un dipartimento universitario se ne va in abbonamenti.
    conclusione: l’ editoria scientifica e’ una enorme rapina perpetrata ai danni delle casse pubbliche ad opera di alcune multinazionali potentissime. qualcuno si chiedera’: perche’ gli studiosi non si ribellano e non autogestiscono la pubblicazione dei loro lavori? il web lo permetterebbe. il problema e’ il rating. ogni rivista ha un rating, che viene calcolato annualmente dall’ azienda privata thomson. per poter essere valutata, una rivista deve pagare una quota alla thomson, e solo le multinazionali sono in grado di sostenere la spesa. inoltre per avere un buon rating, una rivista deve fare una “politica delle citazioni” che e’ molto costosa. infatti il rating viene calcolato partendo dal numero delle citazioni che ricevono gli articoli pubblicati su una data rivista. ogni rivista quindi cerca di accaparrarsi quante piu’ citazioni possibile. ci sono molti modi per raggiungere questo obbiettivo. un modo tipico e’ quello di far viaggiare le riviste in coppia, e di chiedere agli autori che pubblicano sulla rivista A di citare i lavori pubblicati sulla rivista B e viceversa. un altro modo e’ quello di organizzare annualmente un grande congresso di quelli con 50 sessioni parallele, e di pubblicare un volume di proceedings in cui ogni articolo e’ di fatto un survey che serve per citare i lavori pubblicati sui numeri ordinari della rivista.

    siamo proprio sicuri che appena si esce dall’ italia si va in paradiso?

  10. Luigi (veneziano) ha detto:

    E’ ovvio che il fatto che il Sozi viva in Slovenia sono fatti suoi.

    Anche il fatto che tu viva prevalentemente in Germania sono fatti tuoi.

    Invece io vivo in Italia, paese così descritto:

    1. Isola di mafiosità e ignoranza
    2. Vergogna e motivo di riso per l’Europa moderna tutta
    3. Paese isolato e giustamente incompreso

    Mi rallegro quindi ancora una volta con lui per esser andato via da qua, a godere del fatto d’essere un evidente “competente”, avendo anche sentenziato che i “competenti” fanno letteratura per professione “in tutta l’Europa” (tranne che in questo mio schifo di paese sopra il quale è doveroso vomitare di gran gusto).

    Il Sozi è andato incontro al suo fulgido destino necessariamente fuori d’Italia, e a questo punto credo gli si debba augurare di non aver mai successo nello Stivale, giacché ha spiegato per lungo e per largo che qui dalle mie parti solo ai babbioni figli di papà illetterati ignoranti capita di percorrere questa strada.

    Più competente sei, meno competente sei: più vendi qui, più hai lavorato di slinguazzamento.

    O Sozi, che io non ti veda mai nelle classifiche di vendita!

    L.

  11. bubez goriziano ha detto:

    “imbracciate altre carriere: economia e commercio, gioco in borsa o nelle bische, rapine ben fatte assieme ai banchieri, prostituzione televisiva, stradale o partitica, spaccio di droghette varie e quant’altro…”

    Da laureato in economia mi sono fermato qui.

  12. Julius Franzot ha detto:

    Mi meraviglio di Luigi, che in genere aveva giudizi equilibrati.

  13. Erika ha detto:

    mmm…non sarebbe divertente rispondere in modo equilibrato ad un articolo “poco equilibrato” 🙂

  14. jacum ha detto:

    se un romano scrive così della sua italia, allora andiamo bene.

    mi chiedo solo come sia approdato in slovenia…

  15. federico ha detto:

    molto interessante quello che racconta chinaski

  16. bagarino ha detto:

    La fattura per l’unico (e l’ultimo) lavoro (di traduzione ITA->ENG) che ho mai fatto per una casa editrice italiana (basata in Regione, in provincia di Gorizia per la precisione) rilasciata il 1° agosto del 2008 è rimasta non pagata per ben 14 MESI(… ovviamente ho dovuto io versare l’IVA e pagare le tasse sulle somme non pagate). E stata poi saldata soltanto grazie alle minacce (di portare il contratto altrove) dalla parte del sindaco del Comume che l’ha commissionato e pagato.
    Loro sanno che per me a recuperare 2 o 3 mila euro con i mezzi legali non vale la candela, sopratutto se hanno loro degli avvocati ‘in casa’.

  17. stefano ha detto:

    condivido abbastanza l’articolo, anche se noto che il tono è piuttosto rancoroso e per questo forse poco efficace. per chi non conosce come funzionano le cose può sembrare ingiusto, ma secondo la mia esperienza non lo è.

    Io conosco un po’ il mondo dei media, in cui lavoro oggi con un profilo diverso da quello di autore, dove però anni fa ho avuto qualche esperienza di scrittura. Non mi dilungo nei dettagli però garantisco che anch’io, senza spinte di alcun genere e con assai poca voglia di ruffianarmi (forse anche per incapacità mia di stringere amicizie sul nulla), sono stato soggetto di più di qualche ingiustizia.

    Vedere qualcuno che senza titoli e per conoscenza passa a una selezione mentre tu con i titoli non vieni neppure contattato, o scrivere su procura senza ricevere poi una lira, dover dribblare tutti i farabutti che si propongono come editori e poi ti rifilano contratti fasulli al primo sguardo, vedersi sorpassare per una commessa da un amico di tizio, che poi fatturerà una parte dello stipendio lordo per dividerlo con il procacciatore, ecc…

    Dico solo che in tutt’altro ambiente all’estero (in Francia) mi sono trovato benissimo sia per l’organizzazione del lavoro che per il premio al merito che mi è stato riconosciuto per ben 2 volte!

    In conclusione: un laureato non è che pretenda un lavoro in linea coi suoi studi (anche se lo sogna, visto che gli anni di studio di solito sono anni di rinunce e sacrifici, per me anche di lavoretti part-time per contribuire al mio mantenimento fuori sede) però non si può nemmeno pretendere che si faccia avanti per profili in cui bisogna inventarsi imprenditori di se stessi (penso ai procacciatori di affari), per quei lavori basta un diplomato con voglia di fare soldi, non un letterato o un filosofo o un archeologo o un ingegnere che invece pretendono un’occupazione (anche se all’inizio di basso profilo) che possa però permettergli un giorno di mettere a frutto le sue consocenze.

    L’Italia è il paese in Europa con meno laureati. Questo vorrà dire pure qualcosa? O pretendiamo tutti che di lauerati ce ne siano sempre di meno, che la ricerca si faccia altrove, che l’arroganza degli analfabeti arricchiti (che la tv ci propina a volte come eroi da imitare) sia il metro di misura per la nostra cultura e società?

  18. dimaco ha detto:

    io vedo l’articolo come un urlo di disperazione per il modo di fare in italia. è triste dover andare all’estero e ricevere là quello che si dovrebbe ricevere in casa propria.
    l’Italia è un paese dove regna il nepotismo, il leccaculi…o(ne è la dimostrazione che vengono pubblicati libri che non valgono nemmeno il tempo di essere letti).può sembreare rancoroso, ma è solo la descrizione della realtà italiana in maniera brutale, cruda e senza fronzoli. è la verità così come dovrebbe essere scritta sempre, senza compromessi ne partitismi. è la realtà dei fatti.

  19. lady gaga ha detto:

    chinaski mi chiesto di copiaincollare questo articolo.

    Saviano? Deve restare con Mondadori. E combattere

    di Wu Ming

    Ricapitoliamo: Berlusconi attacca Gomorra . Lo aveva già fatto, ma stavolta è più esplicito. Saviano giustamente fa notare che Berlusconi è proprietario della casa editrice che pubblica il libro, e chiama in causa quest’ultima: «Si esprimano i dirigenti, i direttori, i capi-collana». Si esprime invece Marina Berlusconi, più in veste di figlia che di editrice. Saviano commenta la lettera di Marina senza abbozzare, senza toni concilianti, anzi, chiamando in causa la Mondadori con maggiore perentorietà. Il messaggio è: «Voglio sentire chi in casa editrice ci sta per davvero, voglio sentire chi la Mondadori la manda avanti».

    La contraddizione si acuisce. Da autore Mondadori e autore di Gomorra , Saviano occupa una postazione strategica, e più di altri può chiamare al pettine certi nodi, nodi che riguardano anche noi. Far venire i nodi al pettine è tanto un dovere civico e politico, quanto un compito specifico dello scrittore. Pubblicando con Mondadori, Saviano ha generato conflitto. Conflitto non effimero, ma che opera in profondità. Comunque vada, è più di quanto abbia fatto l’opposizione. Se Saviano fosse rimasto in una nicchia di ugual-pensanti, nel ghetto dei presunti «buoni», non avrebbe acuito nessuna contraddizione, né generato alcun conflitto. Stare simultaneamente «dentro» e «contro», diceva l’operaismo degli anni Sessanta. «Dentro e contro» era la posizione, era dove piazzare il detonatore. Sia chiaro: l’alternativa non è mai stata «fuori e contro».

    L’alternativa è sempre stata «dentro senza rompere i coglioni», oppure «dentro senza assumersene la responsabilità». Dentro fingendo di star fuori, insomma. Come tanti, come troppi. Un «fuori dal sistema» non esiste. Il sistema è il capitalismo, ed è ovunque, nel micro e nel macro, nei rapporti sociali e nelle coscienze, nelle giungle e in cima all’Everest. Noi abbiamo sempre detto – e ancora diciamo – che tutti quelli che combattono «il sistema» lo fanno dall’interno, dato che l’esterno non c’è. Il potere non è fuori da noi, è un reticolo di relazioni che ci avvolge, un processo a cui prendiamo parte. Ma ovunque vi sia un rapporto di potere, là è anche possibile una resistenza. Sei anni fa WM1 spiegò, per l’ennesima volta, la nostra posizione sul «pubblicare con Einaudi».

    Lo fece per filo e per segno su Carmilla. Tra le altre cose WM1 scriveva: «Negli ultimi anni, le polemiche “boicottomaniache” hanno rischiato di fare il gioco degli yes men, dei leccaculo: chi chiede agli autori di sinistra di “andarsene da Mondadori” non capisce che così facendo il loro posto nella casa editrice e nell’immaginario collettivo (una posizione a dir poco strategica) sarebbe preso da autori e manager di destra (i quali non vedono l’ora), con piena libertà di spargere la loro merda incontrastati». Queste frasi risalgono a due anni prima dell’uscita di Gomorra . Sono cose che, in seguito, lo stesso Saviano ha dichiarato in più occasioni, e diversi altri autori hanno ribadito, anche di recente. Da anni difendiamo questa postazione avanzata e scomodissima, esposti sia agli attacchi della destra sia a continue raffiche di «fuoco amico». Oggi tutto è più difficile, ma per noi la sfida, la sfida politica, è ancora «resistere un minuto più del padrone».

    L’Einaudi è un campo di battaglia importante, e finché avremo munizioni e fiato continueremo a combatterci sopra. Ce ne andremo solo se e quando, presto o tardi, le condizioni si faranno intollerabili. È la strategia sbagliata? Tutto può essere. Ma è quella che abbiamo scelto e di cui rendiamo conto da sempre. Al di là di alcune mosse e prese di posizione stridenti e da noi non condivise, abbiamo sempre difeso e continueremo a difendere Saviano dagli attacchi stupidi o interessati. Dev’essere ben chiaro che Saviano non può comportarsi in altra maniera: ha davvero bisogno di questa ossessionante presenza pubblica, di questo over–statement di solidarietà anche pelosa, perché gli garantisce incolumità. Il paradosso è che, dietro il cordone sanitario, lo scrittore svanisce e resta solo il testimonial. Saviano dovrà lottare con le unghie e con i denti per ri–conquistarsi come scrittore.

    Dal 2006, per continuare a vivere, Saviano ha dovuto agire perché non calasse l’attenzione: gli è toccato essere sempre visibile, essere una presenza costante nella sfera pubblica. In ogni momento, il forte rischio era che questo sovra-apparire lo inflazionasse, gli facesse perdere potenza. Di fronte a un calo di potenza, la tentazione è di rispondere «aumentando la dose», per ottenere un effetto in un’opinione pubblica sempre più assuefatta e «tollerante». Solo che, aumentando la dose, il problema si ripropone a un livello più alto e quindi più impegnativo, meno gestibile. Questo è il dilemma, e Saviano ne è sempre stato conscio: non è un caso che abbia spesso tentato di scartare, che sia sempre tornato a insistere sulla «scrittura», sullo scrittore. Era il suo modo di fare resistenza, di non far chiudere il dispositivo, di non farsi legare definitivamente. Bene, può darsi che Saviano abbia trovato lo spiraglio.

    Può darsi che l’acuirsi della contraddizione-Mondadori gli stia fornendo un inedito spazio di espressione non pre-ordinata. Forse il dispositivo è entrato in una crisi almeno passeggera, perché sotto i nostri occhi Saviano «è diventato quel che è». Mai come ora, mai in modo tanto eclatante, Saviano è stato quello che vediamo nella risposta a Marina Berlusconi: un uomo libero. Anche nella reclusione che sconta, un uomo libero. Comunque vada a finire con Mondadori, comunque vada a finire in generale, in questo momento Saviano è libero.

    22 aprile 2010

  20. Sergio Sozi ha detto:

    Scusandomi con tutti per il mio tardivo intervento nella discussione – ho solo ora, casualmente, appreso della pubblicazione del mio articolo su Bora.la, a cui l’avevo mandato – ringrazio con franchezza ogni dialogante/commentatore e specifico al volo qualcosina – o meglio integro il ”pezzo”:

    1) Lotto da molto tempo per i diritti ”sindacali” degli autori letterari e di cultura in Italia – vedasi in Internet diversi miei altri articoli, piu’ pratici nel proporre migliorie all’attuale situazione di sfruttamento generalizzato, ed in special modo contro i tipografi che si autodefiniscano, purtroppo legalmente, ”editori” (sotto le grinfie dei quali, tuttavia, io son caduto solo nell’anno 2000 in occasione del mio primo libro di poesie e poi mai piu’).

    2)Sono uno scrittore che in Italia e’ rispettato e pubblicato, ma non adeguatamente pagato. Questa e’ una contraddizione che non sopporto e che mi sento – per motivi di rigore morale, affettivo nei confronti del mio popolo, voi, ed anche intellettuale – di dover stigmatizzare agli occhi dei miei connazionali piu’ giovani o meno esperti di editoria. Lo faccio soprattutto per amor di Patria, a stringere, e non m’importa nulla se cio’ potra’ sembrare retorico od ottocentesco. Sono fatto cosi’, punto. E – appunto cosi’ come son fatto – auspico e esorto gli autori bravi e studiosi ad unirsi per chiedere leggi adeguate allo Stato. Una categoria di lavoratori e’ una categoria di lavoratori, direi. Tutte lo sono. Anche la mia. Perche’ scrivere per gli altri e’ come fare qualsiasi altro servizio e va pagato. Pagato un tot a pagina, come si paga il salame dal pizzicagnolo un tot a etto.

    3) Onori e gloria non ne ho finora ricevuti da nessuno, in nessuna Nazione, ma c’e’ gente che mi legge e mi stima – soprattutto in Italia, dove ho piu’ libri in circolazione. Cio’ vuol solamente dire che so stare al mio posto, stop… niente protagonismi: l’arricchimento, per me, e’ un’ingiustizia e va perseguito e scoraggiato; viceversa, invece, il benessere e la giusta remunerazione sono un fine che dal Settecento gli europei tutti ammettono e legittimano – tranne gli italiani, purtroppo, e lo dico con vera vergogna: la pudicizia e’ mia caratteristica caratteriale innata che solo il senso della giustizia mi porta a superare quando mi sento costretto a ”dar fiato alle trombe”… cosa che, in realta’ e per naturale tendenza alla moderazione e alla comprensione dei difetti, miei e soprattutto altrui, vorrei tanto evitare. Pero’ e’ ora di piantarla con il classismo e il malcostume. Le mie proposte fattive e pratiche – ripeto – sono in giro su Internet (mi scuso ma non posso impiegare ore per ripeterle qui: a chi interessi, sara’ facile trovarle con Google.

    4) Ho una mentalita’ che mi impone di vedere prima il merito professionale e morale di un uomo – e i suoi modi per stabilirlo – poi i sofismi politici o affini. In soldoni, applicando tale pensieruccio al mio campo – la scrittura – intendo dire che e’ ora che in Italia vi siano delle persone competenti in Storia della Letteratura italiana e in critica letteraria ai vertici delle case editrici, e che tali persone siano anche moralmente confacenti ad un Paese che avrebbe energie sufficienti per produrre grandi autori – ed invece si perde per mera, gretta disonesta’, relativismo morale ed incompetenza tout court fra le ”teste pensanti” cui spetterebbe, appunto, portare avanti o rofiutare le opere degli autori con cognizione di causa e competenza letteraria.

    Salutoni e scusatemi per la brevita’ e l’incompiutezza di questo interventino, ma ho sonno e devo prepararmi per far lezione domani, qui a Lubiana.

    Saluti Cari a tutti Loro

    Sozi

  21. Sergio Sozi ha detto:

    Erratum

    Dove ”i suoi modi per stabilirlo” si legga: ”i modi per stabilirlo”.

    Precisazione a tal proposito

    volevo dire: in Italia mancano dei parametri condivisi e popolari per giudicare le competenze, i meriti, in ogni campo civile, letteratura compresa.

    Pardon

  22. Sergio Sozi ha detto:

    Ci son capitato per caso e vi dico: rileggete l’articolo. Credo che sia sempre attuale.

    Baci e Auguri per il 2012

    Kissikissi – chisschiss, pciu’

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