Quando siamo andati al cinema venerdì scorso con gli amici, e abbiamo inforcato gli occhialini per la visione della animazione in 3D, non avevo aspettative particolari nei confronti del film che stava per iniziare.
Avevo già letto le recensioni dell’ultima versione di Alice in Wonderland. Sapevo che nel film non c’era nessun ricordo della critica sociale multistrato tipica dei libri di Carrol, nessuna traccia dell’anarchia fantasmagorica del regista. Gli ex-fan dicevano che Tim Burton era stato piegato ai diktat di Walt Disney, e che ormai non era più lui. L’autonomia di pensiero dell’originario personaggio di Alice se n’era andata per fare spazio al conformismo di un destino già segnato.
Dunque mi sono apprestata alla visione, curiosa e tranquilla: volevo sapere qual era il messaggio del conformismo odierno. E l’ho trovato.
(Attenzione, qui segue uno spoiler, con descrizione del finale del film).
La storia comincia con Alice che scappa da uno spasimante che ha problemi digestivi. Vediamo Alice che entra nel mondo delle meraviglie attraverso un buco nel terreno, e che trova un papiro con il suo destino descritto fino all’ultima riga. Questo destino le viene spiegato più e più volte: gli amici del mondo delle meraviglie non fanno che ripeterglielo, finche lei non cede e a fine film va ad accettarlo.
Che cosa, Alice, dovrà fare? Il suo compito sarà quello di “superare” l’avversione ad uccidere (da lei ripetuta per tutto il film meno che alla fine), considerando ciò una prova di “coraggio”, e “andare in guerra”.
La vecchia caccia al principe azzurro non prende più (conformismo versione 1.0): è proprio da quello che Alice scappa. Il messaggio per le ragazze di oggi, dalla premiata ditta Disney, non è però l’avere un pensiero indipendente. E’ semplicemente un messaggio aggiornato (conformismo versione 2.0).
La ragazza che vuole evitare di subire un matrimonio indesiderato, deve ora, come Alice, lasciar perdere comportamento originale e affetti (addio Cappellaio Matto, addio). Ecco che Alice ora può avventurarsi, solitaria e sicura di sè, in mare aperto. Dopo aver provato la sua capacità di eseguire una decapitazione, il sogno di Alice, molto moderno, è occuparsi di commercio con la Cina.
Quindi, carissime, se siete stufe di subìre ruoli femminili mortificanti, la vostra alternativa è: comportatevi come un vero uomo.
interessante, bell’opinione, grazie!
Non per niente di una donna moderna si dice, con grande disappunto della Littizzetto, “donna con le palle”.
Meglio a questo punto certe donne d’altri tempi, fautrici di un cammino purtoppo interrotto:
http://suitetti.blogspot.com/2010/03/la-ballata-delle-donne.html
In realtà, questo 2.0 è il conformismo della Disney per le adolescenti/quasi donne, che per una ragione o per l’altra non hanno fatto loro il conformismo 1.0, fortemente lanciato dall’idea di “Principessa Disney” (merchandasing): leggete questo divertente saggio della Ehrenreich: http://www.huffingtonpost.com/barbara-ehrenreich/bonfire-of-the-princesses_b_76319.html
Io dico:meglio una donna con le palle, che una donna che pensa solo a principi e fornelli:-D
Della serie prendiamo a modello la meno peggio…No, grazie.
Visto che altri tentativi sono andati a puttane – mai termine fu più appropriato – io sono personalmente convinta che la donna non sarà mai in pace con se stessa finchè non cambieremo il linguaggio della narrazione. Questo vale per molti aspetti della nostra società, in primis per il concetto di democrazia: ogni giorno ci troviamo a doverla aggettivare con parole quali “vera”, “profonda”, etc., in quanto la parola “democrazia” da sola non trasmette più il suo senso. Altrettanto vale per la parola “donna” (donna con le palle, donna in carriera, donna regina del focolare). E su questa malleabilità del linguaggio si è fatta la storia. Un esempio per tutti: il fiume Piave che, prima di diventare sacro alla patria, si chiamava la Piave.
Per cui io dico: solo quando saremo definite solo “donne” non ci sarà Tim Burton o Walt Disnay che tenga.
Scusate la lungaggine 😉
Siamo sicuri di avere ancora bisogno delle identità di genere?
urca, questa sì ke è tosta.
probabilmente in una società aperta e tollerante no, ma nella sfera privata rimane uno dei passaggi chiave per la conoscenza e la crescita del sè. o forse no.