11 Febbraio 2010

Niente deroghe sulle aperture domenicali, per il Tar Trieste “non è città d’arte”

Niente deroghe sulle aperture domenicali a Trieste. Il Tar del Friuli Venezia Giulia ha annullato la delibera comunale che dava a Trieste lo status di città d’arte permettendo di sforare il tetto massimo di aperture domenicali definito dalla legge regionale sul commercio.
“Non spetta ai comuni, ma alle regioni – spiega la decisione del Tar – individuare quali comuni siano ”ad economia prevalentemente turistica” o ”città d’arte”. Il Tar ha anche sanzionato la falsa applicazione del decreto legislativo 114 del 1998 quando momento in cui, invece di proporre alla Regione la qualifica di citta’ d’arte e di consultare le associazioni di categoria, il Comune ha provveduto direttamente alla qualificazione.

Ecco il testo completo della sentenza:

Sentenza Sul ricorso numero di registro generale 286 del 2009, proposto da:

Regione Friuli-Venezia Giulia, rappresentata e difesa dagli avv. Enzo Bevilacqua, Gianna Di Danieli, domiciliata per legge in Trieste, piazza Unita’ D’Italia 1;

contro

Comune di Trieste, rappresentato e difeso dagli avv. Oreste Danese, Maria Serena Giraldi, domiciliata per legge in Trieste, via Genova 2; Autorita’ Garante della Concorrenza e del Mercato – Antitrust;

nei confronti di Confcommercio Trieste; Cooperative Operaie di Trieste, Istria e Friuli-Soc. Coop., rappresentato e difeso dagli avv. Renato Fusco, Marcello Clarich, Alessandro Giadrossi, con domicilio eletto presso Marcello Clarich Avv. in Roma, via del Quirinale 26;

per l’annullamento previa sospensione dell’efficacia, della deliberazione consiliare dd. 2-3.3.2009 concernente “la qualifica di Trieste città d’arte e di ogni altro atto presupposto connesso e/o conseguente..

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Trieste e di Cooperative Operaie di Trieste, Istria e Friuli-Soc. Coop.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2009 il dott. Vincenzo Farina e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Con il ricorso rubricato al n. 286/09 la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha chiesto l’annullamento della deliberazione del Consiglio comunale di Trieste n. 10 del 2.3.2009, ad oggetto: “Qualifica di Trieste “Città d’arte” ai sensi e per gli effetti dell’art. 12 D.Lgs. 114/1998 – Approvazione”, in asserita applicazione dell’art. 12 del D. Lgs n. 114/1998 e disapplicando la disciplina dettata dal Capo IV della L.R. 5.12.2005, n. 29, come successivamente modificata ed integrata.
La ricorrente Regione esordisce ricordando che con la deliberazione n. 10 del 2-3 marzo 2009, il Consiglio comunale di Trieste ha attribuito la qualifica di “città d’arte” al Comune di Trieste, ai sensi dell’at. 12, comma 3, del D. Lgs. n. 114/1998.
L’obiettivo sostanziale della deliberazione impugnata – sottolinea la ricorrente – è reso evidente dal punto 3 del dispositivo, laddove viene stabilito che, in conseguenza della scelta operata, “a Trieste, in quanto città d’arte, gli esercenti determinano liberamente gli orari di apertura e chiusura dei negozi e possono derogare dall’obbligo di chiusura domenicale e festiva per effetto dell’applicazione dell’art. 12 del D. Lgs. 114/1998”; la motivazione, contenuta nella relazione fatta propria dal Consiglio comunale, ruota sostanzialmente sulla rivendicata applicazione diretta delI’art. 12 del D. Lgs. n. 114/1998, in luogo dell’art. 30 della legge regionale n. 29/2005, come successivamente modificata ed integrata, in particolare, dall’art. 5 della L.R. n. 13/2008.
La disapplicazione della legge regionale e l’affermata vigenza, in sostituzione della stessa, di quella nazionale – prosegue l’istante – trae spunto dalla segnalazione/parere n. AS480/08 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 16.10.2008, secondo il quale laddove “le regioni non abbiano adempiuto a! compito loro attribuito da! comma 3 dell’art. 12 spetta agli stessi comuni il compito di accertare la caratteristica della città d’arte. Ciò al fine di superare eventuali comportamenti inerti che potrebbero ostacolare l’applicazione dei principi concorrenziali. “.
Al riguardo la ricorrente osserva che, nonostante il richiamato comma 3 dell’art. 12 attribuisca alle regioni il compito di individuare “i comuni ad economia prevalentemente turistica, le città d’arte o le zone del territorio dei medesimi, e i periodi di maggior afflusso turistico nei quali gli esercenti possono esercitare la facoltà di cui al comma 1”(la libera determinazione degli orari di apertura e chiusura dei negozi), nessun preventivo coinvolgimento dell’Amministrazione regionale è stato attivato sull’argomento da parte del Comune di Trieste; inoltre, nonostante il medesimo comma 3 preveda la consultazione preventiva obbligatoria (da parte delle regioni, ma si ritiene, per analogia, anche da parte dei comuni, laddove queste ultime non vengano coinvolte) delle “organizzazioni dei consumatori, delle imprese de! commercio e del turismo e dei lavoratori dipendenti”, alcuna consultazione dei medesimi operatori risulta essere stata effettuata dal medesimo Comune.
La deliberazione impugnata – si duole la ricorrente – fa pure menzione del parere contrario espresso dal Comune di Trieste in sede di Consiglio delle Autonomie locali, chiamato a pronunciarsi, nella seduta del 16.O9.2OO8, sull’intesa allo schema di ddlr regionale poi divenuto L.R. N. 13/20O8: dall’estratto del relativo processo verbale risulta che anche la peculiare situazione del Comune di Trieste, “… quale comune a prevalente economia turistica”, è stata considerata; anche in funzione di tale peculiarità, risulta che il Consiglio delle Autonomia locali abbia approvato un emendamento sostitutivo della norma proposta dalla Giunta regionale e riguardante le località a prevalente economia turistica, gli esercizi di commercio al dettaglio in sede fissa allocati nella zona omogenea A del Piano Regolatore Generale Comunale ovvero nei centri storici, nonché gli esercizi di commercio al dettaglio in sede fissa con superficie di vendita non superiore a 400 mq. ubicati in qualunque zona del territorio regionale; in considerazione della disponibilità regionale a fare proprio tale emendamento, il Consiglio delle Autonomia locali ha espresso l’intesa sullo schema di legge regionale a larghissima maggioranza (presenti 19; favorevoli 16; contrari 1; astenuti 2).
Considerato che il parere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – continua la deducente – ha quale presupposto l’inerzia delle regioni nell’applicare gli articoli 12 e 13 del D. Lgs. n. 114/1998, proprio la deliberazione pressoché unanime del Consiglio delle Autonomie locali dimostra che tale valutazione di inerzia è un parere del solo Comune di Trieste, laddove invece la Regione, con le leggi regionali 8/1999, 2/2002, 29/2005 e 13/2008, non è sicuramente rimasta inerte, ma ha semplicemente, al pari di altre regioni (v. ad esempio Lombardia) scelto una disciplina parzialmente diversa, in aderenza alle peculiarità del comparto commerciale globalmente considerato presente in regione.

Dopo aver richiamato il quadro normativo di riferimento la ricorrente ha dedotto sei mezzi, con i quali ha denunciato l’operato comunale sotto svariati profili di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere.
Si sono costituiti in giudizio l’intimato Comune e la controinteressata Cooperative Operaie di Trieste, Istria e Friuli – Società Cooperativa, chiedendo il rigetto del gravame.
Quest’ultimo è stato introitato dal Collegio ed è passato in decisione nella pubblica udienza del 16.12. 2009.
In rito, va disattesa l’eccezione comunale con la quale è stata dedotta l’inammissibilità del ricorso per la mancata impugnativa della succitata segnalazione del 16.10.2008, n. AS480/08, dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Autorità che, peraltro, la Regione avrebbe dovuto evocare in giudizio – il cui nucleo argomentativo si compendia nella affermazione che i Comuni debbano sostituirsi alle Regioni inadempienti al compito di individuare le città d’arte in base all’art. 12, comma 3 del D.Lgs. n. 114 del 1998: come meglio si dirà in prosieguo di trattazione, questa segnalazione è sprovvista del connotato della imperatività, atteggiandosi (in buona sostanza) a parere (od indirizzo) non vincolante.

Non miglior sorte ha l’altra eccezione, con la quale il resistente Comune ha dedotto l’inammissibilità del gravame per non essere stato impugnato l’atto del Sindaco di Trieste dell’8.4.2009, con il quale, sulla base della deliberazione consiliare n. 10/2009 qui impugnata, nella sua veste di mero atto di indirizzo, si “informa” che gli esercenti avrebbero potuto determinare liberamente gli orari di apertura e chiusura dei negozi e derogare dall’obbligo di chiusura domenicale e festivo per effetto dell’applicazione del ripetuto art. 12.
Il Collegio osserva, infatti, che, come fondatamente rilevato dalla Regione, l’atto sindacale non è sussumibile nel paradigma provvedimentale, e, in particolare, in quello delle ordinanze, bensì in quello delle comunicazioni illustrative, prive, in quanto tali, dei requisiti propri dei provvedimenti amministrativi.
Sgombrato il campo dalle due eccezioni comunali ed entrando nel merito del ricorso, con il primo mezzo sono stati dedotti i seguenti vizi, che inficerebbero la impugnata deliberazione consiliare n. 10 del 2.3.2009:
1. Incompetenza Violazione e falsa applicazione di legge: violazione dell’art. 12, comma 3 del D. Lgs. 114/1998 e dell’art. 30 L.R. 29/2005

La ricorrente Regione ricorda che l’art. 12, comma 3 del D. Lgs. n.114/1998 prevede che “entro 180 giorni da/l’entrata in vigore del presente decreto, anche su proposta dei comuni interessati e sentite le organizzazioni dei consumatori le regioni individuano i comuni ad economia prevalentemente turistica, le città d’arte o le zone del territorio dei medesimi e i periodi di maggior afflusso turistico nei quali gli esercenti possono esercitare la facoltà di cui a! comma 1”.

La norma citata, che il Comune di Trieste pone a fondamento della deliberazione impugnata – prosegue la deducente – attribuisce chiaramente alle regioni il potere di individuare comuni e le zone dei medesimi nei quali è consentita la deroga a quanto previsto dal comma 1, nel mentre ai comuni viene attribuita una mera funzione di proposta, tra l‘altro eventuale, nei confronti delle regioni: in attuazione di tale disposizione e della competenza legislativa statutariamente riconosciuta alla Regione Friuli Venezia Giulia, la Regione ha emanato tutta una serie di leggi attuative della disciplina statale; in particolare, con l‘art. 30 della L.R. 20/2005 si sono operate delle scelte, in parte diverse, in parte più ampie rispetto ai contenuti della disciplina statale, ma in ogni caso ritenute dal legislatore regionale esaustive dei contenuti del richiamato art. 12, comma 3 del D. Lgs. 114/1998, non solo sotto il profilo sostanziale (l’individuazione dei comuni a prevalente economia turistica del Friuli Venezia Giulia), ma anche sotto il profilo della competenza: è la Regione, utilizzando la fonte legislativa, ad aver operato la qualificazione (potere attribuitole dalla legge statale), non residuando ai comuni alcun potere di qualificazione diretta ulteriore, se non attraverso l’individuazione, in via amministrativa, delle zone A o dei centri storici nei relativi strumenti urbanistici.
A tal proposito la ricorrente rileva che l’interpretazione letterale dell’art. 12, comma 3 del D. Lgs. 114/1998 vede la presenza della particella disgiuntiva “o” che marca un’alternativa, una sostituzione tra la previsione delle città d’arte e la previsione delle zone del territorio comunale nelle quali consentire la deroga prevista; in altri termini, iI legislatore regionale, tra le due opzioni consentite, ha legittimamente scelto quella dell’individuazione delle “zone del territorio”, vale a dire le “zone omogenee A del piano regolatore generale comunale, ovvero nei centri storici così come previsti e riconosciuti negli strumenti urbanistici generali dei comuni” (art. 30 L.R. 29/2005).
Avendo la Regione compiutamente esercitato la competenza alla stessa attribuita dal D. Lgs. 114/1998 e dall’art. 4 dello Statuto di autonomia, alcuno spazio residua al Comune di qualificarsi autonomamente come città d’arte per poter applicare una deroga diversamente disciplinata dalla Regione.
Di qui il dedotto difetto di competenza del Comune nella adozione della deliberazione impugnata, nonché la violazione degli artt. 12, comma 3 del D. Lgs. 114/1 998 e dell’art. 30 L.R. 29/2005.
Sotto altro profilo la ricorrente ravvisa nel comportamento del Comune di Trieste una falsa applicazione dell’art. 12, comma 3 del D. Lgs. n. 114/1998, nel momento in cui, in luogo della prevista proposta (eventuale) alla Regione e della consultazione obbligatoria delle associazioni di categoria, il Comune ha invece provveduto direttamente alla qualificazione di Trieste come città d’arte.
Questo il primo mezzo dedotto dalla Regione.
Come si vede, esso ruota prevalentemente intorno al vizio di incompetenza, di cui sarebbe affetta la impugnata deliberazione consiliare n. 10 del 2009.
Sembra opportuno premettere che la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanze nn. 5766/09 e 5768/09 del 17.11.2009 ha confermato (con condanna alle spese degli appellanti) la ordinanza di questo Tribunale n. 64/2009 del 4.6.2009, con la quale era stata accolta la domanda cautelare proposta dalla Regione.

Il Giudice di appello ha motivato la conferma con la circostanza che la impugnata deliberazione del Consiglio comunale di Trieste n. 10 del 2.3.2009 concernente “Qualifica di Trieste “Città d’arte” ai sensi e per gli effetti dell’art. 12 D.Lgs. 114/1998 – Approvazione” “implica la violazione delle attribuzioni legislative riservate alla regione come previste dall’articolo 12, c. 3 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 ed esercitate dalla Regione Friuli Venezia Giulia da ultimo con la legge regionale 30 novembre 2008, n. 13”.
L’art. 12 ( Comuni ad economia prevalentemente turistica e città d’arte) del decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 114 (decreto pubblicato nella Gazz. Uff. 24 aprile 1998, n. 95, S.O. e recante la Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59), dispone che:

“1. Nei comuni ad economia prevalentemente turistica, nelle città d’arte o nelle zone del territorio dei medesimi, gli esercenti determinano liberamente gli orari di apertura e di chiusura e possono derogare dall’obbligo di cui all’articolo 11, comma 4.
2. Al fine di assicurare all’utenza, soprattutto nei periodi di maggiore afflusso turistico, idonei livelli di servizio e di informazione, le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e del turismo e dei lavoratori dipendenti, possono definire accordi da sottoporre al sindaco per l’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142 .
3. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, anche su proposta dei comuni interessati e sentite le organizzazioni dei consumatori, delle imprese del commercio e del turismo e dei lavoratori dipendenti, le regioni individuano i comuni ad economia prevalentemente turistica, le città d’arte o le zone del territorio dei medesimi e i periodi di maggiore afflusso turistico nei quali gli esercenti possono esercitare la facoltà di cui al comma 1”.
Il richiamato art. 11, comma 4 stabilisce che:
“4. Gli esercizi di vendita al dettaglio osservano la chiusura domenicale e festiva dell’esercizio e, nei casi stabiliti dai comuni, sentite le organizzazioni di cui al comma 1, la mezza giornata di chiusura infrasettimanale”.
A sua volta, la citata legge regionale n. 29/2005 (recante: “Normativa organica in materia di attività commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande. Modifica alla L.R. 16. 1.2002, n. 2 “Disciplina organica del turismo”), ha ripreso, con l’introduzione di modifiche ed integrazioni, le precedenti disposizioni regionali in materia di orari degli esercizi (art. 28), giornate di chiusura degli esercizi (art. 29), e deroghe per le città a prevalente economia turistica (art. 30).
Le precedenti disposizioni erano essenzialmente quelle della legge regionale n. 8 del 1999 (Normativa organica del commercio in sede fissa): gli artt. 25 e 26 di tale legge regionale hanno disciplinato gli orari degli esercizi di vendita al dettaglio e, rispettivamente, le disposizioni per le località turistiche e sono stati individuati anche i comuni capoluogo di provincia come località ad economia turistica, rimettendo ai consigli comunali degli stessi l’eventuale diversa scelta di una parte soltanto del territorio comunale; sono state anche previste delle deroghe (sempre nelle medesime materie) limitate ai mesi di giugno, luglio, agosto e settembre per i centri storici ed urbani.
Seguiva la legge regionale n. 2/2002 (Disciplina organica del turismo), che ha pure dettato disposizioni particolari nella materia de qua.

Infine, la legge regionale 30 novembre 2008, n. 13, menzionata dal Consiglio di Stato, reca “Modifiche alla legge regionale 29/2005 in materia di commercio, alla legge regionale 2/2002 in materia di turismo, alla legge regionale 9/2008 per la parte concernente gli impianti sportivi e altre modifiche a normative regionali concernenti le attività produttive”.

Non sembra superfluo osservare – al fine di un adeguato inquadramento concettuale della problematica in esame – che la disciplina degli orari degli esercizi di vendita al dettaglio appartiene alla materia del commercio e non a quella della tutela della concorrenza (Cfr. Corte cost., ordin. n. 199/2006).
Sin qui l’essenziale quadro normativo di riferimento.
Circa i rapporti tra Regioni e Comuni in relazione alla previsione degli orari di apertura e di chiusura di cui al comma 1 dell’art. 12 del decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 114, il Consiglio di Stato ha avvertito che “finché permanga l’iscrizione (dell’intero territorio) del Comune nell’elenco regionale delle località turistiche o città d’arte, vale la deroga all’obbligo di chiusura settimanale sancita dall’articolo 12, comma 1, del decreto legislativo n. 114 del 1998” e che, “ancorché non possa disconoscersi la natura ricognitiva degli elenchi, il penetrante potere conferito in proposito alla Regione e gli effetti che ne derivano per il libero esercizio delle facoltà contemplate dal 1° comma dell’art. 12 in capo agli esercenti operanti nel territorio, devono far ritenere che, fintanto che persista l’inserimento negli elenchi, la facoltà anzidetta non possa essere contratta, dall’Autorità comunale, se non nei modi ed alle condizioni previste dalla legge (nazionale o regionale) che disciplina la materia” (Cons. Stato, V, 28 febbraio 2006, n. 850); è stato, altresì, deciso che: “è pur vero che il comma 2 dell’art. 12 attribuisce al Sindaco specifici poteri di ordinanza, anche nell’ambito dei Comuni ad economia prevalentemente turistica, capaci di incidere sulla facoltà conferita dal comma 1, ma tale potere presuppone, da un lato la definizione di accordi con le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e del turismo, dei lavoratori dipendenti e dall’altro, il rispetto di specifici indirizzi del Consiglio comunale, come deve evincersi dall’espresso richiamo all’art. 36, comma 3 della legge 8 giugno 1990 n. 142, ora sostituito, per quanto qui interessa, dall’art. 50 del d.lgs. n. 267 del 2000, che richiede anche (comma 7) il rispetto dei criteri indicati dalla Regione” (Cons. di Stato sezione V n. 4650 del 9 settembre 2005).
Dai surriferiti referti normativi e giurisprudenziali emerge in tutta evidenza nella materia in questione un potere dispositivo e di indirizzo attribuito alle Regioni dallo Stato.
Questo si spiega considerando la esigenza, di assoluto rilievo, che le Regioni, quali Enti esponenziali degli interessi dell’intera collettività regionale e deputati ad attualizzare questi interessi in ragione di una visione unitaria e di criteri predeterminati, anche in questa materia svolgano una attività di coordinamento – a livello, per l’appunto, dispositivo e direzionale – nel territorio di competenza.
La Regione è, infatti, istituzionalmente deputata a raccogliere in una visione di sintesi le istanze delle varie realtà territoriali, per poi tradurle in precisi schemi normativi e direzionali.
In questa ottica si pone anche il terzo comma dell’art. 12 del decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 114, secondo cui:
“3. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, anche su proposta dei comuni interessati e sentite le organizzazioni dei consumatori, delle imprese del commercio e del turismo e dei lavoratori dipendenti, le regioni individuano i comuni ad economia prevalentemente turistica, le città d’arte o le zone del territorio dei medesimi e i periodi di maggiore afflusso turistico nei quali gli esercenti possono esercitare la facoltà di cui al comma 1”.
Il decreto in questione ha espressamente demandato alle Regioni il potere di individuare – in particolare, per quello che qui rileva – le c.d. città d’arte.
Questo potere va ricondotto – per l’appunto – alla esigenza che l’Ente deputato allo svolgimento di quella attività di coordinamento entro un dato perimetro territoriale ravvisi la esistenza di precise condizioni ambientali, culturali, architettoniche, storiche, acciocchè un agglomerato urbano possa essere definito “città d’arte”.
Inutile sottolineare il fatto che il testuale referto dell’art. 12, comma 3 – chiaro ed inequivocabile – non lascia adito a dubbi sul radicamento in capo alle Regioni di questo specifico potere.
Questa considerazione assiomatica è, peraltro, avvalorata dal suesposto compendio argomentativo circa la ragion d’essere del potere in questione.
Se così è, non è fondatamente confutabile che altri Enti e, segnatamente, i Comuni non possano surrogarsi alle Regioni nell’”individuazione” delle città d’arte.
Quello che è paradigmaticamente certo è che nessun Ente diverso dalla Regione è autorizzato a svolgere questo tipo di riconoscimento.
Facendo applicazione delle surriferite coordinate al caso di cui alla presente controversia, non è revocabile in dubbio che l’intimato Comune di Trieste, violando la previsione dell’art. 12, comma 3 nella lettera e nello spirito e trasmodando dalla propria competenza, si è surrettiziamente sostituito alla Regione Friuli Venezia Giulia.
Non può non sottacersi, inoltre, la problematicità di questo auto-riconoscimento – in quanto avulso da qualsivoglia schema parametrico regionale – anche in relazione alla asimmetria che si verrebbe a creare con gli altri insediamenti abitativi presenti nella Regione, con effetti potenzialmente negativi su di un ordinato, coerente, razionale ed equilibrato assetto delle attività commerciali regionali.
Inutile dire, alla luce del suesposto corredo argomentativo, che non giova al resistente Comune la segnalazione n. AS480/08 in data 16.10.2008 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Questa Autorità ha espresso l’avviso che laddove “[….] le regioni [….] non abbiano adempiuto a! compito loro attribuito dal comma 3 dell’art. 12 spetta agli stessi comuni il compito di accertare [….] la caratteristica della città d’arte. Ciò al fine di superare eventuali comportamenti inerti che potrebbero ostacolare l’applicazione dei principi concorrenziali. “.
La segnalazione in parola è stata adottata in base all’art. 21 ( Potere di segnalazione al Parlamento ed al Governo) della legge 10 ottobre 1990, n. 287, in base al quale:
“Allo scopo di contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del mercato, l’Autorità individua i casi di particolare rilevanza nei quali norme di legge o di regolamento o provvedimenti amministrativi di carattere generale determinano distorsioni della concorrenza o del corretto funzionamento del mercato che non siano giustificate da esigenze di interesse generale.

2. L’Autorità segnala le situazioni distorsive derivanti da provvedimenti legislativi al Parlamento e al Presidente del Consiglio dei Ministri e, negli altri casi, al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri competenti e agli enti locali e territoriali interessati.

3. L’Autorità, ove ne ravvisi l’opportunità, esprime parere circa le iniziative necessarie per rimuovere o prevenire le distorsioni e può pubblicare le segnalazioni ed i pareri nei modi più congrui in relazione alla natura e all’importanza delle situazioni discorsive”.
Come si vede agevolmente, l’art. 21 radica in capo all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato un mero potere di segnalazione al Parlamento, al Governo, nonché agli enti locali e territoriali interessati di situazioni distorsive della concorrenza e del mercato, derivanti da norme di legge, di regolamento o di provvedimento amministrativo di carattere generale (Cfr. T.A.R. Lazio, I, 28 gennaio 2000, n. 466).
Trattasi, in sostanza, di autorevoli e significativi indirizzi, dettati dalla Autorità in argomento, sprovvisti, però, del connotato della vincolatività per i soggetti istituzionali tenuti ad apprezzarli.
Pertanto, la segnalazione n. AS480/08 in data 16.10.2008 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in parte qua, non costituiva un vincolo per il Comune intimato, nel senso di imporgli, in relazione ad un comportamento asseritamente inerte della Regione, il compito di accertare nella città di Trieste la caratteristica della città d’arte.
Corollario di ciò è che la segnalazione in parola non si atteggia ad atto presupposto – alla stregua della accezione tecnico-giuridica di questo termine – della impugnata deliberazione consiliare n. 10/2009.
A parte la considerazione tranciante circa la non cogenza della segnalazione, non sembra superfluo sottolineare la circostanza che la ricorrente Regione nega una ipotesi di inerzia, asserendo di aver “scelto una disciplina parzialmente diversa, in aderenza alle peculiarità del comparto commerciale globalmente considerato presente in regione”.
Sotto questo versante – il comportamento inerte – può, altresì, affermarsi, in linea di principio, che la mancata individuazione da parte della Regione – Ente deputato in via esclusiva alla individuazione delle città d’arte ex art. 12, comma 3 del D.Lgs. n. 114 del 1998 – non necessariamente (ed acriticamente) dovrebbe essere ascritta al concetto di inerzia, ossia alla ipotesi della elusione di un preciso obbligo di legge, ben potendo prefigurarsi – in astratto – la possibilità che la Regione non si sottragga a quest’obbligo, ma, in realtà, non ritenga di riconoscere in una certa località le caratteristiche della “città d’arte”.
In buona sostanza, nei casi di mancata individuazione delle città d’arte, occorrerebbe accertare se trattasi di un vero e proprio comportamento inerte ovvero se trattasi di una scelta deliberatamente negativa.
Al di là di questa ultima considerazione, nel caso di cui alla presente controversia quello che comunque rileva – e che non può essere messo in discussione – è l’incompetenza comunale, posto l’inequivocabile radicamento nella Regione del compito di dare concreta applicazione al ripetuto art. 12, comma 3.
Sotto questo assorbente profilo – l’incompetenza – il ricorso va accolto e l’impugnata deliberazione consiliare n. 10/2009 va annullata.
Le spese del giudizio possono essere compensate, sussistendone le giuste ragioni.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale del Friuli – Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo accoglie, e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato, meglio specificato in epigrafe.
Spese compensate.
Condanna i due resistenti – in solido tra loro – alla rifusione del contributo unificato alla parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 6-bis, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2009

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7 commenti a Niente deroghe sulle aperture domenicali, per il Tar Trieste “non è città d’arte”

  1. Paolo Rovis ha detto:

    Prendendo atto delle motivazioni, non sarebbe male avere una risposta a quanto anche il TAR si chiede nel passaggio:

    “In buona sostanza, nei casi di mancata individuazione delle città d’arte, occorrerebbe accertare se trattasi di un vero e proprio comportamento inerte ovvero se trattasi di una scelta deliberatamente negativa”.

    Sta di fatto che il FVG è l’unica Regione d’Italia a non riconoscere alcuna città d’arte sul proprio territorio.

  2. cagoia ha detto:

    “Sta di fatto che il FVG è l’unica Regione d’Italia a non riconoscere alcuna città d’arte sul proprio territorio.”

    penso che la prima sarà Tavagnacco

  3. Luigi (veneziano) ha detto:

    Com’è chiaramente scritto nella sentenza, è la regione che ha il potere di individuare le città d’arte.

    C’è una proposta di legge in tal senso, che giace in Consiglio Regionale dal 17 giugno 2009:

    http://www.consiglio.regione.fvg.it/iterdocs/Serv-LC/ITER_LEGGI/LEGISLATURA_X/TESTI_PRESENTATI/071_PDL.pdf

    Sono in ritardo “solo” di undici anni…

    L.

  4. rocco ha detto:

    La Regione avrebbe anche potuto riconoscere Trieste “città d’arte” se la richiesta fosse giunta con le giuste motivazioni e considerazioni e naturalmente con i giusti passaggi previsti anche dalla legge Bersani! Sicuramente non con una autoproclamazione da parte del Comune di Trieste per scavalcare la legge Ciriani e per agevolare l’apertura dei centri commerciali. La stessa cosa vale anche per la proposta di legge presentata nel giugno 2009, guarda caso subito dopo che il TAR aveva sospeso la delibera del comune.

  5. Paolo Rovis ha detto:

    A Rocco manca un passaggio. La delibera “città d’arte” è stata redatta e votata quasi all’unanimità dal Consiglio comunale di Trieste solo dopo che la Regione ha rifiutato qualsiasi confronto con il Comune sul tema, approvando la legge così com’è.

  6. rocco ha detto:

    So benissimo che la delibera è stata votata quasi all’unanimità dal Consiglio comunale, il giornale in quel periodo sembra non avesse altro di cui occuparsi, ma anche il Consiglio regionale in questo caso ha approvato la legge sul commercio e il Comune di Trieste non ha mai voluto, nè prima dell’approvazione, nè dopo rispettare la nuova legge! Il tutto per favorire unicamente un unico centro commerciale!
    Come ricordato anche dall’Assessore Ciriani
    Inoltre la Regione ha rispettato le promesse fatte in campagna elettorale (cosa che accade molto di rado).
    A proposito, è’ stato forse utilizzato denaro pubblico per pagare tutti i ricorsi? Perchè se così fosse non credo che tutti i cittadini siano d’accordo. Io per primo.

  7. cagoia ha detto:

    Perchè i consiglieri triestini del pdl in region non sfiducia Tondo?

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