5 Ottobre 2009

Barera (CGIL): L’apertura domenicale dei negozi danneggia piccoli esercenti e lavoratori

crisi

Breve sintesi per chi si fosse perso nel ginepraio della Legge Ciriani: il provvedimento è andato a regolare la questione delle aperture domenicali per i negozi, riducendo a ventinove il numero massimo di domeniche in occasione delle quali gli esercizi commerciali possono restare aperti. Fanno eccezione i negozi che si trovano all’interno dei centri storici delle città turistiche e gli esercizi commerciali con un’area di vendita inferiore ai 400 metri quadri.

Si tratta di una legge molto discussa che, secondo alcuni, rischia di avere delle serie ripercussioni sui livelli occupazionali. All’ inizio della scorsa settimana, le Coop delle Torri d’Europa, a Trieste, non hanno rinnovato il contratto di quattro cassiere, giustificando la scelta coi mancati guadagni derivanti dall’entrata in vigore della Legge Ciriani. Ha rincarato la dose il direttore del centro commerciale, secondo il quale i negozi delle Torri fatturano il 20% del loro incasso proprio alla domenica. A suo dire, quindi, i posti messi a rischio dal provvedimento nelle sole Torri sarebbero 120.

Al centro del ring, spesso e volentieri, si sono trovati i sindacati, favorevoli alla legge e accusati di essere abbarbicati su posizioni ormai obsolete e nocive per l’interesse dei lavoratori.
Abbiamo intervistato Franco Barera, segretario regionale della FILCAMS – il sindacato di categoria della CGIL che si occupa dei lavoratori del commercio, del turismo e dei servizi-, che ha di fatto denunciato l’uso strumentale della questione da parte di imprese in evidente difficoltà strutturale.

Signor Barera, non crede che l’obbligo di chiusura domenicale possa risultare controproducente per i lavoratori?
No, e sgombriamo subito il campo da un equivoco: quando mi trovavo alla FIOM, ho appoggiato il lavoro domenicale in diverse circostanze. Ma qui, nel settore commerciale, non avrebbe senso. In molti vorrebbero tornare alla Legge Illy, che non poneva alcun limite alle aperture festive. Si trattava di un provvedimento ultra-liberista, che ha finito per avvantaggiare solo le grandi concentrazioni imprenditoriali, desertificando la realtà dei piccoli commercianti.
Bisogna capire questo: la domenica è il grimaldello, lo strumento tramite cui i grandi centri possono scardinare la concorrenza dei piccoli esercenti. Lo conferma il fatto che riceviamo il supporto di molti fra i piccoli commercianti.

In che modo l’apertura domenicale finirebbe per avvantaggiare la grande distribuzione? In fin dei conti, anche i piccoli esercenti resterebbero liberi di aprire.
Le grandi concentrazioni hanno tirato la coperta all’estremo: già così i piccoli faticano molto a tenere aperto. Non hanno personale sufficiente pure per le domeniche. E’vero che nei festivi si incassa di più, ma i guadagni aggiuntivi non sarebbero garanzia automatica di nuove assunzioni. E’un trend che è possibile osservare già adesso: il numero di lavoratori assunti non aumenta in proporzione alla crescita delle ore di lavoro.
L’apertura domenicale andrebbe quindi a favorire la grande distribuzione dei centri commerciali, dove i piccoli fanno ancora più fatica, a causa degli affitti elevatissimi: lo testimoniano i molti spazi vuoti negli outlet e l’alta rotazione fra gli esercizi presenti in questi centri.

Gli oppositori della Legge Ciriani, come l’assessore Rovis, sostengono però che sia possibile sopperire a questo problema tramite gli straordinari del personale già in organico e l’assunzione di nuovi lavoratori part-time.
Noi saremmo favorevoli alle assunzioni part-time, ma è uno strumento a cui non si è quasi mai ricorso in regione. Il risultato è che i lavoratori già assunti sono costretti agli straordinari, un’incombenza alla quale, di fatto, non sono liberi di sottrarsi.

Non sarebbe allora il caso di insistere sulla tutela di questo diritto, piuttosto che sull’obbligo di chiusura domenicale?
Idealmente sì, ma è difficilissimo. Purtroppo la situazione è questa e bisogna prenderne atto.

I lavoratori però sembrano lontani dalle vostre posizioni. Prova ne sia l’appello dei dipendenti Coop al Comune di Trieste.
Non se sia successo anche alle Coop, ma gli impiegati di molte altre aziende mi hanno detto di essere stati costretti dai loro direttori a firmare appelli simili. Non aderire, del resto, significherebbe mettersi in una posizione difficile.
E poi non dimentichiamo una cosa: la Legge Ciriani lascia la possibilità di tenere aperto per 29 domeniche all’anno, che non sono affatto poche. Dire che si licenzia per la chiusura domenicale è una strumentalizzazione totale.

In che senso?
Il vero problema è la crisi. In regione abbiamo una situazione che non esiterei a definire esplosiva. C’è un eccesso di offerta commerciale, è una questione strutturale. Il passaggio da 52 a 29 domeniche non è sufficiente a far saltare delle aziende, se sono davvero sane.

Però di sicuro la chiusura domenicale non aiuta.
Qualche vittima c’è, è innegabile. Ma è pretestuoso dire che si deve licenziare per questo: esiste una marea di altre soluzioni, prima di arrivare al licenziamento, specialmente per una realtà come quella delle Coop. Un’azienda onesta dovrebbe riconoscere le proprie difficoltà e aprire una trattativa, discutere il problema pubblicamente. Noi li sfidiamo a farlo.

Quali sono secondo lei i problemi delle Coop?
Il punto è che le nostre Coop, rispetto al mercato, sono un’impresa medio-piccola. Sia chiaro, noi crediamo in questo tipo di aziende. Ma sono in difficoltà strutturale rispetto a giganti come Carrefour, Despar o le Coop emiliane.
E poi non si rendono nemmeno conto che, con l’apertura domenicale indiscriminata, per uno di questi colossi potrebbe diventare ancora più conveniente aprire al loro fianco un nuovo supermercato, di cui non potrebbero reggere la concorrenza. Rischiano di darsi la zappa sui piedi da soli.

Non si può però ignorare che ci troviamo in una zona di confine: se i negozi del FVG restano chiusi, la gente va a far compere in Slovenia.
Guardiamo in faccia la realtà: i consumatori vanno in Slovenia perché là i prodotti costano meno. Lei crede che in Austria la gente soffra perché alla domenica i negozi restano chiusi? Alla domenica si fa altro…

Avete delle soluzioni alternative da proporre?
Rilanciamo sull’orario continuato, a cui siamo da sempre favorevoli. E’ una soluzione ragionevole che permette di riassorbire le perdite derivanti dalla chiusura domenicale.
Poi, ripeto, l’apertura domenicale è un grimaldello, ai danni di piccoli esercenti e impiegati. Rischiamo la desertificazione delle città, per concentrare tutto in questi outlet.
Non possiamo nemmeno astenerci dall’inserire la proposta di revisione della Legge Ciriani nel quadro complessivo in cui sta venendo portata avanti.

E cioè?
E’ un momento durissimo. Sotto il profilo della tutela dei diritti dei lavoratori siamo in pieno regresso. Si sta parlando di far slittare il riposo settimanale, di aumentare ulteriormente la flessibilità degli orari … Dispiace dirlo, ma le Coop si stanno adeguando al peggio. L’eventuale revisione della Legge Ciriani indebolirebbe ulteriormente la nostra posizione negoziale, in un contesto che è già di per sé preoccupante.

disoccupati 3

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6 commenti a Barera (CGIL): L’apertura domenicale dei negozi danneggia piccoli esercenti e lavoratori

  1. francesco ha detto:

    come avevo già scritto,bisogna diventare più cittadini e meno consumatori alla domenica bisogna dedicarsi alla famiglia,che in questo momento difficile ne ha bisogno,non credo che le aperture domenicali possa risolvere i problemi di incasso,guardiamo altri paesi che non aprono alla domenica e stanno molto meglio di noi,è solo un falso problema per sfoltire il personale,adottiamo il reddito solidale anche per le multinazionali visto che hanno fatto sempre i loro interessi.francesco

  2. lànfur ha detto:

    Non riesco a rispondere ad affermazioni tipo:”alla domenica bisogna dedicarsi alla famiglia”. A quando il sabato fascista?

    Riprendo un post di Zucconi su repubblica.it:
    Trovo qualche difficolta’ a spiegare a uno straniero perche’ nelle grandi citta’ italiane, come l’operosa capitale lombarda nella quale mi trovo in questo momento, uno debba dievntare scemo per trovare al lunedi’ un negozio aperto e comperare una fettina di carne o una presa elettrica. Il turista americano, povero mentecatto imperialista che e’, crede che in tutte le nazioni gli esercizi commerciali (per non parlare neppure delle farmacie) debbano cercare di stare aperti il piu’ possibile per cercare di fare cio’ per cui esistono: vendere. Che pirloni questi americani.

  3. Andrea Luchetta ha detto:

    Secondo me non è tanto questione di sabati fascisti o che.
    Il punto cruciale è quello che Barera mette in evidenza rispondendo all’ultima domanda, e cioè il contesto in cui la richiesta di revisionare la legge Ciriani sta venendo portata avanti.

    E’ vero che un lavoratore non è poi così libero di rifiutare gli straordinari. Figurarsi se ha un contratto a tempo.

    In questo, mi sembra che i sindacati stiano cercando di proteggere una categoria che, finora, erano stati accusati di trascurare.

  4. lànfur ha detto:

    Perchè una volta il bottegaio non era come un lavoratore dell’industria. Adesso con i centri commerciali c’è una categoria di lavoratori che quando va bene sono alla pari di un metalmeccanico.
    Mi risulta che il lavoratore dell’industria lavori anche di domenica, alla pari di tanti statali ( = scansafatiche? ) come poliziotti, vigili del fuoco, infermieri, ferrovieri.
    Non è che il sindacato non ha saputo fare il sindacato per questo nuovo genere di lavoratori?

  5. arlon ha detto:

    Una dele poche interviste con risposte reali che legio nei ultimi tempi.
    Efetivamente, el ga ragion.

    Mi proporia per esempio che i negozi fosi verti i lunedi, quel sì che xe ridicolo e solo che in Italia (che mi sapi).
    Però xe giusto organizar i tempi de lavor nela società, e una pausa colletiva, come pol eser la domenica (fameia o no fameia, ciesa o no ciesa) me par una bona ocasion.

    Son stado un TOT de anni (e son) in centro-nord Europa, e da quel che vedo i unici che pol tignir verti de domenica xe quei con pochissimi metri quadri e pochi dipendenti, i supermarket xe tassativamente serai!

    Quindi la domenica vien usada per el contrario de quel che se spera in region.. de solito, verzi qualche botega, qualche paruchiera e poco altro.
    Proprio pèer tignir vivo el centro.

    Fazo un esempio: la sparizion dele latterie.
    Le xe sparide, perchè oviamente no le gaveva mercato..
    Comincemo a pensar a una lege che ghe permetesi a micro-esercizi de alimentari de restar verti 24/7, se i vol. Che i diventi un servizio afidabile per quei che ghe abita nei paragi.
    Mi go la impresion che gavesi salvado tanti posti de lavor con un bon guadagno, incentivado la imprenditorialità inveze del lavor precario, e preservado el tesuto social dei centri de cità e paesi.

    Questo per far capir che la soluzion ala crisi con tuta probabilità no la sta nel riverzer i centri comerciai. Anzi!

  6. Paolo Rovis ha detto:

    Le risposte di Barera – a domande peraltro estremamente pertinenti – sono serie, nel merito, ed esprimono un punto di vista rispettabile.

    Una precisazione. Il numero delle giornate all’anno in cui è diventato obbligatorio tenere chiuso per legge è pari a 34. Ventitrè domeniche più undici festività. Quasi il 10% dei giorni totali dell’anno sottratti ad aziende che da tempo si erano strutturate per lavorarli. E si tratta, per la quasi totalità, di giorni di notevoli ricavi. Mi pare perciò che le perdite dei posti di lavoro non possano venire ascritte soltanto alla generica “crisi economica”, ma realmente e con motivo agli effetti della legge 13.

    Altra precisazione. Come soluzione per i lavoratori del commercio non ho proposto il ricorso agli straordinari, ma un’effettiva e volontaria turnazione e le assunzioni part-time verticale.

    Per non annoiare, non mi dilungo qui su ulteriori considerazioni, già espresse in un paio di post sul mio blog cui rimando chi ha piacere di approfondire.

    Infine, mi ha colpito questo passaggio:
    “Non sarebbe allora il caso di insistere sulla tutela di questo diritto, piuttosto che sull’obbligo di chiusura domenicale?
    Idealmente sì, ma è difficilissimo. Purtroppo la situazione è questa e bisogna prenderne atto.”

    Difficilissimo? Certo, non è automatico, richiede confronti, accordi, mediazione. Ma non è proprio questo il lavoro che dovrebbe fare la politica, il sindacato, le associazioni datoriali?

    Francamente abdicare al proprio ruolo perché si ritiene che il raggiungimento del risultato sia “difficilissimo” – contesto, io ritengo sia invece fattibilissimo – mi fa rabbrividire.

    E nel caso specifico mi spaventa che tale leggerezza sia sfociata nel divieto di lavorare per legge, cagionando danni a lavoratori, imprenditori e alla fine ai consumatori – e quindi a tutti noi – cui viene sensibilmente limitata la libertà di scelta.

    Per quanto mi riguarda, pertanto, nessuna presa d’atto. Se un risultato migliore di questo può essere raggiunto, se anche un solo posto di lavoro può venire salvato, è preciso dovere adoperarsi fino in fondo affinché accada.

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