8 Settembre 2009

Kosovo: alle porte un accordo fra la missione europea e la polizia di Belgrado

Kosovo is Serbia

L’articolo è di Emmanuel Dalle Mulle, autore di una tesi sul Kosovo per il Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra

E’ di lunedì scorso la notizia che la missione europea in Kosovo (EULEX) sta per firmare un accordo di collaborazione con la polizia di Belgrado mandando su tutte le furie i rappresentanti del governo kosovaro di Pristina. Così ancora una volta l’Unione Europea, come l’ONU prima di essa, si ritrova impantanata in Kosovo.
La precaria posizione della comunità internazionale si rispecchia nella natura della regione stessa. Viaggiando in Kosovo ci si accorge infatti che tutto ha un’aria di precarietà: molti ponti sono agibili solo su una corsia perché nell’altra stanno sostituendo i giunti; i militari non possono farti l’assicurazione di viaggio per la macchina e non sanno bene come e dove sia possibile farla; le case sono fatte di mattoni non intonacati come se gli abitanti fossero sempre in attesa di dover fuggire da un momento all’altro. Al nord questo senso di precarietà è accompagnato da un senso di malinconica nostalgia, mentre al sud risuonano le urla caotiche di un paese che cerca di inventarsi dal nulla. Il fiume Ibar è la linea che traccia il confine tra questi due mondi, Mitrovica è la città divisa dall’Ibar e sul ponte che unisce le due sponde un check-point, che emana odore di guerra fredda ed è gestito da una polizia che intuiamo essere serba, è la stazione di sosta obbligata per passare dall’uno all’altro. Qualche anno prima, su questo lato del fiume, alcuni giovani serbi improvvisarono una milizia di volontari (i Bridge Watchers) che impedivano agli albanesi l’ingresso alla sponda nord. Essi controllavano i flussi di persone in entrata ed in uscita senza risparmiare qualche pestaggio qua e là, il tutto sotto gli occhi indulgenti del contingente francese della NATO di istanza a pochi passi da loro.
Ora i Bridge Watchers non ci sono più, tuttavia, il clima di controllo e circospezione non sembra essersi dileguato. Appena entrati veniamo accolti da una fila di bandiere serbe, pronte a ribadire che il nord è un altro Kosovo, come lo ribadiscono le mura tappezzate di scritte in cui si proclama all’attenzione del mondo intero che “Kosovo is Serbia”. Mentre fotografiamo questa galleria dei messaggi politici serbi alla comunità internazionale una donna ci urla contro con tono minaccioso. Decidiamo allora di tornare al fiume. Sbuchiamo di nuovo sulla strada principale che porta al ponte e ci accorgiamo che un gruppo di ragazzi ci segue con lo sguardo. Spavaldi, andiamo avanti e scendiamo lungo la sponda. Mentre osserviamo il possente flusso dell’Ibar sentiamo un rumore di passi. Ci giriamo ed una banda di ragazzini di età tra i 7 e 10 anni ci viene incontro minacciosamente capitanata da un biondo dodicenne abbronzato il quale si ferma ad un metro da noi e ci chiede qualcosa in serbo. Davide, il mio compagno di viaggio, ha un’intuizione geniale e risponde “Italy”. Loro ci guardano, per metà sollevati, per metà delusi, e si disperdono, mentre noi riprendiamo la strada verso la macchina e di lì verso il sud.
Già nella parte meridionale di Mitrovica il clima è differente, se non altro perché la nostra presenza è sostanzialmente ignorata. La gente sembra troppo indaffarata a costruire dal nulla lo stato che hanno da poco proclamato. Oggi, dopo una guerra e nove successivi anni di limbo ed isolamento internazionale, il paese ha proclamato la propria indipendenza e sembra avviato verso una conferma sempre più netta di tale sovranità. L’atmosfera che si respira a Pristina e dintorni è pertanto febbrile. La capitale è una città caotica e brutta, ma dotata di un suo fascino: i semafori non funzionano, le strade sono piene di buche ed a volte si trasformano improvvisamente in imprevedibili strade bianche, eppure la città sembra funzionare e muoversi lo stesso secondo i termini di una qualche incomprensibile equazione.
Ne riceviamo conferma nel più impensato dei posti, l’atelier di un meccanico. La nostra auto infatti ha dovuto cedere di fronte alla superiorità delle dissestate strade balcaniche. Troviamo per fortuna un altro cliente, un serbo kosovaro (merce rara) che collabora con l’ONU e che si offre di darci una mano a tradurre. Cominciamo allora a chiacchierare della situazione nel paese. Ci lascia intendere che essere serbo in Kosovo non deve essere stato facile, scopriamo anche che il nostro amico è una sorta di “convertito”, un serbo cha ha rinnegato la propria patria anche perché “…oggi il nord del Kosovo rappresenta il passato…” mentre il sud ha voltato pagina. Gli chiediamo, dunque, quale sia l’atteggiamento dei kosovari albanesi nei confronti della comunità internazionale. Si tratta di incondizionata gratitudine oppure anche loro sono stanchi della presenza straniera? Ci siamo accorti infatti che, se i serbi del nord scrivono sui muri “Eulex go home”, quelli del sud scrivono “Eulex made in Serbia”. “…Non è vero, i graffiti sono stati scritti otto anni fa, non esprimono il sentimento comune…” risponde lui. Peccato che la missione EULEX sia stata lanciata nel 2008 e che il giorno successivo alla nostra partenza un gruppo di attivisti albanesi abbia rovesciato 24 vetture dell’ONU durante una manifestazione nel centro di Pristina.
E’ il paradosso del Kosovo, uno stato nato in gran parte grazie all’aiuto della comunità internazionale e che ora rinnega quella stessa presenza, seppur con toni differenti a seconda delle diverse sensibilità. La minoranza serba, d’altro canto, rifiuta di accettare l’indipendenza proclamata dagli albanesi, senza tuttavia avere i mezzi per poter rovesciare la situazione. Nel mezzo, intrappolata e screditata, rimane la comunità internazionale capitanata dall’Unione Europea, che nella regione ha compiuto un investimento senza precedenti e le cui sorti rischiano di costituire un inevitabile precedente per altre regioni separatiste e situazioni post-belliche nel mondo, nonostante tutti si affrettino a precisare l’eccezionalità del caso kosovaro.

Kolonializem

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3 commenti a Kosovo: alle porte un accordo fra la missione europea e la polizia di Belgrado

  1. effebi ha detto:

    nel marasma dei balcani la parola d’ordine per uscirne indenni è “italy” !!??

    mi vien da sorridere se penso che su altri post dell’Italy-Italia si parla tutto il male del mondo e si discute di minoranze linguistiche (sic!) mentre qui abbiamo un esempio di quello che portano certe esasperazioni.
    chissà cosa sarebbe successo se invece di “italy” avesse detto “friul” oppure “slovenia”… ?!

  2. davide ha detto:

    in realtà avevo provato con “padany” ma quei piccoli nazionalisti serbi non parevano capire..sarà che l’italy è ancora campione del mondo. pallone passe-partout.

  3. Oki ha detto:

    “Piccoli nazionalisti serbi” … arrivo proprio da questa città, la conosco molto bene, non hanno alternative picoli nazionalisti serbi perche sono serbi, e non possono essere altro(in questo momento difficie), ma speriamo bene.

    Per quanto riguarda nazionalismo è il condimento indispensabile per un popolo sano, e che a noi Serbi mancava per anni. Buffa questa mia tesi, no? Forse anche l’Italia sofre di questo sindrome, cosa ne pensate?
    Ricordiamoci amare proprio paese e la propria gente non vuol dire odiare altri popoli/paesi/culture ecc.
    Semplicemete avevo bisogno di dire qualcosa a proposito di Kosovo, Dio sa perche e come mi sento.
    Un saluto

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