4 Settembre 2009

Tutela del friulano: il Comitato 482 risponde all’Espresso spronando i cittadini

Il friulanista (ex) blogarìn Andrea Venier ci manda questa: Il settimanale L’Espresso ha attaccato i diritti linguistici dei friulani pubblicando un articolo che definisce il friulano un dialetto e nel quale si sostiene che i fondi destinati a garantire i diritti linguistici delle minoranze sono uno spreco di denaro pubblico. Il Comitato 482, di cui fanno parte associazioni e singoli che si battono per la tutela delle lingue minorizzate difese dalla legge 482/99, ha deciso di rispondere a queste affermazioni diffamatorie e antidemocratiche con una campagna di protesta pubblica a cui invita ad aderire scrivendo una email di protesta agli indirizzi espresso@espressoedit.it e letterealdirettore@espressoedit.it.
Sul sito del Comitato si possono trovare tutti i dettagli relativi a questa iniziativa, l’articolo pubblicato dall’Espresso e il comunicato stampa di risposta del Comitato 482 che è già stato inviato al direttore del settimanale.

Qui l’articolo dell’Espresso

Qui un altro articolo di Io Donna, del Corriere della Sera, intitolato «Parlare “furlan” è un fiume di sprechi»

La risposta di un blogger sardo alle accuse dell’Espresso

Il blog del comitato 482

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27 commenti a Tutela del friulano: il Comitato 482 risponde all’Espresso spronando i cittadini

  1. enrico maria milic ha detto:

    ecco il testo della mia email inviata all’Espresso (già apparso come post del mio blog personale), in cui mi esprimo a favore dell’utilizzo del friulano in contesti pubblici:

    No al ‘dialetto’ a scuola? Mia nona Tina e quel che ci rammentiamo delle nostre nonne

    «Te se ramenterà de mi co’ sarò morta?», mi chiedeva la nona Tina, quando avevo la stessa età di mio figlio Jan, quattrenne.

    Clementina Socrate, di mamma Gerdol di lingua slovena e di marito Visconti napoletano originario di Costantinopoli, era nata a Triest sotto l’Austria nel 1910 e uscì «orizontale» da casa sua, quasi tre decenni dopo quella sua preghiera al primo nipote maschio.

    Schizzava col suo fisico slanciato e nervoso dai campi di Cattinara dove una volta c’era l’erba, e contadini che parlavano sloveno e non c’era la superstrada. Nel viaggio di una vita si fermava in un’altra campagna, in Friuli, dove si parla furlàn, bisiaco o quel che xè, dov’era cresciuto suo padre e dove «durante la guera se stava meo e se trovava de magnar». Non mi è chiaro a quale guerra si riferisse, in questo caso.

    Poi, per «far do soldi, durante la guera», a piedi arrivava da Trieste fino alle saline di Sicciole e portava indietro il sale, sempre a piedi. E qua so bene di che guerra stiamo parlando perchè è la guerra in cui la verità unica del grande stato nazionale si è affermata da tempo.

    Prima il fascismo annulla la sola possibilità che di Sicciole, quel paese di saline a ventidue chilometri a piedi da Trieste, si possa solo che udire il toponimo in sloveno, Se?ovlje. Per non parlare della versione internazionale della città, Triest, o di quella slovena, Trst.

    Poi gli intellettuali, i dirigenti dei grandi partiti, i professionisti dei grandi media dello Stato nazionale dell’Italia post-1945, non hanno altre idee che rifugiare la democrazia nell’astrazione barocca e illuminista dove non ci sono diritti uguali per tutti se non c’è anche un Parlamento nazionale sovrano che legifera per cento città e una miriade di pratiche culturali regionali. Così non ci può che anche essere una Scuola uguale per tutti, una lingua uguale per tutti e, a tutti i costi, dobbiamo essere tutti uguali. Perchè questa è l’unica via alla democrazia.

    I s’ciavi, cioè i dispregiati slavi di Trieste e delle saline Sicciole, si devono accontentare di essere una poco sopportata comunità di minoranza che oggi sta sbiadendo e forse incamminandosi verso l’estinzione. La sola idea di scrivere e parlare in triestino, cioè in una variante del veneto, in contesti ufficiali come quelli della scuola pubblica, è vista da stimabili personaggi della cultura in italiano come lesa maestà della signora Democrazia: se voglio parlare in triestino o in friulano o in sloveno nei luoghi dello Stato e della comunità, secondo questi, mi rinchiudo nel mio maso, sono razzista, non voglio che tutti abbiano le stesse possibilità nella società.

    Ma mi me ricordo de mia nona Tina. E non perchè, parlando triestino, mia nonna fosse più illuminista di Michele Serra o di Claudio Magris, odierni grandi difensori della nazione italiana. Mi ricordo di lei quando parlo in triestino ai miei figli Jan e Tadej, dove quasi tutti gli altri parenti gli parlano solo che nella lingua dominante. E mi ricordo di lei quando, con Jan e Tadej, tento di ricordarmi come mia nonna «la nominava» in triestino qualche verbo. O che esclamazioni usasse, che cantilena tipica dei miei luoghi intonasse, quali espressioni e posture del corpo mettesse in scena.

    L’antropologo Thomas Friedman ha scritto delle pagine appassionate in una polemica contro gli intettellettuali che criminalizzano l’esaltazione popolare delle radici. Friedman si chiede retoricamente se, «quando la gente indigena ‘romanticizza’ i suoi territori, non sarà perchè mantiene qualche relazione pratica e spirituale con questi?».

    Certo che è così. Dove la scuola e la stampa non arriveranno, ci saranno le mie emozioni legate a mia nonna ad arrivare ai miei figli.

    P.S. Il territorio locale è il nodo dolente della cultura civile in Italia. La Lega pesca nel disertato campo politico delle pratiche sociali locali, spesso ma non sempre riempiendole di razzismo. Sempre più nascosti nel territorio d’Italia non ci sono solo le parlate locali ma anche i più umili e i più deboli. Il regionalismo e il sostegno alle culture tradizionali locali non sono pratiche conservatrici, ma progressiste: sostengono la pluralità delle possibili esperienze umane, non la loro scomparsa.
    Il regionalismo non è un sinonimo di Leghismo o di razzismo. Può ovviamente convivere con l’innovazione, il cambiamento e l’apprezzamento della diversità sociale.

  2. lànfur ha detto:

    enrico hai scritto una mail veramente bella e lo dico senza doppi fini. Ma dovresti per un attimo soltanto venire in furlanìa per capire cosa sia diventato tutto quello che tu evochi. Qualcosa che ormai sa tanto di assistenzialismo cammuffato. Una specie di Moloch burocratico che assorbe risorse economiche, un livello intermedio dell’amministrazione oscuro e trasversale che fa soltanto i suoi interessi di autoalimentarsi con stanziamenti attraverso istituzioni di dubbia utilità come le province.
    Il tedesco e lo sloveno andrebbero insegnati in tutta la regione, l’inglese dovrebbe essere messo alla pari dell’italiano per monte ore nella scuola dell’obbligo. Perdere tempo e danaro insegnando termini informatici o elettronici in friulano è al limite del peggiore assistenzialismo. Per me il friulano è altro, si avvicina al piccolo mondo antico di mia nonna che mi chiedeva di andare a raccogliere i cussìns nell’orto o dell’altra mia nonna che cucinava un ottimo bisàto.

  3. Euroscettico ha detto:

    temo abbia ragione lànfur

  4. Marco ha detto:

    Scusa Lànfur, sapresti indicare delle situazioni limite e delle cifre?
    Non la vedo così drammatica come te.
    Anzi…
    Per me, ad esempio, il friulano non è sinonimo di passato e di ricordi ancestrali, ma semplicemente il presente.
    Saranno forse le situazioni diverse che si è costretti a vivere, ma un po’ di rispetto non guasta.
    Complimenti ad Enrico.

  5. Bibliotopa ha detto:

    Bah, mia nonna Ida era nata a Trieste nel 1871, e i suoi ascendenti erano anche friulani, mi riportava ogni tanto frasi dei cugini di Cormòns. Lei parlava italiano e triestino.A scuola le fecero studiare tedesco, ma il suo accento faceva pena, lei preferiva il francese . Ma io la ricordo lo stesso senza aver bisogno di una legge apposita che lo imponga a scuola.

  6. enrico maria milic ha detto:

    bibliotopa
    mio figlio di 4 anni (il più grande) va in una scuola materna dove nessuno dei genitori parla in famiglia in triestino, pur essendo tantissimi di madrelingua triestina.
    questo vuol dire che il triestino sta morendo, de facto, perchè è svalutato come lingua rispetto all’italiano.
    o la comunità interviene oppure tra 30 anni nessuno lo parlerà più il triestino.
    questo è quello di cui stiamo parlando, non dei miei o dei tuoi ricordi in particolare.

  7. Bibliotopa ha detto:

    Enrico, la colpa è delle famiglie. Non scarichiamo come sempre la colpa sulla scuola. Ho dubbi sul concetto di madrelingua triestina. Io parlo perfettamente il triestino, ma sono di madrelingua italiana.
    Semmai preciserei quale triestino? io uso quello della mia famiglia, del borgo teresiano e franceschino, che è ben diverso da quello di altri rioni. Se avesi usato certe espressioni, i miei mi avrebbero rimproverato: ma cossa, te son de Galauca?

  8. arlon ha detto:

    La colpa è delle famiglie, se si omologano ad una cultura/parlata omogeneizzante e potenzialmente colonialista?
    Fino a un certo punto.

    Al giorno d’oggi la realtà nella società è ben più fluida e potenzialmente variabile che nel secolo scorso, questo però facilita la nascita di “slang” e “parlate”, essendo de facto il dialetto ritenuto un estremismo, una cosa da fissati, una chiusura.
    E questo è uno dei punti di vista che il secolo scorso ci lascia, anche da queste parti.

    Fior fior di studiosi invece, OVUNQUE in Europa, stanno riuscendo a provare che ci sono interi modi di pensare, intere formae mentis uniche ed irreplicabili che si vanno perdendo, assieme ai dialetti (le famose lingue senza un esercito e una marina).
    Io riconosco in questa descrizione il triestino, così come ci vedo il milanese o il friulano.

    Una lingua locale non va in contrapposizione ad una lingua veicolare (sia essa l’italiano, l’inglese o il cinese), finchè il livello culturale rimane a livelli accettabili.
    E’ quando per mancanza di idee ci si rifugia nel comfort della massa, che l’adottare la lingua veicolare come unico modo di pensiero sembra la soluzione più facile. E così fanno in molti, oggi, anche a Trieste.

    Io non credo sia la soluzione a un bel nulla, se non a cancellare (sì, cancellare) per sempre dei modi di pensare e di vivere – che peraltro sento miei.

  9. arlon ha detto:

    Concludo, dicendo che uno dei miei “ruoli” nella società che sento come più necessario in questo periodo è proprio quello di fare in modo che tutto ciò non vada perso – per sempre; che anche l’immigrato arrivato ieri possa essere in grado di diventarne parte senza sforzo, sviluppando ed arricchendo quello che c’è, senza cambiamenti istantanei di stampo popolar-mediatico.

    (e scuseme per el modo incasinà de scriver, ma ciamava)

  10. Bibliotopa ha detto:

    Giusto, arlon, volevo domandarte de riscriver la stessa roba in triestin 🙂

  11. effebi ha detto:

    @enrico maria

    tra 30 anni nessuno parlerà questo triestino ? embè ? 30 anni fa nessuno parlava questo triestino e nemmeno questo friulano e probabilmente nemmeno questo sloveno, italiano…etc.

    mi meraviglio quando qulcuno prima si “pone e propone” per le più ampie aperture possibili e poi si richiude su lingue e dialetti.

    lasciamo che ste benedette lingue e dialetti si inquinino, acquistino, cedano.

    il triestino (che non esiste) è stato sempre così, ha assorbito da tutto e da tutti e ancora lo fa, ma tutti (o quasi) lo parlano o lo capiscono da grado a ragusa.

    Che el triestin sia eletto lingua ufficiale europea e che chi che volo l maltratti, ghe zonti, lo storpi… importante xe che se capimo un poco de più.

    basta con ste benedete “conservazioni”. In istria ghe iera un dialeto o una parlata per ogni paese. cossa dovemo far ? ristabilirli e conservali tuti ? obligar i nevodi a imparar e parlar come i nonni ?

    mi credo che ste manie, più che culturali, sia robe da psicologi.

    in ogni caso (torno a parlar forbito) vi rimando all’esperienza di Pasolini che sosteneva il friulano di casarsa contro l’egemonia di quello udinese. Vogliamo finire così ? Ogni frazione un dizionario ?

  12. arlon ha detto:

    Ma nisun parla de conservar e basta, se te legi la parte finale del mio comento de prima xe evidente.
    Questo vol dir banalizar el problema, e no acetar che certi movimenti globalizanti altro no fa che diminuir le diversità culturali.

    Se ne va ben, acetemolo pur.. altrimenti, demose de far per che no sia cussì.

  13. effebi ha detto:

    “…miò pàre ze vinù de ankòna a mùgla ke ‘l jera zòven…”
    Da una memoria raccolta a Muggia da Jacopo Cavalli. I mujesani (1889) parlavano questo ladino che non esiste più. Che dobbiamo fare recuperarlo ? mandare i bimbetti mujesani a scuola di mùglesan ? E a Capodistria ? Isola ? e Barcola ? Servola ? (in queste 2 ultime si parlava lo sloveno standard di lubiana ?)

    e prima del mùglesan che si parlava ? ricerchiamo e imponiamo tutte le parlate “indietro” fino ai suoni gutturali ?

    sgrut gunt rubunnnnt ! a tutti (ovvio)

  14. Diego Manna ha detto:

    Io amo il mio dialetto, e perderlo mi farebbe molto dispiacere. Lavoro parecchio con le scuole e vedo che tanti bambini parlano tra loro in dialetto, cosa che mi fa molto felice (quei de muja in particolare, grandi!). Sicuramente comunque lo parlano meno loro che la mia generazione. Ricordo comunque parecchi compagni di classe che parlavano in italiano per poi convertirsi al dialetto più avanti, nonostante i genitori continuassero a parlare loro in italiano, per cui non penso che un bambino che non sa il dialetto sia “spacciato”, e secondo me il dialetto triestino non è destinato a sparire.
    Se per conservarlo fosse necessario insegnarlo a scuola, per me sarebbe una cosa molto triste e allora si che lo considererei morto. Tutto quello che ha bisogno di essere insegnato perdi morbin, perdi spontaneità.

  15. Diego Manna ha detto:

    agiungo che lavoro anche con le scuole furlane, e bambini furlani che parla tra lori in lanfur xe raro, molto raro. non xe proprio confronto rispetto all’uso del triestin. solo 2 classi me ricordo che i se parlava in lanfur, una de gemona e un altra de ..bu..qualche altro zoccolo duro dela furlania 😉

  16. Diego Manna ha detto:

    concludo con la mia posizion sula facenda furlano.
    E’ evidente che sta morendo, indi son pienamente d’accordo per insegnarlo a scuola (per quanto questo significhi che lo considero “morto nella spontaneità”).
    Non sono per niente d’accordo negli eccessi: usarlo come lingua veicolare, interpreti pagati inutilmente e el T9, te prego dei! Alora lo voio anche in triestin. No xe posibile che se scrivo CLANFA el me scrivi BLANDA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

  17. arlon ha detto:

    Efetivamente – causa triestin – mi el T9 sul celular no lo go mai usado 😀

  18. Litorale Adriatico ha detto:

    L’articolo dell’Espresso un fondo di verità ce l’ha: su questa storia del friulano ci marciano in molti, a cominciare dall’Università di Udine, con grande sperpero di denaro pubblico. Trovo ridicolo, per esempio, che il comune di Gorizia si premuri di scrivere tutto in tre lingue, italiano, friulano e sloveno… non ho mai sentito pronunciare una parola in friulano a Gorizia. E’ una grande pagliacciata per attribuire consulenze, traduzioni e per assumere un po’ di personale in più.

  19. abc ha detto:

    @ Litorale Adriatico.
    Io sento parlare Friulano a Gorizia e lo ho sentito anche all’estero. Non voglio dire con questo che tutti conoscano Friulano, come non tutti conoscono Sloveno.
    Quanto ci costa in più la tutela dello Sloveno rispetto a quella del Friulano?
    In relazione allo sperpero di denaro pubblico che sarebbe attuato dall’Università di Udine, in altra parte di questo sito, si fa un paragone con quella di Trieste.

  20. enrico maria milic ha detto:

    @ diego

    Io amo il mio dialetto, e perderlo mi farebbe molto dispiacere. …
    Se per conservarlo fosse necessario insegnarlo a scuola, per me sarebbe una cosa molto triste e allora si che lo considererei morto. Tutto quello che ha bisogno di essere insegnato perdi morbin, perdi spontaneità.

    non sono d’accordo che tutto quello che viene insegnato cioè ripetuto sulla base di un canone perda morbìn.

    sono sicuro che tutti i triestini partecipanti a questa discussione sono andati almeno una volta a vedere uno spettacolo teatrale, in dialetto, alla contrada…

    gli attori si imparano e studiano per bene le parti… eppure non perdono di spontaneità… e tengono viva una pratica culturale tradizionale, cioè la lingua triestina e tutti quei significati che sono integrati nel corpo che si esprime in quella lingua e che sono intraducibili in italiano (cf. il video sui transformers… “A me piace la jotta”… ehehe).

    Perchè non si insegna il teatro locale (dialettale, se volete chiamarlo così) a scuola?
    Mistero…
    Per quanto riguarda la mia esperienza scolastica di liceale, meglio il teatro dialettale che tante ore inutili di altre materie… (ore su qualche inutile filosofo greco morto 3000 anni fa e non parlo di Platone, Aristotele o Socrate… un anno intero di ore su incomprensibili, per me, nozioni di chimica… ore su misteriosi autori della letteratura “italiana” del medioevo… potrei continuare…)

  21. brancovig ha detto:

    Per piacere siamo già indietro anni luce rispetto alle nazioni più avanzate per la cultura scientifica.
    Pensiamo alle problematiche sulla fecondazione assistita o agli OGM. Qual’è il livello di conoscenza nella popolazione?
    Abbiamo problemi per reclutare insegnanti di matematica per le scuole secondarie.
    Non sacrifichiamo la chimica, la fisica, la biologia o la matematica al tetro dialettale (che apprezzo con tutto il cuore) ma pensemo de più al futuro e cerchemo de essere meno ombelicali. I dialetti se sono vivi resistono altrimenti è accanimento terapeutico. Le lingue son un po’ come il mondo vivente soggette alla selezione ambientale.
    Noi dovremmo discutere dell’insegnamento full-time della lingua inglese fin dalle prime elementari usando insegnanti madrelingua.
    Dovremmo discutere della non-traduzione di film e programmi televisivi.
    Poi sono pienamente d’accordo che la comunità debba aiutare finanziariamente il teatro dialettale e che nel contesto dell’approccio con il pubbblico degli studenti possano recitare in dialetto. Ma insegnarlo a scuola è una scelta errata. Per il friulano come per il giuliano-triestin o il giulian-bisiacco ecc ecc

  22. Diego ha detto:

    teatro dialettale a scuola si, gavessi morbin.
    Sacri testi di grammatica patoca no, trasformassi el dialeto in una palla OUT.

    Giusto l’inglese ale elementari, ma credo che non sia el caso de incugnar i bambini con ogm e simili. La scuola primaria per mi devi esser gioco, socializzazione. In questo el teatro dialetale fila. Dala scola secondaria in poi a quel punto no ghe saria più bisogno de imparar el dialeto. Se i lo ga imparado nela primaria e no i lo usa, alora vol dir che no ghe piasi/no lo senti proprio, alora si che merita de sparir senza acanimenti terapeutici.

  23. Bibliotopa ha detto:

    brancovig, da ex insegnante di matematica (laureata proprio in matematica)posso assicurarti che di insegnanti di matematica per le scuole secondarie non ne mancano certo, anzi.

  24. Sergio Cadorini ha detto:

    Se un linguaggio viene usato solo in famiglia e con gli amici questo è un dialetto. Se un linguaggio viene usato nelle varie occasioni della vita sociale questa è una lingua. Per chi crede (giustamente) che il friulano sia una lingua appare giusto dare sostegno (riconoscimento e finanziamenti)perchè ne venga consentita e promossa la sua diffusione nelle varie istanze della vita sociale.

  25. Sergio Cadorini ha detto:

    Non si tratta solo di una questione culturale e limitatamente linguistica. Ogni persona ha diritto a potere esprimere al massimo la propria personalità e, per quanto riguarda il modo di esprimersi, ciò è consentito dal pieno uso della lingua materna. Tutelare la lingua materna è anche una questione di democrazia.

  26. brancovig ha detto:

    @Bibliotopa purtroppo non sempre è cosi. Molti degli insegnanti di matematica hanno la laurea in scienze naturali e biologia. Nelle Università c’e un calo costante degli iscritti al corso di laurea di matematica. In alcunì atenei i posti di dottorato per neolaureati in matematica sono andati deserti (sono comunque 1100 € al mese per studiare la matematica).

    @Sergio cadorini: seguendo la tua logica allora il bisiaco il triestino l’istriano sono lingue e bisogna finanziarle e studiarle a scuola. Come anche il calabrese il bergamasco ecc… poveri noi semo fora de testa, ma dove andremo a finire

    Oppure c’e’ qualcuno che usa le parlate locali come grimandello per la separazione dei territori? …Questo era il progetto di Stassoldo e compari ed è il progetto dei leghisti

  27. effebi ha detto:

    …e intanto qua continuiamo a dialogare in italiano, qualchevolta (raramente) in triestino.
    (ciapa !)

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