7 Agosto 2009

Magris alla Gelmini: «A Trieste aboliremo l’Inno di Mameli, intoneremo solo ‘No go le ciave del porton’»

Claudo Magris pubblica sul Corriere della Sera una lettera al Ministro dell’Istruzione Gelmini, Bora.La trafuga su segnalazione di Davide Giacca.

Dante e Verga? Basta. Mi son de Trieste
Ministro, cambiamo i programmi: «El moroso
de la Nona» al posto della Divina Commedia

Signor ministro,
mi permetto di scriverLe per suggerirLe l’opportunità di ispirare pure la politica del Ministero da Lei diretto, ovvero l’Istruzione — a ogni livello, dalla scuola elementare all’università — e la cultura del nostro Paese, ai criteri che ispirano la proposta della Lega di rivedere l’art. 12 della Costituzione, ridimensionando il Tricolore quale simbolo dell’unità del Paese, affiancandogli bandiere e inni regionali. Programma peraltro moderato, visto che già l’unità regionale assomiglia troppo a quella dell’Italia che si vuole disgregare.

Ci sono le province, i comuni, le città, con i loro gonfaloni e le loro incontaminate identità; ci sono anche i rioni, con le loro osterie e le loro canzonacce, scurrili ma espressione di un’identità ancor più compatta e pura.?Penso ad esempio che a Trieste l’Inno di Mameli dovrebbe venir sostituito, anche e soprattutto in occasione di visite ufficiali (ad esempio del presidente del Consiglio o del ministro per la Semplificazione) dall’Inno «No go le ciave del portòn», triestino doc.

Ma bandiere e inni sono soltanto simbo­li, sia pur importanti, validi solo se esprimo­no un’autentica realtà culturale del Paese. È dunque opportuno che il Ministero da Lei diretto si adoperi per promuovere un’istru­zione e una cultura capaci di creare una ve­ra, compatta, pura, identità locale.

La letteratura dovrebbe ad esempio esse­re insegnata soltanto su base regionale: nel Veneto, Dante, Leopardi, Manzoni, Svevo, Verga devono essere assolutamente sostitui­ti dalla conoscenza approfondita del Moro­so de la nona di Giacinto Gallina e questo vale per ogni regione, provincia, comune, frazione e rione. Anche la scienza deve esse­re insegnata secondo questo criterio; l’ope­ra di Galileo, doverosamente obbligatoria nei programmi in vigore in Toscana, deve essere esclusa da quelli vigenti in Lombar­dia e in Sicilia. Tutt’al più la sua fisica po­trebbe costituire materia di studio anche in altre regioni, ma debitamente tradotta; ad esempio, a Udine, nel friulano dei miei avi. Le ronde, costituite notoriamente da pro­fondi studiosi di storia locale, potrebbero essere adibite al controllo e alla requisizio­ne dei libri indebitamente presenti in una provincia, ad esempio eventuali esemplari del Cantico delle creature di San Francesco illecitamente infiltrati in una biblioteca sco­lastica di Alessandria o di Caserta.

Per quel che riguarda la Storia dell’Arte, che Michelangelo e Leonardo se lo tengano i maledetti toscani, noi di Trieste cosa c’en­triamo con il Giudizio Universale? E per la musica, massimo rispetto per Verdi, Mozart o Wagner, che come gli immigrati vanno be­ne a casa loro, ma noi ci riconosciamo di più nella Mula de Parenzo, che «ga messo su botega / de tuto la vendeva / fora che bacalà».

Come ho già detto, non solo l’Italia, ma già la regione, la provincia e il comune rap­presentano una unità coatta e prevaricatri­ce, un brutto retaggio dei giacobini e di quei mazziniani, garibaldini e liberali che hanno fatto l’Italia. Bisogna rivalutare il rio­ne, cellula dell’identità. Io, per esempio, so­no cresciuto nel rione triestino di Via del Ronco e nel quartiere che lo comprende; perché dovrei leggere Saba, che andava inve­ce sempre in Viale XX Settembre o in Via San Nicolò e oltretutto scriveva in italiano? Neanche Giotti e Marin vanno bene, perché è vero che scrivono in dialetto, ma pretendo­no di parlare a tutti; cantano l’amore, la fra­ternità, la luce della sera, l’ombra della mor­te e non «quel buso in mia contrada»; si ri­volgono a tutti — non solo agli italiani, che sarebbe già troppo, ma a tutti. Insomma, so­no rinnegati.

Ma non occorre che indichi a Lei, Signor Ministro, esempi concreti di come meglio distruggere quello che resta dell’unità d’Ita­lia. Finora abbiamo creduto che il senso pro­fondo di quell’unità non fosse in alcuna con­traddizione con l’amore altrettanto profon­do che ognuno di noi porta alla propria cit­tà, al proprio dialetto, parlato ogni giorno ma spontaneamente e senza alcuna posa ideologica che lo falsifica. Proprio chi è pro­fondamente legato alla propria terra natale, alla propria casa, a quel paesaggio in cui da bambino ha scoperto il mondo, si sente pro­fondamente offeso da queste falsificazioni ideologiche che mutilano non solo e non tanto l’Italia, quanto soprattutto i suoi innu­merevoli, diversi e incantevoli volti che con­corrono a formare la sua realtà. Ci riconosce­vamo in quella frase di Dante in cui egli dice che, a furia di bere l’acqua dell’Arno, aveva imparato ad amare fortemente Firenze, ag­giungendo però che la nostra patria è il mondo come per i pesci il mare. Sbagliava? Oggi certo sembrano più attuali altri suoi versi: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!».

Con osservanza

Claudio Magris

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68 commenti a Magris alla Gelmini: «A Trieste aboliremo l’Inno di Mameli, intoneremo solo ‘No go le ciave del porton’»

  1. massimiliano ha detto:

    condivido pienamente la posizione del prof. Magris.
    attendo, con ansia, la reazione ministeriale…

  2. Bibliotopa ha detto:

    Come sempre, grandissimo Magris!

  3. T.Patoco ha detto:

    Bravo sior Magris, la ghe ne disi un quatro a sti altri balordi!
    Mi comunque come inno preferiria la marinaresca, che me emoziona sempre tanton e me riempi de buoni propositi, tipo andar in busta a tirar una bona stricadina.

  4. Julius Franzot ha detto:

    Non so in quanti abbiano letto il testo intero dell’inno di mameli, ma a me sembra l’inno più retorico e anacronistico del mondo.
    C’è persino il verso, di sapore retrò 😉 “I bimbi d’Italia si chiaman Balilla”. Senza parlare di un’assurda e martellante apologia della guerra e della violenza.
    Ma vogliamo su serio che i bambini siano fin da piccoli “pronti alla morte”? E come la mettiamo, da buoni vicini in Europa, con “L’aquila d’Austria le penne ha perdute”?
    E la vittoria “schiava di Roma” per creazione divina, non è forse il concetto di “Gott mit uns”?
    Mi chiedo se Magris abbia veramente letto quel testo e ci abbia meditato sopra.
    Se proprio si vuole parlare di guerra, ci sono i versi bellissimi (e pacifisti) di Stelutis Alpinis.

  5. Grande Magris! Mirabile ironia!!! Condivido in pieno.
    Marianna Micheluzzi

  6. cagoia ha detto:

    L’ino de mameli me fa cagar.
    Comunque come inno cittadino esisti ze l’Inno a San Giusto.

    Ormai sembra che la parola d’ordine del PD sia “unità nazionale” con tuta la retorica che comporta.
    Tra un poco se iscrivi anche Menia.

  7. cagoia ha detto:

    Ormai i tempi de Illy xe lontani… de Euroregion no ghe frega più a nissun.

    Anche qua tuti pronti a seguir i dettami del PD de Roma. Una sola bandiera un solo popolo una sola lingua. E che nessun ghe passi per la testa de pensar che tra Trieste Napoli o Palermo ghe sia una qualche minima differenza de storia e cultura.

    Me raccomando … nela nova veste grafica non dimenticheve un poco de biancorossoeverde, magari qua e la qualche foto de Garibaldi e Oberdan.

  8. effebi ha detto:

    Certo che vien de rider….

    Ghe voleva proprio che vegni fora la Lega co le sue idee strampalade per portar in luce el spirito “italico” del Mitteleuropeo (emme maiuscola) sior Claudio Magris. E nissun ghe da nianche del fasista, anzi tuta la Società Civile Bempensante se ghe meterà drio in fila a sto novello Menia avvolto nel tricolor per cantar l’Inno de Mameli !!!

    Che strani che semo fioi !

    Vado in vacanza col cuor leggero, l’Italia ga trovà el nuovo Vate !

  9. effebi ha detto:

    …de Trieste fin Duin go ‘mpegà ‘l mio mandolin…. amor amor amor !!

    …de trieste fin a Zara go comprado ‘na chitara… amor amor amor…

    (l’ino della Venezia Giulia…!)

  10. Marisa ha detto:

    Lettera ironica e profondamente…nazionalista italiana! Come ormai è tutta la sinistra italiana.

    Del tutto daccordo con il commento di Cagoia.

    La Lega Nord fa provocazione sapendo di farla e la sinistra risponde copiando la peggior destra nazionalista. Nulla di nuovo. Ormai è un copione che si ripete.

  11. adriano ha detto:

    ‘ndemo pian Cagoia, l’ino a S. Giusto el xe de quei de Rena vecia, noialtri in Galauca gavemo “In zavate e capel de paja…”, Ghe tignimo alle nostre tradizioni.

  12. enrico maria milic ha detto:

    ho scritto quanto ne penso sul mio blog (personale), che potete raggiungere cliccando qua sotto:

    No al ‘dialetto’ a scuola? Mia nona Tina e quel che ci rammentiamo delle nostre nonne

  13. Bibliotopa ha detto:

    Per Julius Franzot:

    Noi siamo da secoli
    calpesti e derisi
    perchè non siam popolo
    perchè siam divisi..

    ( una delle altre strofe dell’Inno di Mameli..)

  14. Julius Franzot ha detto:

    @Bibliotopa

    Fa molta differenza se siamo calpesti e derisi da gente che ha un altro passaporto, (ma magari una mentalità più simile) o da chi ha lo stesso che abbiamo noi ora, ma che ci chiama “polentoni” e crede che Trieste sia in Jugoslavia e che noi a casa parliamo “lo slavo”?

  15. DaVeTheWaVe ha detto:

    posto che go lanciado mi la piera, aggiungo questo:
    faccio umilmente notare due punti sui quali non sono d’accordo nell’articolo:

    – “La letteratura dovrebbe ad esempio essere insegnata soltanto su
    base regionale: nel Veneto, Dante, Leopardi, Manzoni, Svevo, Verga
    devono essere assolutamente sostitui ti dalla conoscenza approfondita
    del Moro so de la nona di Giacinto Gallina”
    Beh, Svevo rappresenta la triestinità, in quanto, seppur scrivendo in
    italiano, mal lo sopporta e si giustifica dicendo che per un
    triestino, immerso nel dialetto, scrivere in italiano quasi equivale a
    mentire. quindi Magris dovrebbe comprenderlo tra le letture
    scolastiche “per i triestini”.

    – “E per la musica, massimo rispetto per Verdi, Mozart o Wagner, che
    come gli immigrati vanno be ne a casa loro, ma noi ci riconosciamo di
    più nella Mula de Parenzo, che «ga messo su botega / de tuto la
    vendeva / fora che bacalà».”
    ma “la mula de parenzo” è una canzone istro-veneta o sbaglio? quindi
    potrebbe essere comunque “fuori” dal perimetro…

    per il resto, un articolo leggero, costruito sull’iperbole, e che
    purtroppo non so quanto potrà essere utile alla ministra…
    Ciao

  16. Bibliotopa ha detto:

    @Julius Franzot
    No, non fa differenza da parte di chi, è l’essere “calpesti e derisi” che mi rattrista.

  17. bulow ha detto:

    io pero’ sono un po’ stufo del modo in cui si svolge questo annoso dibattito, in regione e piu’ in generale in italia. trovo stucchevole l’ articolo di magris, tanto quanto le bandierine regionali proposte dalla lega. l’ inno di mameli mi fa cagare. immagino che gli inni regionali mi provocheranno analoghi movimenti di corpo.

    le espressioni culturali popolari (non la cultura pop!) sono roba seria. mi chiedo per esempio perche’ in italia non ci sia mai stato un alan lomax a raccogliere sul campo testimonianze sonore dell’ immenso patrimonio musicale delle province d’ italia. ci hanno provato negli anni sessanta i musicisti raccolti intorno all’ etichetta “i dischi del sole”. a milano ci sono stati jannacci, fo, strehler e pochi altri. a napoli la “nuova compagnia di canto popolare”. ma poi e’ finita li’. in questi anni di leghismo imperante, viene spacciata per cultura popolare qualsiasi riedizione stantia dei peggiori stereotipi campanilistici. quando vivevo in germania, nei negozi di dischi, sotto la categoria “folklore”, si trovavano cori russi, canti tradizionali serbi, percussioni africane… l’ italia era rappresentata da raoul casadei e mario merola, non sto scherzando.

    e poi. le radici hanno un senso, se da li’ si prende il nutrimento per inventare qualcosa di nuovo, che magari riesca a parlare al mondo intero. gli afroamericani, per esempio, partendo dalle loro radici (e dalla loro condizione di sradicamento!), hanno invaso il mondo con la loro musica, e hanno regalato all’ umanita’ i capolavori di john coltrane, mingus, miles davis, ecc.

    noi siamo sicuri di avere ancora qualcosa da dire, non dico al mondo, ma almeno ai tedeschi?

  18. giorgio ha detto:

    Magris magistrale e contro-provocatore. Comunque, anche per me, l’inno di Mameli è un potente lassativo e basta.

  19. Cagoia ha detto:

    X bibliotopa

    Noi siamo da secoli
    calpesti e derisi
    perchè non siam popolo
    perchè siam divisi..
    ( una delle altre strofe dell’Inno di Mameli..)

    Sotto l’Austria no ierimo ne calpesti ne derisi ma a qualchedun ghe fazeva comodo farlo creder. E per quel ga mandà a morir centinaia de migliaia de giovani per “salvarne” … puntandghe i fucili dei carabinieri alle spalle e per far tornar alla “madre patria” una città che non ghe ne ga mai fatto parte.
    Ma che differenza xe tra il mito dell’unità d’Italia e quel dale grande germania o il più recente della grande Serbia?
    Solo che quel del’unità d’italia xe andà a buon fine e visto che chi vinzi una guerra ga anche il “diritto” de scriver la storia, questa xe passada ai posteri come cosa buona e giusta.

    Viva l’A.

  20. Marisa ha detto:

    Vi incollo dal Blog di Gianfranco Pintore (è un giornalista e intellettuale sardo). Ritengo valga la pena di perdere cinque minuti per leggere questo intervento.

    Titolo del POST: Il nervo scoperto dei nazionalisti granditaliani.

    gianfrancopintore
    SABATO 8 AGOSTO 2009

    Il nervo scoperto dei nazionalisti granditaliani.

    La questione delle identità degli ex stati italiani, oggi divisi in regioni non tutte naturali, tocca il nervo scoperto del giacobinismo nazionalista italiano. Lo tocca così dolorosamente da provocare la reazione del meglio della sua cultura, da Ciampi a Ernesto Galli della Loggia a Claudio Magris. Anche nel campo della politica, il giacobinismo si ricompatta saltando a piè pari divisioni di partito e di sensibilità culturali per cui Alessandra Mussolini e Dario Franceschini dicono più o meno le stesse cose.
    È un sintomo, questo, alla vigilia del 150° della cosiddetta Unità d’Italia, della crisi dello Stato nazione, della artificiale e provocata coincidenza, cioè, di Stato e di Nazione. Questo mito è in crisi proprio perché mito, e non basta a salvarlo il fatto che sia fondato su un indottrinamento di sei generazioni di bambini fattisi grandi nell’idea che siano bastate annessioni, plebisciti truccati, conquiste militari a cancellare identità forti come quelle del Lombardo Veneto, del Regno delle due Sicilie, del Granducato di Toscana, e così via elencando.
    La Lega, con la sua grossolana approssimazione, con tutta la sua carica di xenofobia – a volte reale, a volte solo presunta – ha in fondo solo toccato quel nervo scoperto. La sua campagna per i dialetti e la storia locale, quella ultima a favore della costituzionalizzazione delle bandiere regionali e nazionali, indipendentemente dagli esiti legislativi, ha il risultato di segnalare ai cittadini della Repubblica (la cui unità non a caso non è messa in discussione credibilmente) che quasi tutti loro conoscono non la storia di questa parte d’Europa ma le storie di un mito. Non è un caso che il fondamento sardo della nascita del Regno d’Italia sia tenuto nascosto. Così come è nascosto nelle scuole di ogni ordine e grado come andò davvero la questione dei plebisciti, raccontando però della “adesione al regno costituzionale di Vittorio Emanuele decisa da milioni di cittadini con voto universale”, come proclamò Ciampi da Presidente della Repubblica.
    Una cosa davvero diversa da quanto risulta, per esempio, dal racconto di un ambiguo agente segreto sabaudo, tal Curletti, che così raccontò la sua esperienza di inviato a Modena: “Ci eravamo fatti rimettere i registri delle parrocchie per formare le liste degli elettori. Preparammo tutte le schede per le elezioni dei parlamenti locali, come più tardi pel voto dell’annessione. Un picciol numero di elettori si presentarono a prendervi parte: ma, al momento della chiusura delle urne, vi gittavamo le schede, naturalmente in senso piemontese, di quelli che si erano astenuti”.
    Lungi da me avere sentimenti revanscisti o inutilmente recriminatori per come andarono le vicende storiche, le quali, come si sa, non possono essere revocate. Ma rivendicare il diritto di passare dalla costruzione mitica alla conoscenza della storia, questo sì. Capire come e perché le identità si siano perpetuate in Sardegna e in Sicilia, per dire, e debbano essere rispettate e tutelate non significa attentare all’unità della Repubblica, per altro fattibile purché con metodi democratici e pacifici, ma svelare la mitologia dell’Unità d’Italia. Libero, naturalmente, chi preferisce il mito alla storia.
    La palpata energica del nervo scoperto produce effetti prevedibili di arroccamento nel nazionalismo unitarista. E reazioni scomposte che non si limitano, com’è nel diritto di ciascuno, alla “critica dell’identità” ma traboccano nel sarcasmo, nel dileggio e nell’offesa ai contenuti dell’identità. Se non sempre, quasi sempre, all’insegna della mistificazione e del pressapochismo ideologico. Così, nel pur altrimenti attento Gianni Filippini, le bandiere regionali si trasformano in “tanti vessillini locali da far sventolare al posto del simbolo dell’unità nazionale”. Mistificatorio perché nella proposta leghista “i vessillini” sventolerebbero insieme alla bandiera italiana, inutilmente offensivo nei confronti di simboli come i Quattro mori, Trinacria, Leone di San Marco, etc, che hanno storie nobili almeno quanto la bandiera italiana.
    Gettare il ridicolo è il modo scelto anche dall’altrimenti bravo Claudio Magris per lenire il dolore del nervo toccato. Si va dalla baggianata secondo cui, così facendo, le varie regioni espellerebbero dalla propria cultura culture diverse, “Dante e Verga? Non li voglio, Mi son de Trieste” sintetizza un geniale titolista, alla volgarissima irrisione: l’inno di Mameli sostituito da “No go la ciave del portòn”. Così, in una furia grandenazionalista, Magris, definito “erede della grande tradizione culturale triestina”, liquida l’identità triestina. In fondo, non è molto meglio chiamare “vessillino” la bandiera sarda o quella veneta o sudtirolese o anche qualsiasi simbolo un popolo o una popolazione scelga come rappresentazione di sé.
    Ma, in definitiva, la cosiddetta Unità d’Italia questo è: annessione delle identità a una nazione inesistente, nonostante da 150 anni, fatta l’Italia i nazionalisti si sforzino di fare gli italiani, fatto lo Stato vogliano farlo coincidere con una sola nazione.

    PUBBLICATO DA ZUANNE FRANTZISCU A 10.59 2 COMMENTI
    ETICHETTE: CULTURA, POLITICA

  21. Bibliotopa ha detto:

    I calpesti e derisi iera e xe anche adesso i italiani, che ga po una caratteristica tuta sua de autodenigrarse e de sputtanarse de soli, a diferenza de tanti altri. E mi son italiana. E lo iera i mii genitori, nonni e la più parte dei bisnonni, soprattutto soto l’Austria. E lo xe anche Magris, paressi.

  22. Antonio ha detto:

    mi penso che i scrivi sti comenti solo per insempiar la gente….

  23. Rosetta Bolletti ha detto:

    Bella la lettera di Magris, nella sua pacata ironia.
    Stupisce vedere quante persone lo avversino, condividendo la gretta mentalità leghista.
    Non sono nazionalista, ma non mi riconosco in questo modo di sentire.

    Credo comunque che la cosa più importante sarebbe quella di insegnare ai ragazzi a esprimersi correttamente in italiano – cosa per nulla scontata. E di non tagliare i fondi alla scuola pubblica.

  24. lànfur ha detto:

    Fa bene Magris a metterci un po’ di ironia verso l’opportunismo politico della lega. Perchè di quello di tratta.

  25. enrico maria milic ha detto:

    come ho già scritto sul mio blog personale:

    In questo articolo Magris è divertente ma semplicistico…
    Il territorio locale è il nodo dolente della cultura civile in Italia. La Lega pesca nel disertato campo politico delle pratiche sociali locali, spesso ma non sempre riempiendole di razzismo. Sempre più nascosti nel territorio d’Italia non ci sono solo le parlate locali ma anche i più umili e i più deboli. Il regionalismo e il sostegno alle culture tradizionali locali non sono pratiche conservatrici, ma progressiste: sostengono la pluralità delle possibili esperienze umane, non la loro scomparsa.
    Il regionalismo non è un sinonimo di Leghismo o di razzismo. Può ovviamente convivere con l’innovazione, il cambiamento e l’apprezzamento della diversità sociale.

  26. miha ha detto:

    EMM,

    molto bello e azzeccato il tuo testo, davvero.Soprattutto perche’, volontariamente o meno, annuncia malinconicamente il destino segnato delle minoranze/espressioni culturali autoctone (etnico/linguistiche), qualsiasi esse siano.Continuo a credere che il “mediatismo” esasperato nel quale e’ incastonata le nostra contemporaneita’ funga da cassa di risonanza ai stati fascioomogeneizzanti nazionali premoderni e moderni sui quali e’ costruita l’europa oggi.E che questi vostri rigurgiti regionalisti, come altri, siano solo un colpo di coda finale davanti al rullocompressore dell’omogeneizzazione definitiva.
    Cosi’ come, per es.,credo che il refondamentalismo islamico sia una disperata reazione,un estremo tentativo di sfuggire all’emancipazione edonisticoconsumista sul modello occidentale, she sembra se non imminente, sulla buona strada.
    cambiano le geografie e le dinamiche ma il meccanismo resta sempre lo stesso.

    p.s. ho postato qui per pigrizia burocratiaca

  27. lànfur ha detto:

    Cosa si intende per regionalismo?
    Per me è una parola senza senso. Le regioni sono state disegnate nel dopo guerra secondo logiche del tempo. Cosa accomuna un triestino ad un sacilese (corregionali) o un cortinese ad un rovigotto?
    Il merito da ascrivere a Magris è quello di farci capire che tra due vie della stessa città può esserci un abisso.
    Non è quantomeno bizzarra questa discussione alla luce del bell’articolo su Mostar che fa capolino nella prima pagina odierna di bora.la ?

  28. enrico maria milic ha detto:

    miha: pol darse.

    furlàn: io intendo “regionalismo” per quel fenomeno più ampio che non è solo italiano. non lo faccio coincidere per forza con le nostre Regioni (tipo Emilia-Romagna, Fvg o altro).

    ovviamente la tua domanda può essere estesa: cos’ha in comune (non solo) un sacilese (con un triestino ma anche) con un siracusano?
    io penso che a tracciare confini l’uomo è sempre stato bravo.
    so una cosa, anche: che in territori relativamente piccoli, il governo democratico è un po’ più “vero” e sostanziale che in territori che racchiudono 60 milioni di persone. in società più piccole, in altre parole, la gente ha molte più possibilità di confrontarsi sui problemi del luogo dove vivono e della comunità che abitano.
    ovviamente pensare di più al territorio in cui abiti (che può andare bene da rovigno a cortina, che sono luoghi con cui ho familiarietà) non significa non preoccuparsi anche di quanto accade altrove. che sia in abruzzo, o in africa, o sullo stretto di messina, o a bruxelles.

  29. enrico maria milic ha detto:

    p.s.

    non vedo la contraddizione tra l’articolo su mostar e questa discussione.

    i balcani ci hanno insegnato non solo come la diversità culturale possa portare al massacro ma anche come la convivenza possa esistere, per secoli.

    bizzarro poi che il massimo esponente nostrano del transculturalismo, ovvero della mitteleuropa, ovvero claudio magris, oblii con poca onestà intellettuale quelle che sono la potenzialità di inclusione e apertura dei territori locali.

  30. lànfur ha detto:

    Enrico se metto una sbarra mentale tra me e gli sloveni prima o poi quella sbarra diventerà reale. E così fu.

  31. enrico maria milic ha detto:

    furlàn

    ma la realta non è univoca, la storia non ha un solo futuro…

    e penso che noi dobbiamo ricucire quei legami spezzati.

    poi, in concreto, la barra mentale con lo sloveno è proprio il contrario di quello a cui aspiro.

    se c’è un senso delle radici di questo posto dove viviamo è l’assenza centenaria di una barra mentale con lo sloveno presso larghi strati della popolazione locale. fascismi, nazionalismi & co., dopo tutto, non hanno mai messo questa barra nelle menti di molte persone. io sto con quelle persone.

    se c’è un qualche movimento politico a cui mi sento vicino (?), è quello di un regionalismo multiculturale. magris doce(ba)t

  32. lànfur ha detto:

    enrico tu vedi un bicchiere mezzo vuoto quando il 900 friul-venezian-giuliano-istro-dalmata è un vuoto spinto di buone intenzioni di integrazione. Quel mondo a cui aspiri te e altri che frequentano questo blog credo sia bello che ‘defonto’. 😉

  33. lànfur ha detto:

    PS non vorrei essere travisato sul significato del precedente intervento, ma oggi a leggere che tre italiani su quattro del Nord sono favorevoli alle gabbie salariali (chiamatele sbarre o gabbie il significato è quello) mi ha fatto venire una tale tristezza. Io in gabbia ci vedo bene solo lo stato maggiore leghista e Darwin approverebbe.

  34. enrico maria milic ha detto:

    lanfur

    capisco cosa dici
    ma
    ognuno vede il suo, di bicchiere mezzo pieno.
    anche tu difendi qualcosa di poco difendibile e guardiamo ai fatti.
    difendi uno stato nazionale, l’italia, che è il regno delle lobby contrapposte, dei potentati locali contrapposti (mastella-land, bassolino-land, potrei continuare MOLTO a lungo), tutti ultimamente sempre più soggiogati dal potere di grandi media in mano a pochi. e da una parte o dall’altra di questa storia (potentati o grandi media), quanto vince è sempre meno condivisibile. basta dare un’occhiata a un po’ di indicatori socio-economici per vedere che l’italia, così governata, è desintata al fallimento: il consumismo dilaga come fattore identitario egemone a fronte della disgregazione del ceto medio, del baratro del credito, della fine di una ricerca e di una formazione universitaria degne dell’europa del 2009, dei colpi finali ai piccoli produttori e dei piccoli commercianti.
    not in my name.

    bisogna non solo rallentare da questo treno impazzito, ma se possibile scendere e ripartire aggiustando più di qualcosa. le nostre radici sono un’ottima scusa, fondata, per ripensare il nostro ruolo e quello che vogliamo essere.

  35. lànfur ha detto:

    A difendere l’Italia ci pensano altri, non di certo io che ho fatto l’obiettore.
    Se ti immagini che al posto del nazionalismo (etimo ‘nazione’) italiano ci sia il nazionalismo padano, friulano o pan-mittel-europeo, cosa cambia?
    E’ brutto avere sotto al naso il libro aperto sulla pagina giusta ma non riuscire a capire quello che la storia vuole insegnarci.
    Se qualcuno vuole altri sacrari da innalzare, le mie mani non le avrà mai.
    Alla mistica padana preferisco la spazzatura di Napoli.
    La prima puzza di nazionalismo, la seconda puzza e basta.

  36. Julius Franzot ha detto:

    Mi e` piaciuto piu`sopra l´ uso dello imperfetto riferendosi a Magris, che divenne celebre con “Il Mito Asburgico”, in Germania e`conosciuto come “lo storico della Mitteleuropa” (che qui ha un significato diverso da quello austriaco) ed ora abbraccia chitarra e mandolino seguendo la via “obbligata” che una volta invitava gli intellettuali a stare a sinistra (per non essere considerati fascisti) ed ora anche li esorta a tifare per una Italia una e indivisibile (per non essere considerati “rozzi leghisti”). Fino a Pamuk, se volevi essere considerato per il Nobel della letteratura dovevi essere comunista o qualcosa di simile (Grass, Fo, Jelinek…)
    Wes Brot ich eß, des Lied ich sing.

  37. Marisa ha detto:

    gabbie salariali: solo perchè ne ha parlato la Lega tutti a strillare che non si può e non si deve!

    Ma, piaccia o non piaccia, mentre a Milano con 1.200,00 euro si muore di fame, in Calabria si vive dignitosamente. A PARITA’ DI LAVORO ! Vogliamo tenerne conto e far si che un bidello, solo per fare un esempio, di Milano possa avere – grazie alle gabbie salariali – un tenore di vita UGUALE al bidello di Reggio Calabria?

    Può piacere o non piacere, ma il costo della vita non è uguale in tutta Italia. Ed è giusto tenerne conto. Oltretutto le gabbie salariali potrebbero permettere una incentivazione alla industrializzazione del Sud Italia. E ti pare poco!

  38. enrico maria milic ha detto:

    furlàn:

    premesso che ho difficoltà a immaginare “sacrari” che si creeranno in virtù di quello che ho scritto e penso io (ehehehe),

    ho altrettante difficoltà a sentirmi di qualsiasi nazionalità. anzi, non mi sento di nessuna nazionalità. piuttosto, mi sento cittadino di una comunità di un territorio aperto alla pluralità delle culture.

    e certamente non mi sento “padano”
    : )

  39. lànfur ha detto:

    Le gabbie salariali dovrebbero valere anche per chi vive nei salotti dei centri cittadini e chi vive nelle periferie povere?
    Dovrebbero valere anche tra chi abita a Udine e chi abita le zone depresse della montagna carnica?

  40. Bibliotopa ha detto:

    e che ne dite del “rinnegato” Rumiz che sta addirittura viaggiando in Sicilia?

  41. lànfur ha detto:

    Julius: Fino a Pamuk, se volevi essere considerato per il Nobel della letteratura dovevi essere comunista o qualcosa di simile …

    1953 Winston Leonard Spencer Churchill

    1970 Aleksandr Isaevi? Solženicyn

    1987 Joseph Brodsky

    Tutte mosche bianche?

  42. lànfur ha detto:

    Rumiz chi? Quel patriottardo bolscevico filo terrone mangia maccheroni?

  43. lànfur ha detto:

    😉

  44. enrico maria milic ha detto:

    bibliotopa e lanfur

    temo che confondiate una (mia) difesa abbastanza circoscritta del regionalismo mitteleuropeo con le posizioni e l’appartenenza alla lega piuttosto che a qualche movimento xenofobo.

  45. lànfur ha detto:

    enrico se ti conosco abbastanza bene dalle pagine di un blog so che non è il caso tuo. Quindi no problem per quanto mi riguarda.

    Vorrei solo fare un ragionamento più ‘estivo’ e meno ideologico sul regionalismo mitteleuropeo. Vuol dire che ogni regione europea fa da sè? Una vignetta slovena, una austriaca, una istriana, una friulana, una triestina? Una tassazione slovena, una austriaca, una friulana etc.? Andiamo avanti così fino ad arrivare ai diritti individuali? Per me oltre casa rossa, il tagliamento e dopo coccau ci sono esseri umani. 23 coppie di cromosomi (più o meno) ciascuno.

  46. enrico maria milic ha detto:

    ma sono d’accordo che non dobbiamo arrivare a degli eccessi, come quelli che tu descrivi.

    allora,
    come non ci può essere un eccesso nel “micro”, cioè nella costruzione di confini sempre più piccoli,

    così però non ci può essere sempre e comunque una difesa acritica del “macro”: un grande stato nazionale (l’italia) in cui dobbiamo esser per forza tutti uguali; un globo (la terra) in cui dobbiamo consumare tutti le stesse cose nella stessa maniera. e così via dicendo…

  47. brancovig ha detto:

    Ho letto l’articolo di Magris e suggerirei di prenderlo per quello che è: una provocazione.

    In questo ennesimo agosto di delirio (tanto per cambiar) leghista onore a Magris che fa sentire la sua voce, mi piacerebbe sentire un coro più che un solista un tenore anche se di qualità cristallina

    Certo… cerchiamo di superare i concetti di stati nazionali e ragioniamo in un ottica più europea e probabilmente mi sento più a casa a Rijeka che a Paleromo o Udine ma se l’alternativa deve essere un identità regionale mi rifugio con sollievo in quella nazionale che comunque nel bene e nel male rappresenta un percorso storico che dopo tante mattanze ha portato ad un equilibrio.

    E’ ridicolo stiamo con fatica superando il concetto di stati nazione e spostiamo il conflitto a livello di territori regionali che storicamente non esistono.

    L’obiettivo della lega non è culturale (cultura deve essere condivisione ed apertura) ma separazione, steccati, barriere.

    un ultima osservazione visto che parliamo di scuola non dimentichiamoci che le capacità di apprendimento sono limitate e quindi più cose s’insegnano più superficiale sarà la preparazione degli studenti

  48. Marisa ha detto:

    1) “le capacità di apprendimento sono limitate”: proprio sicuro?

    2) le identità regionali FANNO SCHIFO E SONO TUTTE INVENTATE: proprio sicuro? Una invenzione della Lega Nord? Prima del 1991, nascita della Lega Nord, non esistevano forti identità regionali? Mi pare una tesi alquanto difficile da sostenere…..

    3) “mi rifugio con sollievo nell’identità nazionale”: questo spiega i punti 1) e 2).

    E poi perchè l’identità nazionale italiana, notoriamente fasulla, è un valore positivo, mentre le identità storiche millenarie regionali sono un valore negativo? Perchè l’identità nazionale italiana è “apertura” e le identità storiche millenarie di area meno vasta sono “chiusura”?

    Ci sono nervi scoperti dei “nazionalisti granditaliani” che la Lega Nord sa provocare. Perchè non ammetterlo? Perchè non prendere atto che la “nazione Italia” semplicemente non esiste? Perchè non tenerci stretta la nostra Repubblica italiana senza pretendere di cancellare identità storiche millenarie?

  49. LauraFasiolo ha detto:

    Nel clima di diffusa preoccupazione e giustificata sfiducia in un Paese che rischia di sfaldarsi, ci mancherebbe il ricorso agli inni regionali e l’eccesso di enfasi sui localismi…Insegnamo invece ai nostri studenti l’italiano, sempre più povero, smpre più immiserito quanto a lessico, grammatica e sintassi, avviciniamo i giovani al piacere della lettura dei nostri poeti e prosatori e, perchè no, gli studenti imparino pure l’inno nazionale;dovrebbe essere un dovere conoscerlo, come pure dovrebbe essere un dovere conoscere ed apprezzare il valore/i valori della nostra bandiera, la nostra storia, la nostra Costituzione.Ciò non toglie il pieno sostegno alle espressioni del locale. Il friulano, il dialetto goriziano in via di estinzione,quello triestino, la lingua bisiaca, quella gradese di Biaseto… e le loro espressioni culturali, corali, musicali, poetiche, letterarie vanno salvaguardati e valorizzati.E anche insegnati. Come pure, sul piano politico, il perseguimento dell’Illyana euroregione è un work in progress.Credo Magris non sia distante dal questo pensiero.

  50. Sandra ha detto:

    Apprezzo e condivido la sottile ironia di Magris a cui va tutto il mio plauso. Non mi sento nazionalista solo perchè apprezzo di più una lingua comune a tutti, rispetto a mille dialetti che ci dividono e calcano sulle diversità. Sarà perchè i miei genitori erano di regioni diverse fra loro, ed io sono nata in una terza, infine abito in un altra…Non per questo mi sento senza radici, anzi ho ricevuto un po’ da ciascuna delle terre di origine, dalla cultura culinaria a quella letteraria. Quello che penso della questione “dialetti” l’ho espresso qui sul mio blog.
    http://sanper47.blogspot.com/2008_04_01_archive.html

  51. Roberto Fabris ha detto:

    Non capisco come mai Magris non abbia ricordato che l’inno ufficiale di Trieste è il “Viva San Giusto antico e santo” composto da Giuseppe Sinico nel 1854, peraltro cantato sempre senza alcuna contrapposizione all’inno nazionale.
    Per quanto riguarda Bossi e le sue esternazioni, o le archiviamo come battute, oppure affrontiamo il tema dello scarso sentimento di unità nazionale. Ricordo che a Napoli fiorisce un’intensa storiografia, immagino a diffusione soprattutto locale, che inneggia tutt’oggi ai Borboni e al Regno delle Due Sicilie, dove si accusa “la piratesca aggressione garibaldina”, l’”infame politica cavourriana”, e si rende onore a “tutti gli uomini e donne del Regno delle Due Siciliew che sacrificarono la propria vita per un ideale di fedeltà al proprio Re, al proprio paese, alla propria bandiera”.

  52. Marisa ha detto:

    Ciao Sandra,
    mi sono letta il tuo blog. Nulla di nuovo, i soliti argomenti usati dagli italianissimi-patriotti orgogliosi di parlare in italiano purissimo e decisi a rinchiudere in un museo etnografico la registrazione degli ultimi parlanti nelle lingue minoritarie e nei dialetti della lingua italiana. Posso consigliarti un viaggio in Europa? Galles, Catalogna, Occitania, paese Basco, i bretoni in Francia, ecc. Scegli tu a tuo piacimento. Credo tu ne abbia molto bisogno. Esci dal ghetto del tuo nazionalismo italiano. Il multilinguismo è una chiave formidabile di apertura all’altro e la prima lingua non può che essere quella locale. Si proprio quella che tu vorresti richiudere nel folclore e nella tradizione. Poi verrà la lingua statale. E a seguire tutte le altre….

    Una sfida che i patrioti-italianissimi non riescono a capire e cogliere. Magris incluso.

  53. Marisa ha detto:

    E QUESTO E’ IL PARLAMENTO BRITANNICO. Che differenza con questa italietta sciovinista e ipernazionalista…..

    Cornovaglia: progetto di legge per l’autonomia presentato a Westminster.
    ——————-
    Cornualie: progjet di leç pe autonomie presentât a Westminster

    Il deputât liberâl democratic Dan Rogerson al à presentât intal Parlament di Londre un progjet di leç che al ponte ae autonomie de Cornualie. Il test al propon di trasferî al Consei de Cornualie, nassût cualchi mês indaûr de union dai sîs distrets cornics, une schirie di competencis gjavadis in part dal Parlament britanic e in part dai ents e des istituzions locâls. In particolâr, daûr dal progjet, il Consei al varès di cjapâsi sù lis competencis che a rivuardin la educazion, la edilizie abitative, la agriculture, il patrimoni storic e culturâl, e la economie sostignibile. Se il guvier britanic i à ricognossût ae Scozie e al Gales un dirit di autoguvier plui grant par vie des lôr carateristichis storichis e culturâls particolârs – al spieghe Rogerson – alore nol pues dineâ chel stes ancje ae Cornualie, che e rapresente une nazion par so cont dentri dal Ream Unît. La propueste e je stade viodude in maniere positive dal Mebyon Kernow, il partît nazionalist cornic, par vie che e varès di inviâ une discussion su la domande di plui autoguvier che e rive de Cornualie. I nazionaliscj però a cjatin la propueste limitade dal pont di viste dai contignûts e a domandin che la Cornualie e vedi une Assemblee nazionâl sul model galês o, inmò miôr, un Parlament come chel scozês. La propueste di leç e varès di jessi esaminade dal Parlament britanic ai 16 di Otubar.
    Font: This is Cornwall, 13/07/09; BBC, 14/07/09; Món Divers, 28/07/09
    publicât di triku.
    ————

    Non traduco perchè sono certa che non avrete problemi a capire tutto. Del resto cosa ci vuole a capire una dialetto (sic!) contadino senza grammatica e con una sintassi del tubo?

  54. Bibliotopa ha detto:

    **autonomie de Cornualie. **
    ma sarà data in feudo alla Duchessa di Cornovaglia?

  55. abc ha detto:

    Sandra ho letto il tuo blog, che riporta un sacco di imprecisioni.
    Non risulta che si imponga a nessuno di imparare il Friulano, ogni genitore può scegliere liberamente. Non mi pare che nel ’68 abbiate lottato per l’abolizione del latino nelle medie, in quanto si era già provveduto con l’introduzione della scuola media unificata. Non è vero che in quell’anno avete deciso di cambiare lingua nella liturgia delle messe, aveva già operato questa scelta il Concilio Vaticano II. Prima di allora non era contemplato dire le messe nè in friulano nè in italiano o inglese o qualunque altra lingua che non fosse quella latina. Dunque anche l’Italiano e l’Inglese sarebbero per questo secondo il tuo ragionamento dialetti. Ti faccio tuttavia notare che il clero fino a dopo la prima guerra mondiale effettuava le prediche e le confessioni regolarmente in friulano, pure le preghiere si recitavano in tale idioma. Tutto questo succedeva fino a quando non fu imposto di usare in tutto il territorio del regno la sola lingua italiana, sappiamo con quali danni, all’Italia innanzitutto. Ma vedo che pure tu sei in sintonia con quella imposizione, se ti preoccupi perfino che non si usi il Friulano nelle messe. Evidentemente non sei d’accordo che il prete e i fedeli abbiano diritto di scegliere liberamente fra di loro? bella lezione di democrazia la tua.

    Quanto a Magris dimentica un piccolo particolare: Parenzo non si trova nella nostra regione ma due stati più in là.

  56. Marisa ha detto:

    Una informazione che forse a tanti è sfuggita: nel 2010 si rinnova nella regione Veneto il Consiglio regionale e si sceglie il nuovo Presidente di regione. E l’attuale presidente della Regione Veneto si chiama Giancarlo Galan ed è di FORZA ITALIA….

    Sono iniziate le manovre della Lega Nord per ottenere la Presidenza della regione Veneto nel 2010? Ricordo che in Veneto, Lega Nord è sinonimo di LIGA VENETA…..

  57. lànfur ha detto:

    Bibliotopa: o forse al Patriarca di Exeter (pardòn… volevo dire vescovo)

  58. sonia ha detto:

    le guerre inutili…non si è mai parlato tanto di inno ed unità come durante questo governo. Sarà un problema reale o una maniera furba per distogliere il paese dai problemi reali. Si parlasse con altrerttanta partecipazione dell’evasione fiscale…?

  59. Paul Droogo ha detto:

    Trovo sia da sprovveduti la proposta di sostituire a Trieste l’Inno di Mameli, anche e soprattutto in occasione di visite ufficiali (ad esempio del presidente del Consiglio o del ministro per la Semplificazione), con l’Inno «No go le ciave del portòn», triestino doc.
    Senza negare la tiestinità del sunnominato «No go le ciave del portòn», ricordo che a Trieste c’è ben altro da suonare per celebrare la propria identità storica e culturale: il secondo movimento del quartetto d’archi “Imperatore”, capolavoro Op. 76 no.3 di Joseph Haydn (ascolta=http://www.youtube.com/watch?v=NFXRWUicWU0&feature=related).
    Plaudo all’istanza di valorizzare la conoscenza delle espressioni dialettali. Così si potrebbe stabilire da dove salti fuori questo “de tuto la vendeva / fora che bacalà” che a me sa tanto di televisivo, RaiTv doc. Mi andrebbe mglio “fora del bacalà”, dal momento che “fora” dovrebbe reggere “de” e non “che”.

  60. arlon ha detto:

    Concordo su Haydn 😀 ma go paura che semo 4 gati.
    La ciave del porton xe sai più populista, ah! (e quindi più adata al strampalado discorso de Magris)

  61. Erika ha detto:

    Grande Magris! Leggere poi i commenti di questi intellettualoidi di sinistra buoni solo a denigrare il proprio Paese, mi mettono solo tristezza…

  62. effebi ha detto:

    Che bel, in Italia gavemo proprio de tuto, anche el Partito Dei Antitaliani. Saria ora che i se trovi un rappresentante e che i se presenti alle elezioni inveze de andar sparsi per i forum a pianzotar a causa dele vessazioni cui i vien giornalmete sotoposti dal “oppressore italico”

    Evviva Magris, “novello san paolo folgorato” e dissociato dal PDA

  63. salvo ha detto:

    magris ma quante cazzate scrivi, ma chi ti credi d’essere, ma quanto intell..ettuale sei?
    ma vai a giocare con marrazzo!

  64. Gulp ha detto:

    Mi so solo che anche sui nomi dei pesci ghe ze stado un nugolo de interventi per dir che noi semo a casa nostra. Solo che tuto se ga fermà quando un ga scrito chi che ga fato quela legge. La coda de paja la ze vignuda fora subito.

  65. massimiliano ha detto:

    magris è uno dei rari pensatori intellettuali non inquinati da ideologie politiche e da favori da rendere a partiti o gruppi.
    sposo totalmente le sue tesi. questo anche per la straordinaria sensibilità e capacità nel descrivere sensazioni ed esperienze, veicolandole attraverso la scrittura a tratti affabulatoria.
    pochi intellettuali dei nostri tempi possiedono questa capacità di tradurre in letteratura o in musica certe sensazioni.
    magris, assieme a gino d’eliso, è uno di questi.

  66. LUCIO ha detto:

    Qualche volta penso che sarìa meio cantar ancora Serbdiòla.

  67. Sergio Sozi ha detto:

    Il professor Magris ha scritto quel che penso io. Senza paragonarmi, eh, sia chiaro…

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