24 Marzo 2009

Germania e Italia: sorelle così diverse

Germania e Italia hanno avuto fino alla fine della II Guerra Mondiale una storia comune: l’unificazione sotto monarchie illuminate, responsabili dell’industrializzazione delle rispettive nazioni; la I Guerra Mondiale vinta dall’Italia e persa dalla Prussia, da cui però nessuna delle due nazioni si riprese; la consegna del potere ai totalitarismi, prima di Mussolini e poi di Hitler, da parte di governi postbellici deboli, inetti e incapaci; la II Guerra Mondiale con la sofferenza delle popolazioni, i milioni di morti e le deportazioni; il piano di aiuti Marshall.

Ed ecco qui l’ultimo momento del destino comune di Italia e Germania (escludendo forse il periodo della lotta al terrorismo): entrambe le democrazie nascenti ricevono una quasi pari iniezione di prestito dagli Stati Uniti per la ricostruzione (1.2 miliardi USD all’Italia e 1.4 miliardi USD alla Germania seconde solo agli aiuti forniti a Gran Bretagna e Francia).

Virtualmente da qui in poi Italia e Germania hanno le stesse chance di fronte a loro, potenzialmente lo stesso futuro a disposizione, hanno le stesse possibilità di far fruttare il proprio futuro.

Perché allora la Germania è anche durante questa crisi il traino d’Europa mentre l’Italia rientra tra i PIGS, ossia tra le nazioni EU-24 con performance economiche così preoccupanti da rischiare la fuoriuscita dal sistema Europa?

Mi vengono in testa alcune argomentazioni da uomo della strada che giustifichino le scarse performance dell’Italia: Sud, immigrati, sindacati, stato assistenzialista. Eppure la Germania continua ad avere il suo Sud nell’ex DDR, che costa allo stato tedesco più di 100 miliardi EUR all’anno – ma lo trasforma in una opportunità per costruire grandi opere per lo sviluppo della nazione. Gli immigrati contano ben il 17% della popolazione e trovano profitto a registrarsi con permessi di soggiorno e a fornire lavoro per la nazione tedesca. L’IG-Metall è il sindacato (nei fatti unico) interlocutore rispettato durante tutte le contrattazioni nel comparto metalmeccanico, qui nessuno oserebbe mettere in dubbio la sua funzione. L’assistenzialismo, come descritto nel mio precedente articolo, è quasi da stato socialista più che sociale.

Eppure la macchina tedesca continua a reggere anche nei tempi di crisi, pur essendo così dipendente dagli export, pur essendo gli stipendi in media elevati e pur dovendosi scontrare con scandali e truffe come in ogni democrazia mondiale.

Come mai allora la Germania è così “avanti”? Ci ho pensato un poco sopra e sono giunto a una semplice ed elementare conclusione: si tratta della classe dirigente politica e industriale tedesca che ama la propria nazione, è responsabile e orgogliosa del compito che riveste, ha un senso etico e sociale del proprio lavoro. Qui in Germania nessuno si sognerebbe di dire “Fare il cancelliere mi fa schifo” e se lo facesse, non sarebbe rieletto; l’ex Cancelliere Helmut Kohl dovette rinunciare alla carica di presidente del CDU dopo un (ridicolo) scandalo delle tangenti. L’interesse della nazione coincide con quello del politico e con quello dell’industriale. Truffe avvenute in casa VW, Deutsche Bahn, manovre spericolate perpetrate in casa Schäffler-Continental sono state risolte con l’allontanamento dei responsabili dai loro incarichi.

Robert Bosch, il più grande industriale al mondo nel settore dei componenti elettronici ed elettrici, disse “Ich zahle nicht gute Löhne, weil ich viel Geld habe, sondern ich habe viel Geld, weil ich gute Löhne bezahle“ ossia “Non pago buoni stipendi perché ho molti soldi, ma ho molti soldi perché pago buoni stipendi”. Quale industriale italiano potrebbe permettersi una simile affermazione?

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27 commenti a Germania e Italia: sorelle così diverse

  1. Marisa ha detto:

    “L’unificazione sotto MONARCHIE ILLUMINATE”? I Savoia ILLUMINATI?

    Questa poi è grandiosa……

  2. Julius Franzot ha detto:

    Un paio di appunti da Berlino sull`ottimo articolo di “comparazione”.

    1. Ora la Germania ha uno stato sociale fortemente ridimensionato dall`Agenda 2010 di Schröder, che poteva essere adatta ad un periodo di espansione, ma ora, nella crisi, mostra i suoi limiti. Si era tentato di favorire il “secondo mercato” del lavoro, quello dei precari e dei minijobs, ma si assiste ora ad una massa di persone che avevano creduto che nella libera impresa, anche in una “Ich-AG”, ci fosse la possibilita di ricavarsi una nicchia. Ebbene, quelle famiglie (qualche milione di persone) sono ora disperate perche la IG (non solo “Metall”) non si occupa di chi non e all`interno di una grande ditta. L`unico altro sindacato rilevante, ver.di, longa manus di “Die Linke” si dedica proprio a loro, con un piano teso ad alzare il sussidio sociale a ca. 470 Euro/mese ed ad eliminare i meccanismi burocratici di controllo da poco introdotti, che mettono a rischio l`esistenza di chi non puo o non sa andare in giudizio. Certo, rispetto all`Italia e un altro mondo, come garanzia di sopravvivenza, ma il cittadino comune si aspetta, anche se perde il posto, di essere in grado di “partecipare alla vita culturale e sociale”, cosa che con l`attuale sussidio non e possibile. In Germania e fortemente radicata la consapevolezza di “vita degna di essere vissuta”, come si trova nel primo articolo della Costituzione “Die Würde der Menschen ist unantastbar” (la dignita degli uomini e intoccabile).

    2. Sto partecipando ad una serie di incontri politici organizzati al riparo della stampa per discutere le vie d`uscita dalla crisi, che e l`argomento dominante al momento. Ebbene, senza scendere in particolari che non posso divulgare, il concetto di base, su cui c`e un consenso trasversale, e una via alternativa a capitalismo e comunismo, con uno Stato forte ed una drammatica diminuzione del “secondo mercato” del lavoro. Una proposta molto quotata e quella di assicurare ai disoccupati un posto in strutture statali addette ai servizi di prima necessita, come salute, ambiente e…cultura. Inoltre esiste anche un consenso sul fatto che a medio-lungo termine lo sviluppo dovra rallentare, il reddito da capitale (impresa compresa) si aggirera sul 2-4% (“ieri” 10-15%), e sara messa in moto una riforma di tipo Keynesiano, tesa ad incrementare la domanda interna per diminuire la dipendenza dall`export. Tutti i partiti concordano che la globalizzazione e o necessaria, o almeno inarrestabile e deve essere vista come uno stimolo, non come un ostacolo. Pero` la globalizzazione del futuro dovra tenere conto della necessaria conversione delle fonti energetiche, uscendo dalle energie fossili e concentrando risorse sulla ricerca di energie rinnovabili. Sul nucleare come alternativa pare non si sia nessun consenso, anzi…

    3. Infine l`Unione Europea. Unanime la critica a come funziona oggi, ma altrettanto unanime la percezione che si tratti di un processo irreversibile, che deve trovare la sua stabilizzazione in una riforma dei criteri di Maastricht, troppo aderenti ad una visione liberistica (“Raubtier-Kapitalismus”), che gli ultimi sviluppi non consentono di accettare per il futuro. Divisi invece i partiti sul Trattato di Lisbona, che potrebbe entrare come argomento forte in campagna elettorale.

    In tutte le discussioni ho trovato una differenza fondamentale rispetto a quelle che conosco (meno di quelle tedesche) in Italia o Austria: non si parla mai di persone e di posti, solo ed esclusivamente di programmi. Chi poi sara a metterli in pratica, e secondario. Ovviamente ci sono eccezioni, ma di minore entita, per esempio quando si tenta di smontare un partito minore trovando precedenti poco edificanti (secondo l`opinione mediatica ortodossa) in gruppi (mai in singoli) di suoi funzionari. Esempio attuale e la ricerca di ex-estremisti di destra nella Freie Wählerliste (o come si chiama) di Gabriele Pauli, colpevole di aver fatto cadere Stoiber e pertanto sotto pressione. Pero, ripeto, sono eccezioni, che in genere servono a ricondurre movimenti di protesta nell`
    alveo (secondo me obsoleto) del sistema derivato da Adenauer (2 pertiti grandi che si alternano ed uno piccolo per fare da ago della bilancia). Penso pero che questo sistema ormai sia solo una questione generazionale: non e piu credibile in presenza di un` SPD in forte dissidio interno (ammettere o no Die Linke al governo federale) e di una Union (CDU/CSU) in cui Merkel sta sorpassando a sinistra l`SPD, pur dichiarando di volere come partner l`FDP di Westerwelle, additata come il partito dei banchieri senza scrupoli.
    La base dell` Union considera Merkel ormai come una persona ossessionata dall` idea di doversi far rieleggere (come Kohl e Schröder), costi quello che costi. Io non condivido questa critica, credo invece che Merkel stia facendo il possibile (tenendo conto di che tipo di gente la vota) per uscire dalla crisi prima possibile e far tornare tutto come ai bei tempi. Illusa si`, in malafede no.

  3. Giorgio Ciaravolo ha detto:

    @ Marisa:
    Cara Marisa, ti ringrazio del commento e perdonami, può essere che qualcosa mi sfugga, dato che non sono uno storico; tuttavia lungi da me essere monarchico!
    Non mi riferisco naturalmente nè al debole Vittorio Emanuele III, nè tanto meno ai terribili discendenti odierni Vittorio Emanuele di Savoia ed Emanuele Filiberto. Inoltre riguardo alla parola “illuminato” ho riflettuto a lungo se utilizzarla o meno.
    La definizione a mio parere è appropriata a descrivere Vittorio Emanuele II, “co-fautore” dell’Unità d’Italia. Secondo me bisogna contestualizzare “l’essere illuminati” nell’epoca in cui Vittorio Emanuele viveva.
    Il monarca seppe:
    1. dare impulso all’Unità d’Italia (senza questo l’Italia sarebbe rimasta anche nel Novecento terra di conquista) grazie anche a quello che oggi si direbbe una “squadra” di personalità moderne tra i quali Cavour e Garibaldi.
    2. incluse nel nuovo Regno anche lo Stato Pontificio, nonostante il veto francese, anche affrontando la scomunica
    3. diede impulso all’Industria (almeno nel Nord – da dove comunque provenivano gli industriali dell’epoca)
    Ti prego di indicarmi i motivi del tuo dissenso.
    Cordialmente,
    Giorgio

    @ Dott.Franzot
    Per la seconda volta la ringrazio per la sua risposta, che arricchisce i miei modesti articoli con approfondimenti competenti ed attuali. Ovviamente condivido il suo articolo di risposta. È un piacere avviare dibattiti con interlocutori come lei. (Alla prossima!)

  4. Marisa ha detto:

    Scusa Giorgio, ma mi risulta che le così tre chiamate “guerra di indipendenza” furono – per l’esercito piemontose – un insuccesso dietro l’altro e l’Unità d’Italia fu un “colpo di fortuna”.
    E non credo che il Sud d’Italia sia gran che d’accordo con te sul “governo illuminato” dei Savoia. Anzi. Mi risulta, ma può essere che mi sbagli, che il Ministro Cavour voleva solo il Nord di Italia, mai e poi mai il centro e il Sud Italia. Garibaldi…..è diventato una leggenda. Ma come tutte le leggende c’è parte di vero e parte di inventato.

  5. Armando ha detto:

    Gentilissimo Dott. Franzot,

    articolo molto interessante. Aggiungerei solo un’osservazione, ovvero che fra persone “illuminate”, cioè prive di pregiudizi ideologici, si può tranquillamente riconoscere che la globalizzazione è stata un insuccesso sotto quasi tutti i profili.
    L’aspetto che più preoccupa non è neanche quello del fallimento economico del progetto (l’economia mondo globalizzata cresce meno rispetto all’economia mondo caratterizzata dagli stati interventisti; i paesi che non sono stati messi sotto tutela dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale crescono, gli altri sono rimasti al palo) ma l’instabilità che si è venuta a creare di riflesso sia a livello di istituzioni che di tenuta generale degli stati.
    Il discorso sarebbe lungo da fare; io non sono comunque ottimista.
    Leggo la situazione attuale come l’inadeguatezza di una classe dirigente, anche se – riferendomi almeno all’Italia – non si può neanche parlare di classe dirigente.

  6. Giorgio Ciaravolo ha detto:

    @Marisa
    Cara Marisa,
    vorrei fare innanzitutto un passo indietro: la definizione “monarchie illuminate” si limita al fatto che sia Vittorio Emanuele II / Cavour (li chiamiamo da adesso VE/C ?) che Wilhelm I / Bismark promossero l’unificazione e l’industrializzazione dei rispettivi paesi. Il confronto, peralrto piuttosto didattico (ho trovato l’acqua calda), era funzionale a trovare un percorso parallelo Italia/Germania e a presentare le mie argomentazioni sulle differenze sulla gestione della cosa pubblica nei rispettivi paesi. Niente di più. Francamente non mi sarei aspettato di trovarmi a discutere su questioni storiche che darei per assodate.
    In particolare non concordo affatto con i tuoi argomenti e credo che ci sia un poco di confusione:
    1. che la prima guerra di indipendenza non fosse stata un successo, lo dimostra il fatto che ce ne fu una seconda e una terza (per definizione). La causa della sconfitta fu la differenza delle forze in campo (il piccolo Regno di Sardegna contro l’impero Austriaco) e il fatto, non trascurabile, che gli alleati Papa e Borboni telarono per motivi politici/strategici. La seconda guerra di indipendenza dimostrò le capacità diplomantiche di VE/C, le quali spinsero a combattere una guerra per l’Italia inutile (ricordi, Crimea?) ma funzionale a trovare alleati contro l’Austria; si concluse senza la conquista del Centro-Sud. Da cui la terza conclusasi con l’Unità d’Italia
    2. Pertanto l’Unità d’Italia non fu un colpo di fortuna, ma al contrario, cercata e desiderata da VE/C. La storia lo dimostra. Che Davide abbia sconfitto Golia fu un gioiello di diplomazia. E poi, Marisa: non mi è chiaro quale tesi tu voglia dimostrare, demolendo l’Unità d’Italia…
    3. Non mi pare che qualcuno della mia famiglia o dei vari amici provenienti dal Sud Italia abbia mai avuto nostalgie borboniche. Estendendo: nel Sud il Fascismo, la DC e (oggi) AN/FI=PdL hanno avuto parecchio presa, al contrario della “Lega Sud”. Se in Sud Italia ci fossero tali risentimenti, non trovi che un movimento indipendista avrebbe più presa? Inoltre la questione meridionale è iniziata con i Borboni, così come anche il Brigantaggio (la versione Beta della Mafia). Ma qui usciamo completamente dal tema da me presentato e, ripeto, il tema era cofronto Germania/Italia.
    4. L’attacco a Cavour e Garibaldi mi sembrano pertanto del tutto strumentali e non giustificati da dati storici: Cavour si concentrò sul Nord all’inizio, considerando i mezzi a disposizione al Regno di Sardegna (avevano anche loro un budget e un piano economico) e sperando di estendere successivamente le vittorie al centro-sud; su Garibaldi non capisco la tua critica e onestamente mi sembra un bello sparare a caso sulla storia. Di libri su Garibaldi, scritti da storici, ce n’è una bizzeffa.
    Cordialmente,
    Giorgio

    @Armando
    Gentile Armando,
    (oggi passerò per contestatore) non concordo (purtroppo neanche) con la tua tesi:
    1. la globalizzazione non è un progetto bensì una denominazione data alla situazione (odierna) di scambi commerciali, economici e culturali a livello planetario. L’economia globale è anche un dato di fatto, anche indipendente dall’applicazione di politiche liberiste o protezioniste (che sono il metodo per affrontare questo dato di fatto). In tempi brevi e finchè le risorse energetiche lo consentiranno (senza la “trasmissione”, la globalizzazione non esiste), la globalizzazione sarà la realtà mondiale. Credo addirittura finchè camperemo.
    2. la globalizzazione estende a livello mondiale i problemi locali: una recessione o una depressione si estende a tutti e non solo al singolo paese. Sarebbe come a dire che la democrazia (che non è la descrizione di un fenomeno ma la denominazione che descrive un metodo di gestione di nazioni e regioni) abbia fallito perchè c’è la recessione.
    3. La globalizzazione sta consentendo finora dinamiche di compensazione (ad es.: Cina presta soldi a USA) impensabili in tempi precedenti
    CONCORDO:
    1. la gestione della globalizzazione da parte della classe dirigente mondiale è stata a lungo pessima e insufficiente (ma da qualche parte bisogna imparare, no?)
    2. classe dirigente in Italia? Condivido pienamente
    3. sono anche io ottimista: dopo ogni recessione arriva una crescita, ma questo lo dice l’economia e non io!
    Cordialmente
    Giorgio

  7. enrico maria milic ha detto:

    perdonate marisa

    di qualsiasi argomento si parli, di casalinghe, marziani, del piero o savoia
    lei deve infilarci dentro il suo nazionalismo friulano e bastonare tutti quelli che non parlano di casalinghe friulane, la minoranza friulana su marte, le origini friulane di del piero, l’oppressione delle minoranze culturali da parte dei savoia, ecc.

  8. Luigi ha detto:

    La minoranza friulana su marte! :-)))))

  9. Marko Germani ha detto:

    Secondo me, i Savoia non sono mai stati illuminati. Ciò non toglie che dal tardo medio evo e avanti fino al 19o secolo si siano visti notevoli paralleli tra le storie dei due Paesi in termini di “spezzatino” di Comuni, presa di coscienza romanticistica e conseguente unificazione. Forse, più che mettere in parallelo i re, si dovrebbero mettere in parallelo Bismarck e Cavour.

    Differenze tra i due Paesi? Perché la Germania è locomotiva mentre l’Italia è il carro bestiame? Io un’illuminazione l’ho avuta un giorno sull’autobus a Friedrichshafen. Un giovanotto era salito con delle cuffie a volume troppo alto, disturbando i passeggeri. Ebbene, non uno, ma praticamente tutti i passeggeri si sono messi a rompergli le scatole finché non ha abbassato il volume. Insomma, in Germania è imperativo farsi gli affari altrui, e chi rompe le scatole per un diritto comune viene supportato dagli altri, dalla comunità. Esattamente l’opposto di quello che succede “qui”, dove uno può venir ammazzato in pieno centro senza che si trovino testimoni, o, più in piccolo, dove, se uno parcheggia in seconda fila, non troverà nessuno con il coraggio di dirgli che “In Italia abbiamo delle regole da rispettare” (Giorgio sa di cosa parlo ;-). E’ questa base è poi la fonte della classe dirigente che, come dice Giorgio, ama il suo Paese: una classe dirigente che non può “fregarsene”, perché ci sono gli “altri”, i semplici cittadini, che gli staranno col fiato sul collo. In altre parole l’impegno civile, in Germania, viene insegnato fin da piccoli: se da un lato questo impegno provoca scenette deliranti (a quando un post sul riciclaggio dei rifiuti, Giorgio? LOL) dall’altro garantisce uno Stato che è ben più di un mero raccoglitore di tasse e dispensatore di servizi minimi: diventa un’entità rispettata, un simbolo di società e condivisione.

    Per finire, due parole sul bellissimo commento di Julius: sono contento che qualcuno “lassù” stia realizzando che il precariato non è una soluzione. Però mi chiedo come faremo a convicere una Marcegaglia che ci voglia “uno Stato forte ed una drammatica diminuzione del “secondo mercato” del lavoro”. Sta a vedere che ha ragione Grillo a chiedere un secondo ammassamento di truppe al Brennero… 🙂

  10. Marisa ha detto:

    Enrico maria Milic- ?????????????????
    Che cavolate scrivi? Cosa c’entra il discorso “minoranze”? Dove ho scritto la parola “minoranze”?

    Sei del tutto fuori!

  11. julius Franzot ha detto:

    @iorgio e Armando. Scusate se vi do del tu, ma altrimenti dovrei formulare 2 risposte. Iopenso che la globalizzazione sia soloil frutto della creazione di nuove tecnologie, che permettono di comunicare in tempo reale con chiunque, sono difficili da controllare e permettono di acquistare, vendere, purtroppo anche speculare, 24 ore al giorno. Non so quantaparte abbiano avuto le tecnologie nel superamento della logica dei blocchi ma, accanto a Gorbatchow, Woytila egli operai di Danzica alla fame, certamente anche questi nostri tasti hanno agevolato l` impensabile.
    Percio`io non vedo la possibilita di uscire (“auschecken”) dalla globalizzazione, come non possiamo uscire dal cambio di clima e dal cellulare. L`alternativa, che credo quasi tutti condannano sarebbeilprotezionismo spinto, ma richiederebbe un accordo tra un numero sufficiente di paesiper essere messo in pratica. Il blocco sovietico ci aveva tentato, aveva provato a costruire un` autarchia tra Paesi che miravano ad abolire il denaro, pero l`avidita umana (Intershop) e le pessime prestazioni lavorative di chi riceveva 1000 M al mese, sia che lavorasse bene o che stesse in coda a comperare banane, portarono ad accumuli di valuta nelle mani di pochi ed al fallimento della programmazione economica, che costrinse a far entrare altri USD nel “paradiso comunista”.
    Quindi credo di poter affermare che l`unica possibilitaconcreta che abbiamo tutti noi e di adattarci alla globalizzazione e trovarein tempi brevi una “geometria non euclidea” che ci permetta di proseguire la storia dell`umanita buttando a mare leideologie passate (comunismo, fascismo, capitalismo), che non servono, quando due rette si possono incontrare in piu di un punto.

  12. julius Franzot ha detto:

    @ Marko. Nell`incontro a cui ho assistito mercoledi c`era appunto una sessione in cui non si parlava di “come convincere” di certe cose i tipi Marcegaglia, ma si rifletteva su come fornire un training accelerato agli economisti keynesiani giovani che in un paio d`anni siederanno ai posti di potere (che sara molto minore di quello attuale) nell`industria. Per le banche si parla di molto meno tempo per la sostituzione totale.

  13. Armando ha detto:

    Caro Giorgio,

    non vorrei sembrare tranchant – è la necessità di essere sintetici – ma la globalizzazione non è un dato di fatto, ma un progetto politico economico, che alcuni paesi hanno imposto ad altri, o per lo meno, che molti paesi hanno subito senza sapere a cosa andavano incontro.
    Questa non è la mia opinione, ma la realtà storica.
    Mi viene in mente un lavoro dell’economista di Harvard, Dani Rodrik, il quale già nel 1994 si chiedeva (retoricamente), come mai ci fosse una corsa al libero scambio nei paesi in via di sviluppo (The Rush to Free Trade in the Developing World: Why so Late? Why Now? Will It Last?”). Già questa semplice indagine mostrava che nessuno di questi paesi avesse adottato provvedimenti di apertura agli scambi di sua spontanea volontà. NEL 100% DEI CASI si trattava di paesi in seria crisi economica a cui il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, accanto a provvedimenti finalizzati alla stabilizzazione macroeconomica, imponeva misure che spingevano verso l’apertura economica.
    A presciendere dal fatto che si ritengano queste politiche positive o negative, il dato di fatto è che tali politiche sono state imposte e che oggi ci si trova in un mondo che funziona secondo regole differenti da quelle che erano in vigore precedentemente.
    Quando si affrontano certi argomenti si deve andare alle fonti perché l’informazione è sistematicamente distorta.
    Per esempio, su Affari e Finanza del 16 febbraio leggo nel fondo firmato da Massimo Giannini che l’economia mondiale ha avuto un tasso di crescita stabile annuo del 5% a partire dal 1990.
    Da dove ha preso questo dato? Da nessuna parte. Se lo è inventato.
    Il tasso di crescita dal 1990 al 2006 è del 3,5% annuo.
    Dal 1974 al 1990 era del 3,2% annuo.
    Dal 1958 al 1974, quando TUTTO ANDAVA MALE, quando i paesi in via di sviluppo avevano deciso di fare da soli ed erano precipitati nel gorgo della corruzione, quando nei paesi occidentali i sindacati dettavano legge e castravano ogni minima libertà economica, il tasso di crescita era molto vicino a quel 5% che Giannini si è inventato, cioè il 4,8%.
    Ma quanti lo sanno?

  14. Giorgio Ciaravolo ha detto:

    Buona sera Armando, Julius (andiamo col “tu” allora) e Marko!
    Grazie della gentile risposta e del contributo alla discussione! (mi piace: siamo in piena civile dialettica democratica, un lusso al giorno d’oggi!!!).

    Io mi trovo sulla stessa linea di Julius. Magari sarà perchè io credo più alla tecnica più che all’economia e che quindi tendo a leggere gli eventi in chiave del progresso tecnologico.

    A mio parere le due tesi sulla globalizzazione come “progetto politico” e come “frutto della creazione di nuove tecnologie” sono inconciliabili e corrispondono a due diverse visioni del mondo.

    La tesi “progetto politico” rispecchia, sempre a mio parere, una visione del mondo pessimista nella quale il comune mortale non ha il controllo del proprio futuro, dove trame sotterranee e complotti massonici dirigono il mondo al fine di raggiungere il potere e opprimere i più deboli. Si è invece visto che i “cattivi” siano semplicemente furbetti di quartiere, degli incompetenti che cavalcano l’onda (i vari Cheney, Rumsfeld, Rice e Bush, ma anche buona parte dei nostri politici) e che tirano a campare.
    La tesi del “progetto politico” implicherebbe che anche la rivoluzione industriale sia stata un progetto politico; non fu così, ma fu la conseguenza di una serie di conoscenze tecnologiche acquisite che rivoluzionò il modo di vivere dell’epoca (e cancellò definitivamente le monarchie). Alla fin fine siamo nel mezzo di in una rivoluzione tecnologica non ancora conclusa.

    La tesi “tecnologica” assume che gli scambi globali siano una conseguenza di una tecnologia e che l’unico sistema per riuscire a gestire questa globalizzazione è quello di padroneggiare la tecnologia che l’ha generata.
    Non penso che il fatto che tu ed io trasmettiamo lettere a 800km di distanza pressocchè istantaneamente sia da ascrivere ad un progetto politico economico; al contrario sia dovuto all’esistenza di internet, prodotto sfuggito un tantinello di mano all’esercito americano.

    Una semplice dimostrazione della tesi “tecnologica” è il fatto che, ad esempio, il Giappone sia stato uno degli stati più protezionisiti negli ultimi anni e che questo non abbia impedito di avere la più potente e diffusa marca automobilistica del mondo, la Toyota: il metodo di gestione protezionista non ha impedito al Giappone di essere global player, perchè la globalizzazione dipende dalla tecnologia e non dal metodo. Questo per non parlare della Cina.

    Cambia il metodo, puoi rimanere globale. Togli la tecnologia (come ha detto Julius, internet – io aggiungerei nello specifico i mezzi di trasporto e la logistica – per questo ho parlato di risorse energetiche) e non avrai alcuna chance di rimanere globale.

    Cordialmente
    Giorgio

  15. Armando ha detto:

    Caro Julius,

    scusa se anch’io ti do del tu ma penso che siamo più o meno coetanei.

    Rispondendo alle tue osservazioni, non posso che ribadire quanto detto sopra.

    Il sistema economico in vigore fino agli anni ’70 era un sistema dove gli scambi commerciali erano già piuttosto consistenti ma erano comunque al servizio di specifiche politiche portate avanti dagli stati.

    Esistevano quindi le barriere tariffarie, come parte di precise politiche che potevano essere modificate quando i diversi partner commerciali lo ritenevano conveniente. Giusto o sbagliato che fosse, quel sistema è sempre stato quello dominante in tutta la storia dell’umanità.

    E’ solo di recente che si è imposta l’idea che il free trade sia una condizione naturale dell’uomo. Ma non è così.

    La storia dice che a partire da un certo periodo storico, su iniziativa a pressione di alcuni paesi e alcune realtà economiche, gli ostacoli alla circolazione delle merci e al libero movimento dei capitali sono state progressivamente ridotte fino, in certi casi, al loro completo smantellamento.

    La questione della tecnologia non c’entra. Anzi, è esattamente l’opposto.

    Se in un contesto non globalizzato un paese in via di sviluppo avesse voluto copiare una tecnologia adottata in un altro paese più avanzato, avrebbe potuto farlo. Oggi non è più possibile.

    La stessa ideologia che ha imposto la globalizzazione e la fine dello stato come condizioni naturali dell’umanità, ha anche proibitro per i paesi poveri la possibilità di fabbricarsi da sé i farmaci anti Aids o altri salvavita.

    Tu parli di buttare a mare le idologie passate, ma a me pare che le idologie non sono mai state così forti come oggi. Solo che ne è rimasta in piedi una sola.

    Che la si voglia chiamare “pensiero unico”, “neoliberismo” o, più semplicemente, l’andazzo vecchio come il mondo della classe al potere che giustifica il suo dominio fabbricando ogni volta un sistema di pensiero che la renda necessaria e insostituibile.

    Anche questa volta, hanno promesso l’Eldorado. Ma non si può dire che hanno fallito, perché l’Elorado, loro, lo hanno effettivamente conquistato.

  16. Armando ha detto:

    Scusa Giorgio,

    ma la tua tesi non ha alcun fondamento reale.

    La globalizzazione c’è perché gli ostacoli che prima limitavano la circolazione delle merci e i movimenti di capitali sono stati rimossi.

    Prima c’era un sistema che funzionava con quei freni, poi si è passati a un sistema nel quale tali frizioni sono state quasi del tutto eliminate.

    La globalizzazione è il passaggio a questo nuovo sistema. Non mi sembra un concetto così strano. E’ la realtà.

    Prima c’erano delle regole scritte. Ci si è seduti attorno a un tavolo e si sono scritte nuove regole.
    La WTO funziona in base a degli accordi e a un organismo che li fa rispettare.

    Se prima c’era una barriera tariffaria del 50% e questa barriera aveva lo scopo di proteggere un particolare settore industriale che veniva considerato strategico, adesso questa politica non viene più permessa. Ed è solo uno dei 100 esempi che si possono fare.

    Ma è un esempio importante, perché è così che i paesi che un tempo erano arretrati si sono messi al passo con i paesi ricchi.

    Tu hai fatto l’esempio del Giappone, che è proprio uno di questi paesim, ma ne hai stravolto il senso, perché sembri affarmare che il Giappone sia riuscito a sviluppare una grande industria automobilistica nonostante il protezionismo.

    Invece la storia ha insegnato che il Giappone è riuscito a sviluppare una grande industria automobilistica GRAZIE al protezionismo.

    Il Giappone decise di dotarsi di una sua industria automobilistica nel 1933. Ci mise 25 anni per arrivare a esportare all’estero. E il primo tentativo fu un colossale fallimento. Allora nessuno avrebbe puntato un soldo sulla capacità dei giapponesi di poter avere successo in questo campo.

    Poi si è visto come è andata.

    Oggi è difficile pensare che paesi di dimensioni analoghe o minori del Giappone riescano a replicare il successo nipponico. Le nuove regole della globalizzazione – almeno questo è il parere, circostanziato e motivato, di molti – non lo permettono.

    Che le attuali regole della globalizzazione siano svantaggiose per molti dei paesi più poveri non dovrebbe soprendere più di tanto. Visto che le nuove regole non le hanno scritte loro. Le abbiamo scritte noi.

  17. enrico maria milic ha detto:

    forse potreste contemplare
    che la globalizzazione sia frutto sia di un progetto politico-economico che delle nuove condizioni e potenzialità offerte dalla tecnologia…

    no eh?

  18. Armando ha detto:

    Non vorrei insistere fino ad apparire noioso, ma le merci a basso prezzo dall’Asia c’erano anche prima.
    Mi ricordo che negli anni ’70 quando volevano produrre delle magliette promozionali le facevano produrre a Hong-Kong.
    Se volevi comprare delle azioni a Wall Street la tecnologia te lo consentiva anche alla fine del XIX secolo, cioè ben più di 100 anni fa.
    Il problema è lo puoi fare o no?
    Prima c’erano delle limitazioni.
    Oggi queste limitazioni sono state (quasi tutte) tolte.
    Certo, la tecnologia oggi consente a un privato di muovere il suo denaro standosene comodamente seduto a casa propria o addirittura a passeggio nel parco.
    Ma quanto contano, sul totale, i movimenti di capitale operati dai privati? 1%? 2%? Non di più.
    Tutto il resto viene gestito da investitori istituzionali che avrebbero potuto fare quasi le stesse cose che fanno oggi anche più di un secolo fa.
    Il Giappone esportò le sue prime automobili negli Stati Uniti nel 1958. Non ebbero successo, ma potettero farlo già allora senza problemi, senza bisogno di Internet.
    Qui si confonde la velocità nel fare una cosa con la possibilità di poterla fare.
    Oggi le tecnologie informatiche hanno accelerato tutti i processi produttivi e informativi, ma nella sostanza si fanno le stesse cose che si facevano uno, due, dieci secoli fa: cioè si producono beni e servizi.
    Come produrli e come scambiarli dipende solo ed esclusivamente dalle regole che si decide di darsi.
    “Nessuna regola”, ad esempio, è una regola. Ma non viene dal nulla.
    Ci si siede intorno a un tavolo e si decide che, se una cosa fino a ieri era regolamentata, da domani non lo sarà più.
    La globalizzazione non ci sarebbe stata se non fossero stati firmati accordi, trattati, e simili, in certi posti, in certe date, da certi attori politici ed economici.

  19. Marisa ha detto:

    Ha ragione ARMANDO. Non è un problema di tecnologia. E’ un problema di regolamentazione.

  20. Julius Franzot ha detto:

    @ Armando
    Io continuo a restare della mia opinione e vorrei sottolineare che la globalizzazione puo essere anche vista come progetto politico, ma non a se stante, ma come derivato della fine dei blocchi, dovuta a sua volta alla caduta di uno dei due blocchi. Il protezionismo non e un fenomeno archetipico, dato che anticamente esistevano si i dazi, ma il loro scopo era meramente impositivo, non servivano a proteggere i prodotti nazionali. pensate al Reno con i suoi castelli sorti per riscuotere dazi e pedaggi: non era protezionismo, era rapina legalizzata e basta.
    Mi sfugge inoltre perche ai Paesi in via di sviluppo ora sia proibito fabbricare farmaci salvavita. Da quanto ne so, chiunque puo fabbricare qualsiasi farmaco (e i salvavita non sono costosi), non lo puo esportare, se non soddisfa determinate condizioni, ma per uso interno si puo usare anche la cacca come eccipiente. Non per nulla Paesi come Messico, Colombia, Brasile, Argentina… fabbricano quasi tutto lo indispensabile. En passant, il maggior esportatore mondiale di generici e Ranbaxy (India)…

  21. Armando ha detto:

    Caro Julius,

    uno degli accordi Wto più controversi è l’accordo TRIPs (Trade Related Intellectual Property Rights) il quale si occupa appunto di protezione della proprietà intellettuale, fra cui rientrano i brevetti sui prodotti farmaceutici. L’accordo prevede che a partire dal 2005 tutti i paesi membri, esclusi i paesi meno sviluppati, si mettano in regola adottando una legislazione i cui requisiti minimi prevedano, fra gli altri, il riconoscimento dei brevetti dei prodotti e dei processi di produzione dei prodotti farmaceutici per un periodo non inferiore a 20 anni.
    Non sono aggiornato sull’implementazione di questo accordo, ma la sua applicazione da parte dell’India mette in seriamente in questione il suo ruolo di fornitore di farmaci generici a basso prezzo per i paesi più poveri.
    Occorre ricordare che nell’era pre-TRIPs, ogni paese era libero di stabilire la propria politica in materia di brevetti. Molti paesi, ad esempio, concedevano una protezione più ridotta, ad esempio cinque anni, e nei primi anni ’90 i farmaci erano esclusi dal regime di brevettazione in una cinquantina di paesi in via di sviluppo.
    Esaurita quindi la possibilità per i singoli paesi di produrre liberamente le versioni generiche dei farmaci più utili per una politica di protezione della salute, tutta la questione si riduce ai margini concessi dai TRIPs per l’emissione di licenze obbligatorie.
    Tale sospensione dei diritti del titolare del brevetto è prevista dall’articolo 31, che fissa precisi limiti all’uso di questo strumento. Oltre a prevedere un equo compenso per il titolare del brevetto, l’articolo 31 afferma che l’uso della licenza obbligatoria deve avere come scopo prevalente l’approvvigionamento del mercato interno del paese che l’ha emessa. In altri termini, i farmaci generici prodotti sotto l’ombrello dell’articolo 31 non si possono esportare. Questo significa che i paesi privi della capacità di produrre farmaci generici – o troppo piccoli per beneficiare delle necessarie economie di scala – vedono di fatto impedita la possibilità di intervenire efficacemente a favore della salute pubblica.
    Se poi usciamo dall’ambito Wto e si prende in esame gli accordi commerciali bilaterali che Usa sono soliti imporre ai propri partner commerciali, ci imbattiamo nei famigerati TRIPs Plus, dove i requisiti richiesti dall’accordo TRIPs sono ulterirmente rafforzati.
    Riguardo poi all’uso del termine “protezionismo” bisogna andarci molto cauti, perché nelle maggior parte dei casi questa parola è utilizzata con un chiaro intento ideologico.
    Si accusa Obama di fare del protezionismo quando vuole includere la clausola “buy american” all’interno delle infrastrutture pubbliche finanziate dallo Stato, ma non c’è nulla di protezionistico in questa operazione.
    Se gli Usa hanno scelto il meccanismo del deficit spending per sostenere una domanda insufficiente è giusto che siano loro a goderne i benefici e non il paese B che non spende una lira. Se tutti i partner commerciali Usa utilizzassero la stessa politica, e con lo stesso peso degli Usa, molto probabilmente non ci sarebbe necessità di includere una clausola di questo tipo.

  22. Julius Franzot ha detto:

    @ Armando

    La logica delle tue argomentazioni non fa una grinza, però prescinde dalla reale situazione del mercato farmaceutico, con particolare riguardo ai paesi in via di sviluppo. Poniamo il caso che sia effettivamente consentito produrre generici solo dopo 20 anni dala concessione del primo brevetto, l’unico che conta per i salvavita.
    Penso che sarai d’accordo sul fatto che oggi nuovi farmaci possono essere prodotti e sviluppati solo da 10-12 multinazionali. Queste richiedono il brevetto al più tardi all’inizio della ricerca clinica di fase 1. (sperimentazione su volontari sani). Da quel momento passano almeno 8 anni fino a quando la documentazione per la registrazione nel “rapporteur country” in Europa (FDA in USA) è pronta per essere sottomessa alla rispettiva commissione. L’ EMEA in EU (per la procedura multistato, quella usata generalmente per i salvavita) sulla carta è obbligata a concedere o negare l’autorizzazione entro 18 mesi dalla presentazione della domanda. In pratica passano quasi 3 anni. Dopodichè la documentazione deve essere recepita dal MinSan nazionale e qui passa un altro anno. Restano 8 anni di protezione del brevetto. Ciò non significa che il nuovo farmaco non può essere esportato, ma solo che chi lo importa deve pagare dei diritti al detentore del brevetto. Ci sono molti paesi (per esempio la Turchia e Israele) che obbligano de facto l’originatore della molecola a concedere una licenza forzata ad una ditta nazionale nel caso si tratti di farmaci salvavita veramente innovativi (è successo per esempio con la glibenclamide e con il Retrovir). In questo caso la casa madre si guarderà bene dall’escludere quel paese dal proprio circuito e sarà lieta di darlo in licenza alle condizioni (in genere oneste) proposte dal governo locale. Non dimenticare che il prezzo ex-works di un farmaco innovativo è determinato per il 70% dall’ammortamento dei costi di ricerca e per il 15% dalle spese di marketing. Ora, se lo stesso governo impone la licenza forzata, la spesa per il marketing (che paga il licenziatario locale) è equivalente ai diritti di licenza stabiliti dallo stato importatore, quindi per la ditta detentrice del brevetto sarebbe un mancato guadagno non esportare in un paese del genere, dato che i costi sarebbero solamente quelli di materia prima e di produzione, che, per i farmaci nuovi, sono irrisori in confronto ad altri costi più a monte.
    Non dimentichiamo che i veri salvavita originali sono rarissimi: per lo più i farmaci nuovi (a parte gli antibiotici) sono delle manipolazioni di molecole già esistenti, che ne migliorano marginalmente la tollerabilità. Vere e proprie sensazioni, come negli anni ’70 ed ’80 sono rarissime. Pertanto la nuova legislazione che hai esposto può sembrare penalizzante, ma, conoscendo i meccanismi dei mercati, non lo è. Il vero problema dei paesi in via di sviluppo che hanno scelto di non impegnarsi in una produzione farmaceutica locale (Algeria, Tunisia, Ecuador, Bolivia, Albania…) è che le importazioni sono subordinate o al pagamento di tangenti, o all’accettazione di pagamenti incerti (per esempio l’Algeria non accetta lettere di credito avvallate da banche internazionali), o alla costruzione in loco di “stabilimenti farmaceutici” con mano d’opera locale, che però sono quasi sempre solo produttori di imballaggi (Africa) o di blister per compresse importate (Libano, Sudamerica).
    Il problema non sono le restrizioni legali legate al brevetto, ma la mentalità mafiosa delle classi dirigenti della quasi totalità dei paesi in via di sviluppo. Ne so qualcosa dopo aver trattato per 25 anni con questa gente e con i loro “esperti”!

  23. Luigi ha detto:

    Solo per aggiungere una piccola annotazione di carattere finanziario.

    Fra il 2007 e il 2010 sono andati e andranno a scadenza di brevetto farmaci per un totale di 50 miliardi di US$ di fatturato annuo.

    Una serie di società offrono fondi o Sicav specializzate nell’investimento su società che operano nel segmento dei farmaci generici. Una delle più note aziende del globo in questo settore è l’israeliana Teva Pharmaceutical Industries (38.000 dipendenti), i cui trend di crescita negli ultimi cinque anni sono stati superiori di quattro volte rispetto all’industria farmaceutica “classica”. Nel solo anno 2008 il fatturato di Teva è aumentato del 18% a 11,08 miliardi di US$, e l’utile netto del 20%.

    Secondo gli studi in mio possesso, in USA, Europa e Giappone nel 2012 oltre il 50% del totale dei medicinali presenti sul mercato sarà disponibile sotto forma di “generico”.

    Ci sarebbe da riflettere sul perché una società israeliana sia riuscità a prevalere in questo mercato, mentre le società italiane quasi non esistono… ma è un altro discorso.

    Voglio ricordare però che non è vero che solo 10/12 multinazionali producono nuovi farmaci. Solo in Italia hanno brevettato e brevettano molecole e farmaci nuovi la Rottapharm, la Chiesi, la Recordati ma soprattutto la Menarini, che ha cinque centri di ricerca in giro per l’Italia e l’Europa, con oltre 700 addetti.

    Luigi

  24. Julius Franzot ha detto:

    @ Luigi

    1. Teva è a partecipazione statale ed Israele, come chiunque sia in stato di perenne assedio, ha sviluppato una saldissima cultura della solidarietà. Basti pensare che le ditte farmaceutiche israeliane (ovviamente non Teva) in genere hanno uno stand comune a congressi e fiere e dispongono di un ufficio che vaglia le proposte di collaborazione/licenza dall’estero e le dirige verso la ditta israeliana che considera più adatta. Ti vedi Menarini, Chiesi, Dompè & Co che si scambiano i progetti??

    2. Sui “nuovi farmaci” è questione di definizione. Se tu consideri per esempio Captopril, Enalapril, Ramipril… tutti come nuovi farmaci, allora certamente ci sono tante più ditte che li possono sviluppare. Io mi riferivo a nuove classi terapeutiche con carattere di salvavita, quelle che sono veramente indispensabili nei paesi in via di sviluppo: Furosemide, Ceftriaxone, Nimesulide, Captopril, Ranitidina, Omeprazolo e poco altro.

  25. Armando ha detto:

    @ Julius

    Non capisco lo scopo del tuo intervento.

    Che la legislazione sui brevetti renda i farmaci più casi nei paesi poveri non è materia di discussione.

    Per fare solo un esempio, riferendosi a dati di alcuni anni fa, un trattamento antiretrovirale completo, cioè il cocktail di farmaci utilizzato per combattere il virus HIV, costava poco più di 10.000 dollari all’anno negli Usa. Il costo del trattamento con questo stesso gruppo di farmaci può scendere a 930 dollari per persona all’anno nell’Africa sub-sahariana. Se invece si utilizzasse la versione generica dei farmaci, la cura costerebbe solo 300 dollari a persona all’anno.

    Che i poveri paghino di più i farmaci non per colpa dei Brevetti in sé, ma per l’accordo Trips (o per i ricatti operati dagli Usa negli accordi commerciali bilaterali) è un fatto. Un fatto che nessuno contesta.

    Riguardo alle licenze obbligatorie, a parte il fatto che la remunerazione “onesta” dell’inventore del farmaco riduce ovviamente il numero dei prodotti disponibili dato che si parla di paesi poverissimi, basta guardare la diatriba scatenatasi attorno al paragrafo f dell’articolo 31 dei Trips, che limita la richiesta di licenza obbligatoria a paesi dotati di capacità produttiva. E tutti gli altri? Si arrangino. Poi si è visto che suonava un po’ male e allora si è messo in piedi un farraginoso meccanismo per il quale se un paese si trova ad affrontare una emergenza sanitaria può chiedere che venga emessa una licenza obbligatoria per un produttore non presente sul territorio facendo domanda, a chi? All’Oms? Macché.
    Alla Wto stessa, cioè un’organizzazione che si occupa di commercio che da un po’ di anni legifera e pontifica anche i materia di salute.

    Questo pseudo accordo data 30 agosto del 2003 e negli anni successivi non è stata inoltrata alcuna richiesta.

    Comunque, continuo a non capire la tua posizione.
    I Trips sono considerati uno scandalo sia parte dai progressisti che da parte dei liberali.
    Solo le industrie farmaceutiche e il mondo della finanza (i titoli delle industrie farmaceutiche hanno avuto nei decenni scorsi i migliori ritorni in assoluto) apprezzano i Trips e la “libera” stampa, quotidiana e non, molto sensibile alle istanze delle industrie e della finanza, dell’argomento parla solo quando è costretta.

    Non capisco neppure la tua separazione fra salvavita e non. Se esiste una nuova cura molto più efficace per il diabete, perché un povero non deve potervi accedere?
    Ad esempio, al Trip Coincil del novembre 2002 e nelle trattative successive, Usa, Europa e Svizzera hanno cercato di annacquare la Dichiarazione di Doha escludendo dai farmaci i vaccini. Non sono abbastanza salvavita?

    Comunque, mi sono espresso male quando ho parlato di scandalo.
    E’ una pura e semplice porcheria.

  26. Gianluca Vannucci ha detto:

    quante cazzate in questo articoli, 2 monarchie illuminate?? i saBoia sono i responsabili dell’impoverimento del sud e di riflesso della condizione attuale
    regimi totalitari incapaci? quello fascista è stato l’UNICO governo italiano decente che rimise l’Italia in carreggiata e anzi perfino la evolse più degli altri paesi europei, ma poi mafiosi e antifà son tornati e si vede

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