25 Febbraio 2009

La Fondazione universitaria Fvg: va toccata la governance degli atenei

Due giorni fa il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano è voluto intervenire con vigore nel dibattito sull’Università italiana, affermando che le università italiane necessitano di «valutazioni e interventi pubblici puntuali» e augurandosi “che siano maturi i tempi per ripensare e rivedere scelte di bilancio improntate a tagli indiscriminati». Attraverso questo monito il capo dello Stato ha avuto il merito di riportare l’attenzione pubblica su un tema che, dopo le grandi manifestazioni di alcuni mesi fa, rischiava di finire silenziosamente nascosto da altri fatti che hanno appassionato le cronache dell’ultimo periodo.

In FVG in realtà la questione Università non era stata per niente messa in naftalina, essendo la Giunta Regionale su questo punto una delle più attiva nel voler concretizzare la riforma prevista dai decreti e dalle strategie proposte dal governo nazionale, fino alle più recenti dichiarazioni del Presidente Tondo.

La parola Fondazione, come strumento di riorganizzazione del sistema universitario, è risuonata quindi più volte negli ambienti regionali, parola temuta, osteggiata e rifiutata. Personalmente a me viene da dire che per ora è parola incompresa, o, forse, incomprensibile. Sono due le questioni fondamentali per le quali servono maggiori informazioni per poter giudicare la bontà o meno dell’iniziativa: la prima riguarda i contenuti della Fondazione, la seconda riguarda invece la reale capacità che questo strumento avrà nel razionalizzare e migliorare il sistema universitario regionale.

Sul progetto di Fondazione il Presidente Tondo si è sempre soffermato sulla ferma volontà di istituirla, rimanendo sempre su affermazioni di principio ma generiche. E chi ha assistito all’incontro promosso da Il Piccolo qualche giorno fa alla Camera di Commercio, non ci ha capito molto di più, cogliendo solo un netto rifiuto da parte veneta del Presidente Galan su questa ipotesi (ma più per poca fiducia nell’Università) e un gioco a rimpiattino sulle responsabilità della situazione attuale tra i Rettori e i Governatori. Le idee più chiare sulla Fondazione sembra però averle l’assessore Rosolen, almeno a leggere le dichiarazioni sul sito della Regione ma anche un interessante articolo apparso sulla rivista NordestEuropa.it a fine 2008: non le Università che diventano fondazioni private (come previsto invece da Tremonti), ma un’unica Fondazione di partecipazione di diritto comune fra gli atenei regionali e gli altri soggetti pubblici e privati. Insomma, un’entità che mette in rete gli atenei, che razionalizza le risorse, che integra senza intaccare l’autonomia. La Fondazione non si sostituisce alle Università, ma le aiuta, le raccorda, le supporta nella ricerca e nella gestione di finanziamenti, le aiuta nel percorso di integrazione dell’offerta formativa. Insomma, una Fondazione che fa sintesi.

Leggendo queste intenzioni, c’è ancora molto da capire sulla forma, la composizione, le attività e il processo decisionale, e quindi ancora più convinta è la domanda rispetto alla seconda questione che ho posto sopra, e cioè sul reale impatto che tale strumento avrà sulla realtà consolidata. Il vero problema secondo me è quello di superare la visione autoreferenziale e localistica delle Università, che rispondono ancora troppo a interessi parcellizzati e strategie polverizzate, in un ambiente dove l’autonomia a volte significa conservazione invece che dinamismo e sviluppo. Sono d’accordo con Roberto Morelli quando afferma che  “in questa regione non c’è posto per due atenei: bisognerebbe farne uno con due sedi diverse. Non c’è un solo motivo che non sia il campanile (che non è un motivo, ma un’aggravante) a giustificare una congerie di doppioni a settanta chilometri di distanza”.

La prospettiva di aggregazione scuote allora nel profondo un sistema che negli anni passati ha cercato di moltiplicare corsi e sedi, dando luogo in diversi casi a “doppioni” e “piccoli feudi” anche nella nostra realtà regionale. Basta leggere tra le altre cose le reazioni di alcuni gruppi che nella ipotizzata riforma vedono l’attacco ad una specificità sventolata come elemento identitario.

Allora la Fondazione sarà utile se troverà i giusti meccanismi per forzare il sistema universitario dove ciò è necessario, senza togliere invece quei finanziamenti che nel nostro Paese sono già sul livello più basso per quanto riguarda formazione e ricerca. Un’integrazione concreta, senza fratture, non può non prevedere la revisione dei corsi di studio, razionalizzando l’offerta dei corsi con bassissima iscrizione, tagliando i doppioni, rafforzando le reciproche specializzazioni positive. Una delle basi di partenza non può che essere il consolidamento di una sinergia con enti e istituzioni che già operano nei nostri territori e che per reti e per risorse disponibili rappresentano naturali partner e supporter, siano essi pubblici e privati. Una riforma non può quindi non toccare la governance del sistema universitario: capire, all’interno del partenariato della Fondazione, come si arriverà a stabilire le strategie, a decidere le attività e ad assumersi decisioni anche dolorose in alcuni casi, è la questione che maggiormente mette in gioco l’efficacia di tale strumento.

Non è un asettico problema di organizzazione, di burocrazia e di regole. Proprio perché la Fondazione non sia il solito “tavolo” di alti principi ma di poca sostanza, le regole del gioco daranno sostanza operativa, non meno importante del coraggio e della volontà che da soli potrebbero non bastare.

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6 commenti a La Fondazione universitaria Fvg: va toccata la governance degli atenei

  1. Marisa ha detto:

    Alè! E’ incominciata la “CAMPAGNA STAMPA” di un ben determinato ambiente triestino che vuole, fortissimamente vuole, l’università unica regionale. Peccato che questa ipotesi sia già stata RESPINTA dal Parlamento italiano con la legge istitutiva dell’Università friulana. Provate a venire in Friuli ad affermare che “in questa regione non c’è posto per due atenei”…..

  2. Marisa ha detto:

    Il sistema universitario italiano ha un grande problema. Si chiama “distribuzione dei finanziamenti statali sulla base dell’iniquo COSTO STORICO AL 1993”. In Italia la lobby delle Università sovraffinanziate sta impedendo da almeno un decennio la distribuzione dei finanziamenti statali in base al criterio del merito. L’Università di Trieste, nel solo 2007 si è portata a casa quasi 15 milioni di euro in più rispetto al criterio del merito deciso (allora d’accordo con i rettori) nel 2004 dal Ministro Moratti. L’università del Friuli dal 2001 ad oggi ha patito un sottofinanziamento di ben 95 milioni di euro. Nel solo 2007 il sottofinanziamento è stato ben del 17%. Il “criterio del merito” stabilito nel 2004 con l’accordo dei rettori, poi non fu applicato perchè la lobby degli atenei più sovraffinanziati riuscì, per via politica, a bloccarne la messa in opera.
    Oggi in Italia non si finanza il merito e l’eccellenza ma i costi in base al bilancio del 1993! Una assurdità che non esiste in nessun altro paese europeo! Questo crea disparità di trattamento tra le Università e foraggia sempre le stesse università, spesso le più sprecone, a discapito, il più delle volte, proprio delle migliori.
    Risolviamo questo problema e il sistema universitario italiano farà un grosso passo avanti. Nel momento in cui sarà finanziato il merito, non ci saranno più sprechi perchè chi avrà uno scarso livello di efficienza NON SARA’ PIU’ FINANZIATO o vedrà ridotto i finanziamenti. E i finanziamenti, tanti o pochi che siano, andranno SOLO a chi li sa usare.

    Ci sono sistemi universitari, come quello inglese, che hanno messo al centro del sistema la concorrenza tra atenei. La concorrenza e la competizione sono un formidabile motore di produzione di eccellenze. E la selezione delle Università e dei corsi di laurea, deve avvenire attraverso il canale della CONCORRENZA tra gli atenei. Se un ateneo sa di “valere” e di “avere le carte in regola” non ha paura della concorrenza. Chi la teme probabilmente lo sa che fino ad ora è rimasto in piedi solo grazie ai sovraffinanziamenti.

    Ogni ateneo è stato istituito per essere un motore di sviluppo economico e culturale per il “SUO” territorio di riferimento: è questa una funzione formidabile di ogni università. Che ovviamente per potersi definire “un’università”, non può che essere completa di tutte le facoltà di base.

    FONDAZIONI: sono un BARACCONE che non risolveranno un bel nulla. In Italia non esiste la cultura delle Fondazioni. Gli imprenditori/mecenate non esistono e il BARACCONE “fondazione unica regionale” o “fondazione per ogni singolo ateneo” si troverà ad amministrare il solo finanziamento regionale: nemmeno un centesimo di più! Con in più il costo della struttura che porterà via finanziamenti agli atenei. Il Presidente della “Fondazione Crup”, uno che di Fondazioni s’intende, in una recente intervista concessa alla stampa, ha affermato che la Fondazione così caldamente voluta da Alessia Rosalen, non servirà ad un bel nulla. Anche lui è d’accordo con la definizione BARACCONE.
    Il progetto della Rosolen del resto è già stato respinto con forza dalla società civile friulana e dalla Lega Nord. Mi risulta che la Lega Nord nella Sala consiliare regionale, abbia già diffidato la Rosolen dal prendere iniziative personali in questa direzione. E mi risulta anche che Tondo, nell’ultimo convegno organizzato di recente dal Piccolo, abbia ben DUE volte precisato con forza: NON VOGLIO SCONTRI. Scontri che ci saranno sicuramente se la Rosalen continuerà con testardaggine a voler portare avanti un SUO progetto che il Friuli intero, e la Lega Nord, hanno già cassato.

  3. furlàn ha detto:

    Non capisco. Nova Gorica (13.000 abitanti) ha una SUA Università e noi che siamo italiani (e quindi i più furbi di tutti) dovremmo averne una per 1.200.000 abitanti?

  4. arlon ha detto:

    Infatti. Al patto che non ci siano troppi doppioni di stampo campanilistico, due università (o più!) vanno bene.

  5. Marisa ha detto:

    Arlon, una università per rispondere al suo compito istituzionale di motore di sviluppo economico e culturale del SUO territorio, DEVE avere tutte le facoltà di cui ha bisogno il suo territorio. O una Università, solo perchè più giovane di altre, non deve svilupparsi e deve rimanere priva delle facoltà di base? Solo perchè nata dopo di altre deve rimanere con lo stesso numero di facoltà che aveva al momento della sua istituzione? E’ logico e normale che una Università ampli la sua offerta formativa. Lo fanno tutte le Università. E’ un ampliamento che nasce da una forte richiesta del SUO territorio, della SUA classe imprenditoriale, dal mondo culturale. Perchè mai dovrebbe essere fermato lo sviluppo di una Università? Questo sviluppo infastidisce “qualcuno”? E perchè infastidisce? Forse perchè è difficile per le Università più vecchie (nel senso di nate prime) passare da una situazione di monopolio territoriale ad una situazione di giusta CONCORRENZA? La concorrenza con l’Università del Friuli ha costretto l’ateneo triestino a migliorare la sua offerta didattica. E ti sembra un risultato da poco? Io lo considero un grande risultato. NON ESISTONO I DOPPIONI! E la COMPETIZIONE è essenziale per mantere alto il livello qualitativo delle Università. Come in qualsiasi altre settore.

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