A partire da giovedì 26 febbraio il dvd del documentario di Chiara Barbo e Andrea Magnani,”Le ragazze di Trieste”, sarà in edicola con Il Piccolo. Chiara ci invia questo suo articolo che descrive il dvd, prodotto da Zeroquaranta e che racconta la storia di tante triestine emigrate in America negli anni ’50. Il testo è apparso sul Gazzettino nell’agosto 2008.
Alla fine della guerra a Trieste erano arrivati gli americani. O meglio, erano arrivati i neozelandesi, poi gli inglesi e infine gli americani, con le loro gomme da masticare, il rock and roll e i comics, i fumetti. “Per noi gli americani erano tutti ricchi! Con i dollari, la cioccolata, e le loro uniformi perfette… Lo vedevamo anche nei film: queste belle donne americane in alberghi lussuosi, con un bicchiere di whisky in una mano, la sigaretta nell’altra… Vedevamo Douglas Fairbanks, John Wayne, Humphrey Bogart, altro che noi a Trieste, poveretti, che stavimo in Rena Vecia con le scarpe ligade col spago!” Questi sono i racconti sugli americani di chi in quegli anni era ragazzino, e inseguiva i soldati a stelle e strisce chiedendo un chewing gum e, a volte, persino one dollar… ma questo solo i più audaci. E in quegli anni tante ragazze di Trieste si sono sposate gli americani, e sono andate via. Qualcuno alcune di quelle ragazze le conosceva, altri lo raccontano per sentito dire, qualcun altro, forse, per un senso di invidia appena accennato, che poi, chissà… Chi erano queste ragazze, cosa sapevano dell’America, e di quell’uomo che avrebbero seguito dall’altra parte del mondo, cosa pensavano, cosa sognavano, e cos’hanno trovato una volta arrivate lì? Ero semplicemente curiosa, non tanto di conoscere la storia ufficiale, già scritta e ben raccontata in numerosi studi, saggi e libri, ma la storia di queste ragazze, o almeno di alcune di loro.
Le loro storie, volevo raccontare quelle, anzi, farle raccontare a loro personalmente, usando una telecamera, qualche immagine trovata negli archivi, e un po’ di tempo, per trovarle, incontrarle, e conoscerle almeno un po’. E così ho cominciato a cercare. Amici, conoscenti, qualche particolare citato in un articolo di giornale, notizie in internet, fotografie, e pian piano hanno cominciato ad affiorare nomi, luoghi, pezzetti di storie. Mi piaceva l’idea di andarle a trovare dove vivono adesso queste signore, che non avevano neanche vent’anni quando sono partite, e farmi raccontare com’era stata la loro vita, facendo scorrere poi, tra i loro racconti, le immagini di una Trieste che non c’è più, quella della loro infanzia, la Trieste degli americani, delle partenze sulle navi per l’America e l’Australia, delle ragazze di Trieste in costume da bagno all’Ausonia o a Grignano e a passeggio per le vie del centro (immagini trovate alla Cineteca Regionale del Friuli Venezia Giulia e alla Fototeca del Comune di Trieste), accompagnate dallo swing e dalle canzonette triestine, accostate a quelle di un’America ormai lontana, per raccontare un frammento di storia ma soprattutto per raccontare loro, le ragazze di Trieste di allora, che hanno fatto una scelta diversa, hanno scelto di andare altrove, di seguire un sogno, un progetto di vita, e anche un uomo.
In fondo, hanno scelto di mettersi in gioco. La loro prima di tutto è stata una scelta d’amore, per un ragazzo incontrato allo Sugar Bowl o alla mensa militare dove alcune di loro lavoravano, ma ascoltandole si fa strada anche un altro pensiero, che sia stata anche la curiosità di vedere posti nuovi, il desiderio di fare e vivere altro. Diverse tra loro, ognuna con la propria storia, non sempre facile naturalmente, nei loro occhi e nelle loro parole ho visto però lo stesso spirito libero e la stessa ironia, quell’ironia che permette di affrontare meglio le cose della vita.
E se nelle parole di Nella, Iolanda, Claudia, Dora, Graziella, Fabiola e Ileana fa capolino ogni tanto un velo di nostalgia, questa è la nostalgia per i luoghi dell’infanzia, per un’età lontana, per le madri, i fratelli, le amiche del cuore mai più riviste, ma non è mai un rimpianto. Nei loro racconti si rincorrono visi, pomeriggi passati a giocare al “pandolo” e a guardia e ladri, una città in quegli anni ancora in bilico, e poi le sale da ballo, l’incontro con quegli americani che non capivano, “mi aveva chiesto di rivederci il giorno dopo… o almeno questo era quello che avevo capito!”, ride Dora, un po’ perplessa ora che ci ripensa, a proposito del primo incontro con il suo futuro marito.
E all’improvviso si sono ritrovate in un altro mondo: grattacieli, donne in pantofole e bigodini per le strade delle periferie di New York, case di legno colorate sparse in mezzo a pianure infinite, negozi in cui non si capiva nemmeno quel che si comprava: “Non sapevano una parola d’inglese, basta dire che invece di prendere la valigia, impugnavamo la pistola, ecco, questo era il nostro inglese!” Anni passati con il marito militare in giro per l’America, l’Europa e il sudest asiatico, con figli a seguito e ogni volta ricominciare daccapo, nuove amicizie, nuovi lavori, il paese dei sogni e delle disillusioni.
Ma questa è la vita, commentano con un sorriso, “un patchwork”, la definisce Ileana, con quel sorriso tranquillo di chi ha vissuto una vita intensa. Una curiosità: negli anni, molte di loro si sono riunite in un’associazione, le “Triestine Girls”, incontrandosi di volta in volta in una diversa città americana. Questo spirito delle ragazze triestine è rimasto, a pensarci è proprio questo che le unisce tutt’ora, che vivono in un altro paese, con vite diverse alle spalle, ma sempre “ragazze di Trieste”…
Nel documentario gli aneddoti si susseguono, raccontati dal bordo della piscina dietro casa in Florida o nel salotto di un’immensa casa sperduta nei boschi del Michigan, dall’Upper East Side di Manhattan, con la musica classica in sottofondo, fino al deserto californiano e all’angolo estremo della Virginia. Le ragazze non esitano a raccontarsi davanti alla telecamera e si crea, come spesso succede, quella confidenza che c’è tra due persone che non si conoscono, e si raccontano cose che non hanno mai raccontato a nessuno, cose piccole, che negli anni si erano perse… Raccontano, ridono, si prendono in giro nel ripensare ai loro primi anni americani, all’inglese pasticciato, agli improbabili lavori improvvisati, si divertono a prendere in giro il marito che se ne sta in disparte ad ascoltare, e se la ride sornione a rivedersi ragazzo, tanti anni fa. E a rivedere lei, ancora una ragazza ai suoi occhi. Ma anche ai miei.
“Sono i ricordi piccoli che restano nella memoria”, così Nella conclude il suo lungo, intenso racconto, con un sorriso che a guardar bene ne racconta tutta la vita. Con le immagini e le parole volevo raccontare prima di tutto una storia di donne, una sorta di diario privato. Volevo provare a raccontare il loro cuore, e così facendo, forse, un po’ anche il nostro.