10 Febbraio 2009

Gite fuori porta

E’ chiaro che quando si partecipa a una manifestazione non autorizzata si corrono sempre dei rischi .”  Detta così, senza un contesto che aiuti a capire di cosa si parli, è certamente una frase ambigua; e proprio per questo casca a pennello in questa storia in cui le ambiguità si sprecano. Sarà riferita al G8 di Genova? Alle proteste studentesche contro la riforma Gelmini? In verità no, ma la risposta al quiz la trovate solo in fondo al post (lo ammetto, è solo un trucco per farvelo leggere tutto, ‘sto polpettone).

La settimana scorsa sul Piccolo (e purtroppo questo non l’hanno messo online) l’infaticabile Massimiliano Lacota, presidente dell’Unione degli istriani, annuncia che quest’anno ci riprova: a portare un autobus di anziani signori oltreconfine a deporre una corona di fiori. L’anno scorso lo ha fatto, ma al costo di due contravvenzioni per, appunto, manifestazione non autorizzata. L’esperienza sembra essergli piaciuta: per un paio di giorni almeno di lui si è parlato sia sulla stampa che su blog e forum in giro per la rete, le sue dichiarazioni venivano riprese e diffuse non solo nel ristretto ambito della sua associazione o delle formazioni politiche di destra in generale; l’eroe della giornata, insomma. Ottima cosa, visto che riguardo agli scopi istituzionali dell’associazione stessa non sembra cavare un ragno dal buco, correndo il rischio di farsi rubare iscritti dai concorrenti.

C’è anzi chi dice che l’incidente il Lacota se l’è andato a cercare apposta: se è vero, si può pensare che quest’anno lo rifaccia con ancora maggiore clamore visto il risultato della prima spedizione. Il sospetto non sembra del tutto infondato visto che il nostro, invece che scaricare da Internet l’apposito modulo e farselo timbrare dalla stazione di polizia di competenza come da procedura normale annuncia di averne informato le massime autorità della Slovenia – ma non spiega se lo ha fatto a mezzo stampa, per interposta persona o semplicemente sperando che le autorità italiane lo facciano per lui.

Vediamo innanzitutto cos’è successo l’anno scorso: sembra facile, i resoconti delle due parti combaciano su molti punti. Riporta infatti il Piccolo che nel pomeriggio una comitiva formata da un autobus e un furgone e diretta verso Kozina venne fermata al confine ed invitata a non proseguire, in quanto non avevano provveduto ad informarne preventivamente le autorità. A tal punto il Lacota avrebbe affermato trattarsi di un pellegrinaggio e non di una manifestazione, il che lo esenterebbe dall’obbligo suddetto. Tale interpretazione non veniva accolta dalle forze dell’ordine che comunque consentivano al gruppo il viaggio fino all’abitato di Rodik, dove la comitiva procedeva alla deposizione di una corona d’alloro e veniva multata per manifestazione non autorizzata, a dire del Lacota “appena parcheggiati” (PDF) mentre secondo l’Amministrazione di polizia di Capodistria questo sarebbe successo a cerimonia finita. Pagata la multa la comitiva era ripartita verso Capodistria per un’ulteriore corona d’alloro – e la scena si era ripetuta con un altra multa, per poi finire col ritorno a casa accompagnati dalle auto della polizia. Atto finale (inevitabile trattandosi del Lacota) ovviamente un comunicato stampa e via col circo mediatico.

Tutti d’accordo? Quasi. In effetti qualche differenza tra i vari resoconti c’è: per la precisione un piccolo particolare che deve essere del tutto insignificante, visto che ne il Piccolo, ne il comunicato, ne alcun altro mezzo d’informazione di quà del confine sembrano averlo considerato degno di menzione. il Ve?er (PDF), le Primorske novice e Siol.net invece concordano: al confine, in occasione del primo contatto, al Lacota la polizia avrebbe offerto la possibilità di compilare il fatidico modulo e regolarizzare così l’iniziativa. Offerta rifiutata: pellegrinaggio era, non manifestazione, e su tali questioni di principio un uomo vero non transige.

Ma lo era? L’Unione stessa elencava il tutto nel suo Calendario delle Manifestazioni (PDF), per cui il dubbio è lecito. Vediamo cosa dice la legge: nella fattispecie la Legge sulle adunanze pubbliche (testo ufficiale aggiornato). All’articolo 3 questa dice che “la persona giuridica estera ovvero lo straniero può organizzare un’adunanza pubblica solo dietro autorizzazione”. E subito dopo all’articolo 4 comma 1 spiega che “adunanza pubblica è qualsiasi riunione organizzata di persone per l’espressione di opinioni e posizioni riguardo questioni di interesse pubblico o collettivo all’aperto oppure in luogo chiuso con accesso aperto al pubblico” per poi spiegare al comma 3 che “adunanza o manifestazione organizzata è qualsiasi adunanza o manifestazione ove l’organizzatore annuncia (pubblicizza) ovvero invita alla partecipazione tramite annuncio pubblico o inviti trasmessi agli interessati.”  Il resto sono dettagli tecnici: articolo 7, “La denuncia dell’adunanza o manifestazione viene accolta dalla sezione o ufficio di polizia sul cui territorio si organizza l’adunanza o manifestazione”; articolo 11 “L’organizzatore dell’adunanza deve effettuare la denuncia almeno tre giorni prima dell’inizio dello stesso, l’organizzatore della manifestazione invece almeno cinque giorni prima”.
Ma in pratica in cosa consiste questa trafila? Questo posso dirlo per esperienza personale, avendo organizzato l’anno scorso un concerto di musica medievale nel castello di San Servolo: si scarica da Internet l’apposito modulo e le relative istruzioni, si compila il tutto in duplice copia e lo si consegna alla stazione di polizia competente, dove gli danno un occhiata e ve ne restituiscono una copia timbrata per ricevuta. Se non avete intenzione di usare fuochi d’artificio, intralciare il traffico o utilizzare impianti d’amplificazione non occorre altro (a meno che non prevediate di avere più di tremila partecipanti, nel qual caso anche il comune vuol dire la sua).

Una certa eco ha suscitato all’epoca l’idea innaturale che nell’incivile paese confinante occorra il placet delle forze dell’ordine per tenere una manifestazione.   Sembra che a nessuno sia venuto in mente di verificare quanto in vigore in Italia, prima di profferire. Per gli interessati il testo a cui fare riferimento è il TULPS, che non è un satellite della NASA ma il Testo unico delle leggi di Pubblica sicurezza, che recita all’articolo 18: “I promotori di una riunione in luogo pubblico o aperto al pubblico devono darne avviso, almeno tre giorni prima, al Questore. E’ considerata pubblica anche una riunione, che, sebbene indetta in forma privata, tuttavia per il luogo in cui sarà tenuta, o per il numero delle persone che dovranno intervenirvi, o per lo scopo o l’oggetto di essa, ha carattere di riunione non privata.” e prosegue all’articolo 20: “Quando, in occasione di riunioni o di assembramenti in luogo pubblico o aperto al pubblico, avvengono manifestazioni o grida sediziose o lesive del prestigio dell’autorità, … le riunioni e gli assembramenti possono essere disciolti.” Interessante, il concetto di manifestazioni sediziose (art. 21): “E’ sempre considerata manifestazione sediziosa l’esposizione di bandiere o emblemi, che sono simbolo di sovversione sociale o di rivolta o di vilipendio verso lo Stato, il governo o le autorità. E’ manifestazione sediziosa anche la esposizione di distintivi di associazioni faziose.
Per la cronaca, quella fatidica virgola dopo la parola emblemi non sembra essere un errore di battitura – il dubbio è venuto anche a me, ma l’ho ritrovata tale e quale sia qui che qui (PDF).  A riprendere l’argomento delle manifestazioni è poi il Codice penale, che quantifica all’articolo 655: “Chiunque fa parte di una radunata sediziosa di dieci o più persone è punito, per il solo fatto della partecipazione con l’arresto fino a un anno.” Simpatico.

Altro punto, del tutto diverso, che sembra essere sfuggito ai media nostrani è che nel luogo di destinazione dell’avventura lacotiana c’è gente che ci vive, e di tutto l’affare una sua opinione ce l’avrebbe.  Manco a dirlo, men che entusiasta. Come riportato sempre dalle Primorske novice, ai locali anche anziani suona del tutto bislacca l’affermazione che nei dintorni di Rodik si siano svolti fatti di sangue. Passi per i villici, che saranno magari incolti o di parte, ma tale dato non risulta neanche, dice l’articolo di Helena Race e Robert Škrlj, ne al Jože Dežman, presidente dell’apposita commissione governativa che si occupa degli eccidi bellici e postbellici, ne al Mitja Ferenc, storico e specialista nel catalogare sepolture anche nascoste di quel periodo.
Ben più deciso, invece, il sindaco locale Zvonimir Ben?i? Midre, che dichiara: “Quella è stata una provocazione. Hanno prescelto proprio Rodik, dove nel 1944 gli italiani ed i loro alleati hanno causato una tragedia ammazzando sei giovinetti.” Tanto che pochi giorni dopo il consiglio comunale da lui presieduto approvava una delibera (PDF) poi recapitata a governo e parlamento in cui condannavano le azioni delle associazioni degli optanti e protestavano contro manifestazioni del genere.

Anche l’epilogo della faccenda lascia perplessi: tre giorni dopo i fatti il Lacota convocava una conferenza stampa (PDF), ovviamente ripresa dal Piccolo, in cui annunciava “Il governo sloveno ci ha scritto, chiedendoci un numero di conto corrente dove versare i 634 euro delle due multe perché non ha riscontrato alcuna violazione. Non ritireremo i soldi, fino a quando non avremo ricevuto delle scuse formali dal governo sloveno. Abbiamo già risposto loro in questo senso ”.  Poi – tutto tacque. Che il governo sloveno abbia chiesto scusa e il Lacota si sia dimenticato di informarcene? Che non lo abbia fatto, ma stranamente l’argomento non gli interessi più? Parrebbe strano, visto che in conferenza stampa si parlava esplicitamente di azioni legali che dipenderebbero “dall’atteggiamento della Slovenia nei nostri confronti”. Da Radio Capodistria, in forma non ufficiale, una versione della storia invece ben differente: la redazione avrebbe trasmesso in buona fede la notizia del rimborso, ma poi avrebbe pensato bene di verificare presso il ministero degli Interni. Risposta pacata ma lapidaria: il signor Lacota non risulta aver presentato ricorso, quindi non può esserci nulla di vero. La  redazione avrebbe poi interpellato al riguardo lo stesso Lacota, il quale avrebbe tergiversato sull’argomento. Boh. Niente link qui, come me l’hanno raccontata così ve la giro.
Cosa può essere successo? Gli stessi pettegolezzi che davano per premeditato l’incidente insinuano (per la verità senza fornirne alcuna prova) che l’organizzatore si sarebbe scordato di informare i pellegrini / manifestanti delle sue intenzioni, e che questi si sarebbero sentiti usati come Kannonenfuter mentre credevano di essere in regola colle leggi locali; di qui la necessità di riportare la pace in famiglia affermando pubblicamente che non c’è stato alcun illecito. Ma questo, va detto per inciso, va considerato chiacchiera da osteria vista la mancanza di riscontri da parte dei sostenitori di questa tesi.

Torniamo di botto ad oggi, ad un anno di distanza esatto. Nel frattempo la produzione di comunicati stampa del nostro ha raggiunto proporzioni gargantuesche: se il primo comunicato che ho citato, datato 11 febbraio 2008, portava il numero 759, quello attualmente in cima all’elenco sul sito porta il numero 1008. Duecentocinquanta all’anno, ragguardevole. Comunicati a parte, alzi la mano chi si è accorto di qualcosa di concreto portato a termine dal nostro. Ed è qui che sorgono i miei timori.

Se è plausibile l’ipotesi che lo show del 2008 sia stato pianificato a tavolino ed il risultato mediatico sia stato quello sperato, stante la povertà di risultati conseguiti nel resto dell’anno, il nostro o chi per lui potrebbe cadere nella tentazione di ripetersi, magari alzando il tiro già che c’è. Di qui l’ambiguo accenno all’intercedere presso le autorità di Ljubljana invece che semplicemente consegnare un modulo a Capodistria? Chissà, ma di un altro carnevale mediatico personalmente non sento alcun bisogno, e ci sono tanti altri posti dove uno può fare il martire invece che su questo confine, dove ogni passo avanti costa fatica e per ricadere negli errori del passato bastano pochi estremisti. Il Lacota avrà anche bisogno delle luci della ribalta, ma noialtri di certo avremmo più bisogno di uscire dal buco che ci siamo scavati nell’ultimo secolo e mezzo.

Staremo a vedere: nella migliore delle ipotesi qualcuno ha regolarmente preannunciato la manifestazione senza fare troppo baccano, e domani si torna a parlare di futuro; nella peggiore torneremo ad essere oggetto di titoli a larghezza intera tra scambi di accuse, pubbliche denunce e magari note diplomatiche ed affini. Ed il peggio è che non possiamo farci niente.

Ah sì, dimenticavo: vi avevo promesso qualcosa.  “E’ chiaro che quando si partecipa a una manifestazione non autorizzata si corrono sempre dei rischi .” Nientemeno che Franco Frattini per Repubblica. Quella volta nessuno ha ritenuto plausibile accusare i belgi di razzismo. Chissà se si rammenterà di queste parole, all’occorrenza. Spero che non serva.

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22 commenti a Gite fuori porta

  1. Matteo Apollonio ha detto:

    Si, troppo polpettonesco. Tazebao.

  2. Dejan Kozina ha detto:

    Appunto giustissimo, ma non tutti gli argomentisi prestano ad essere liquidati con un paio di righe. O forse si, ma non sempre io ne sono capace. Farò penitenza – con un post ben più ristretto.

  3. Dejan Kozina ha detto:

    Relazione finale su quanto non accaduto: a questo punto si sa che la spedizione tanto annunciata non è mai partita, rendendo inutile la barricata eretta dagli abitanti di Rodik. Altrettanto “non partita” risulta la lettera al presidente sloveno Türk, il cui ufficio, oltre a confermare che ovviamente non hanno alcuna intenzione di interferire in materie regolate dalla legge e di competenza delle forze dell’ordine, dice chiaro e tondo che non gli è arrivata alcuna missiva firmata dal nostro.

    L’ennesimo esercizio di relazioni pubbliche a mezzo conferenza stampa, come le querele di Sgarbi e le interrogazioni di Menia sempre preannunciate e quasi mai formalizzate? Potrebbe essere, ma il quadro complessivo suscita interrogativi di più ampio respiro così a Trieste come a Roma. La cerimonia di Basovizza, per esempio: non solo non c’era il sindaco fuori città, ma a sostituirlo non c’era il vicesindaco (come vorrebbe protocollo), bensì un qualcuno tanto in basso nel “pecking order” che mi sono scordato il nome. A vedere i servizi sembra che di politici, tolti gli onnipresenti Roberto e Alessia, non ce ne fossero proprio. Un caso, o la “spinta propulsiva” che sta venendo meno? Neanche previsto, quest’anno, alcun oratore, lasciando al buon Ravignani il monopolio delle parole.

    Anche i servizi delle televisioni slovene quest’anno hanno portato nelle case d’oltre frontiera interviste ai presenti e ben poco altro. L’anno scorso, per fare un confronto, il servizio aveva debitamente registrato lo spettacolo di giovanotti dalla capigliatura rasata che si esibivano in saluti nazisti senza che alcuno dei presenti desse segno di esserne minimamente turbato, pubblici ufficiali in testa.

    Anche dalle massime autorità della repubblica altra atmosfera: se due anni fa l’uomo del Colle aveva deliberatamente dato fuoco alle polveri con parole chiaramente destinate ad infiammare e offendere, e l’anno scorso aveva pensato bene di ricalcare ribadendo che non era successo per caso, quest’anno un discorso ben più moderato arrivava addirittura a citare “le sofferenze inflitte alla minoranza slovena” – parole mai udite dai vertici dello stato in sessant’anni di repubblica. Sarà un caso che analoghe sofferenze inflitte alla minoranza croata, altrettanto consistente e altrettanto tartassata nel periodo interbellico, non sono state ritenute degne di menzione?

    A confermare il cambio di tono anche l’analisi della stampa nazionale: non mia, questa, ma di un amico che il giorno fatidico ha fatto man bassa di quotidiani per poi confrontarli. Risultato: il vuoto. Sarà stato l’effetto Eluana, ma la giornata è passata quasi inosservata anche nelle pagine di Libero e del Giornale altrimenti sempre pronti a dare addosso al confinante. Qualche nota di cronaca, ma sempre post facto, ed un occhiata ai rispettivi siti conferma l’osservazione.

    Forse un giorno qualcuno me lo saprà spiegare, nel frattempo approvo e tiro un sospiro di sollievo.

  4. Luigi ha detto:

    Caro Dejan,
    si capisce lontano un miglio e mezzo che a te Lacota sta colossalmente sulle balle, e pace.

    Gradirei sapere da te alcune cose: in Slovenia e/o in Croazia quante sono state nella storia degli ultimi 60 anni le visite ufifciali o ufficiose di un qualsiasi politico sloveno e/o croato – nazionale o locale – ad una qualsiasi delle foibe?

    Seconda domanda: in Slovenia e/o in Croazia quante sono le foibe che negli ultimi 60 anni sono state indicate ufficialmente con un qualsiasi segno di pietà, che sia una croce, una lapide, un cippo, una pietra, un mazzo di fiori?

    Terza domanda: quanti sono stati i permessi di erezione di una lapide o di un cippo concessi dalle autorità jugoslave prima, slovene o croate poi, accanto ai luoghi di patimento e di morte delle genti istriane italiane? Mi spiego meglio: sicuramente saprai che parecchie “famiglie” di esuli hanno chiesto ufficialmente (si badi bene: con i loro bei moduli firmati e controfirmati!) di poter ricordare i loro cari ammazzati con croci e/o lapidi. Che tu sappia, quanti di questi hanno avuto risposta positiva?

    Dico questo perché tu giustamente parli della necessità di “uscire dal buco che ci siamo scavati nell’ultimo secolo e mezzo”. A te pare che questa mancanza di volontà stia soprattutto nel reprobo Lacota, ma a te invece pare del tutto normale che gli abitanti di Roditti non accettino che cinquanta persone vadano a deporre una corona di fiori presso la locale foiba (la prossima volta vogliono fare le barricate!), affermando che non hanno mai sentito parlare di alcun tipo di infoibamento in loco, quando esiste una relazione della Croce Rossa Internazionale dell’epoca – nuovamente consegnata da un’associazione di esuli al Ministero degli Esteri italiano nel 2001 – per la quale risulta che 77 guardie di finanza prelevate dalla Caserma di Campo Marzio e mai più tornate indietro furono “passate per le armi e precipitate nell’abisso di Roditti, presso Divaccia”?

    Se io vado lì con una decina di amici a depositare un fiore, come faccio in qualità di alpino tutti gli anni quando andiamo a portare i fiori nei cimiteri e presso i vari cippi della mia cittadina (per tua informazione: senza moduli e moduletti da firmare), devo aspettarmi una multa e forsanche una bastonata dal sindaco di Roditti, oltre ad una successiva tua infornata di notizie che in definitiva devono convincermi che hanno fatto bene?

    Grazie per le risposte.

    Luigi

  5. Luigi ha detto:

    Ecco cos’è successo alla gita di fuori porta di quest’anno, secondo l’articolo apparso sul “Piccolo” di ieri. Notare che questa volta i permessi c’erano tutti quanti.

    Luigi

    —————————————–

    GLI ESULI HANNO DOVUTO FERMARSI LUNGO LA STRADA VERSO IL PRECIPIZIO DI GOLOBIVNICA
    Bloccato con cori e simboli titini l’omaggio alla foiba
    Vicino a Corgnale sfiorato lo scontro tra manifestanti sloveni e la delegazione dell’Unione degli Istriani

    di PIERO RAUBER

    C’è un pezzo di terra, a 5 chilometri dall’ex confine di Basovizza, dove ieri divise titine, cori anti-italiani e persino un tricolore con la stella rossa in mezzo hanno fatto da barriera a una delegazione di esuli che si era organizzata per omaggiare i caduti delle foibe. Un puntino sulla carta geografica che, per qualche ora, si è chiamato fuori, suo malgrado, dalla Nuova Europa. È l’area attorno al precipizio Golobivnica, nei pressi di Corgnale (Lokev), dove l’Unione degli Istriani – la quota dell’attuale universo degli esuli che in vista dell’ingresso della Croazia nell’Ue rilancia più di altri il tema dei beni abbandonati e delle responsabilità storiche sia dell’Italia che degli stati eredi dell’ex Jugoslavia – aveva promosso in mattinata un pellegrinaggio simbolico. Un pullman in partenza da piazza Oberdan con a bordo 50 persone, in buona parte anziane, poi una breve marcia con in testa un crocifisso, una preghiera, una rosa rossa ciascuno da lasciare sull’orlo del precipizio. E il rientro a casa. Doveva iniziare e finire così, con il conforto delle autorizzazioni richieste preventivamente e ottenute dalle autorità di Lubiana. Tanto per non espatriare col patema che si potesse ripetere l’incidente diplomatico dell’anno scorso, quando il pellegrinaggio a Roditti e Capodistria finì con una doppia multa per manifestazione non autorizzata. Stavolta però è andata peggio. Dopo essere scesa dal bus alcune centinaia di metri prima del punto d’arrivo – c’era un fresco cartello da rispettare, che vietava il transito dei mezzi pesanti – la comitiva s’è imbattuta in un robusto gruppo di contromanifestanti sloveni «di 50-60 persone» che già dall’alba, a quanto pare, avevano occupato la stradina verso la voragine. Oltre a quella cortina umana – non riferibile ad associazioni organizzate, ingrossata pure da alcuni cittadini della minoranza slovena in Italia tra cui Samo Pahor, guida morale dell’associazione socio-politica Edinost – non si poteva andare.
    «Già in lontananza – racconta il presidente dell’Unione degli Istriani Massimiliano Lacota – udivamo dei canti e scorgevamo bandiere slovene e jugoslave, e addirittura un grande tricolore italiano con la stella rossa. Quando siamo arrivati davanti a questa gente, in parte giovane e inferocita con in mano bastoni e punte di ferro, ci siamo sentiti dare dei ”porci italiani” e ”sporchi fascisti”». «Alcuni di loro – aggiunge Lacota – avevano in mano immagini dell’incendio del Balkan e di partigiani morti. Ciò che ci ha più impressionato è stato il posizionamento in prima fila di bambini in divisa militare e berretta con stella rossa e falce e martello. Che strumentalizzazione…. C’era chi invitava la nostra delegazione, composta prevalentemente da persone anziane, a venire avanti. Sono partiti degli spintoni e vista la situazione abbiamo concordato con quei pochi poliziotti sloveni presenti, che ci hanno confermato che la contromanifestazione non era autorizzata ma non potevano farci nulla, di fermarci e deporre i nostri fiori sul ciglio della strada». «È stata una vergogna – chiude il presidente dell’Unione degli Istriani – soprattutto perché dietro questa cosa ritengo ci sia una regia in mano alla minoranza slovena triestina. Con noi c’erano ufficiali della Guardia di finanza e pure un osservatore dell’Unione europea che riferiranno nelle sedi opportune. Abbiamo già provveduto a inoltrare una protesta ufficiale al Consolato e all’Ambasciata italiana a Lubiana. Faccio poi notare al nostro sindaco Roberto Dipiazza, che dai contromanifestanti si è preso pure lui del ”fascista”, che dal suo balcone di piazza Unità non riesce evidentemente a notare come non sia tempo di pacificazione. Anzi, di pacificazione non vogliamo più sentir parlare».
    Una versione dei fatti – quella di Lacota, il quale rinvia ai fotodocumenti sul sito internet dell’associazione – che, purtroppo, non ha trovato repliche immediate. Non è stato infatti possibile contattare, causa suoi impegni personali, il professor Samo Pahor.

  6. arlon ha detto:

    “Faccio poi notare al nostro sindaco Roberto Dipiazza, che dai contromanifestanti si è preso pure lui del ”fascista”, che dal suo balcone di piazza Unità non riesce evidentemente a notare come non sia tempo di pacificazione. Anzi, di pacificazione non vogliamo più sentir parlare”

    Frase in qualsiasi caso gravissima, specialmente se basta 50 de lori a causarla.

    In qualsiasi caso, volesi sentir cossa ga de dir qualchidun che a quela contro-manifestazion ghe iera e sa le ragioni che la ga spinta a naser.

  7. enrico maria milic ha detto:

    non è chiaro a nessuno chi abbia organizzato questa “contro-manifestazione” che, ovviamente, è da condannare.

    invece è chiaro che lacota come menia (vedi anche le dichiarazioni di quest’ultimo sul piccolo) sono partiti a tutta forza con la solita strumentalizzazione.

    la frase di lacota “dietro questa cosa ritengo ci sia una regia in mano alla minoranza slovena triestina” è degna di querela.

  8. giorgione ha detto:

    Lacota è il maestro dell’apparire. L’anno scorso è andato senza permessi e così è finito sui giornali per la multa. Quest’anno i permessi li aveva e ha pensato: che diavolo posso fare per finire sul Piccolo? Se vado là e non succede niente, nessuno mi prende in considerazione. Allora annunciamo per bene che ci andiamo, così lo sapranno proprio tutti, magari contando su qualche appoggio nazionalista. E sì perche, guardacaso, solo 2 giorni prima i partigiani di Rovigno avevano indicato i più grandi nemici in Menia, Cosarin, Toth e Delbello, mentre niente Lacota nell’elenco. Risultato gli estremi si toccano e si organizzano per una reciproca visibilità.
    L’anno scorso i pullman erano due, quest’anno uno. Se Lacota continua così si ritroverà lui e il suo chierichetto Neami.

  9. Luigi ha detto:

    Lacota è quello che è, ma perché concedergli in modo così grazioso un’arma di propaganda di questo tipo?

    La Farnesina è arrivata a protestare ufficialmente, e adesso prova tu a dire che è tutta colpa di Lacota!

    E poi Pahor non aveva niente di meglio da fare quel giorno? Avete guardato le foto dell’evento? Perché anche queste sono indicative: da una parte una cinquantina di vecchi (V-E-C-C-H-I!) più Lacota ed un altro paio di quarantenni: nessuno con simboli strani, nessuna testa rasata, nessun bomber tricolore, ma una croce di legno ad aprire il corteo. Dall’altra un centinaio di persone quasi tutte giovani, con bandiere slovene, la bandiera italiana con la stella rossa, bustine partigiane in testa e perfino bimbi piccoli con fazzoletti rossi al collo!

    Ragazzi: sarà anche stata un provocazione (con tanto di permessi ufficiali delle autorità preposte, però!), ma il “provocato” c’è caduto dentro mani, piedi e testa, e ha fatto una pessimissima figura!

    E adesso sai che ti capita? Che grazie alla furbata di questi “provocati” ad aprile/maggio s’organizza un altro pellegrinaggio, e questa volta ha dato l’adesione anche un bel gruppo dell’ADES! Altro che Lacota da solo col “suo chierichetto Neami”!

    Luigi

  10. enrico maria milic ha detto:

    non è stato chiarito chi erano tutte ste persone che si sono confrontate contro la comitiva di esuli.

    forse soprattutto gente del paese.

    ricordiamo che samo pahor rappresenta solo sè stesso, all’interno della comunità slovena triestina, o quasi.

  11. maja ha detto:

    Secondo quanto riportato dai media sloveni, la “contromanifestazione” sarebbe stata organizzata da: un gruppo di abitanti locali, membri dell’associazione TIGR e dell’Associazione combattenti nonchè dell’Iniziativa civile per la Primorska.

  12. arlon ha detto:

    E quali motivi hanno usato, per giustificare la protesta?

  13. maja ha detto:

    Fondamentalmente sostengono di avere reagito a una mera provocazione perchè nell’abisso Golobivnica non ci sarebbero italiani.

    Pare che anche lo storico citato da Lacota (Ferenc) abbia negato le affermazioni del leader dell’Unione degli Istriani riguardo alla presenza di “infoibati” italiani.

    Entrambe le fazioni avevano i permessi necessari per manifestare, ma l’Unione degli Istriani non aveva ottenuto il permesso per accedere al terreno sul quale si trova l’abisso (che è di proprietà privata).

    Su Mladina e Delo on-line vengono pubblicate quotidianamente notizie a riguardo e a giudicare dai commenti dei lettori, l’opinione pubblica slovena pare piuttosto divisa.

  14. Bibliotopa ha detto:

    si conosce la nazionalità di chi dovrebbe esser finito a suo tempo nell’abisso Golobivnica?

  15. Luigi ha detto:

    Il punto non è se ci siano o non ci siano italiani nella foiba. Che dovremmo dire, che se non ci sono degli italiani allora questi qui avevano il diritto di impedire una manifestazione autorizzata? Ma che logica è questa?

    Comunque sia, sulla storia della foiba il comunicato dell’Unione Istriani così afferma:

    “La Foiba Golobivnicà è uno dei quasi seicento luoghi di sepoltura che la Repubblica di Slovenia ha formalmente riconosciuto a seguito di numerosi studi iniziati negli anni ’90 da diversi ed autorevoli ricercatori sloveni. Fra tutti primeggia lo storico Mitja Ferenc, autore di una pubblicazione (in lingua slovena) dal titolo Prikrito in o?em zakrito (in italiano: nascosto e celato agli occhi) e di una significativa mostra inaugurata nel 2005 nel Museo civico della città di Celje, nella quale per la prima volta venivano resi noti i risultati delle ispezioni effettuate in varie foibe e cavità dell’intero territorio sloveno, con l’indicazione delle nazionalità delle vittime della pulizia etnica di Tito: civili e militari italiani, militari tedeschi, civili e militari sloveni, serbi, croati, magiari e persino russi. Il volume in oggetto riporta la foiba di Golobivnica come luogo di sepoltura.

    Numerosissime sono le testimonianze circa gli eccidi commessi e gli infoibamenti avvenuti dai primi giorni di maggio del 1945 e fino addirittura al 1946 presso questa cavità. Gran parte di queste sono contenute nel volume recentemente uscito dal titolo Tudi mi smo umrli za domovino (in italiano: anche noi siamo morti per la patria) edito a Lubiana – e disponibile anche in lingua italiana – dall’Associazione per la sistemazione dei sepolcri nascosti della Slovenia, e curato da cinque autori sloveni: Franc Perme, Anton Zitnik, Franz Nucic, Janez Crnej e Zdenko Zavadlal.

    Va ricordato ancora che nell’elenco ufficiale delle foibe della Repubblica di Slovenia presente su internet compare al n. 401 la Foiba Golobivnica (Grobiš?e jama Golobivnica), con la precisa indicazione delle nazionalità delle vittime precipitate: sloveni ed italiani.”

    A me fa ridere la giustificazione di alcuni media sloveni (?ista provokacija), visto che sarà la stessa identica giustificazione che la prossima volta bloccherà – dico per dire – un’esibizione del coro Pinko Tomazic nel Carso triestino (“L’hanno fatto loro, lo facciamo anche noi”)! Chi è che stabilisce che una manifestazione autorizzata dalle autorità è una “provocazione”?

    Pahor poi è fantastico: è riuscito in un colpo solo a far riaccendere dei pessimi riflettori sulla minoranza slovena. Ma non poteva starsene a casa sua a guardare Beautiful?

    Riguardo poi al fatto che l’opinione pubblica slovena sembra divisa, io non capisco bene lo sloveno, ma ho visto qui:

    http://www.siol.net/slovenija/novice/2009/02/napetosti_ob_srecanju_unije_istranov_v_vasi_lokev.aspx

    Al di là dell’articolo, i commenti sono praticamente SOLO a favore dei “contromanifestanti”, e parecchi sono pure volgari!

    Luigi

  16. Fabio Turel ha detto:

    Ha senso parlare di pulizia etnica se le vittime furono “civili e militari italiani, militari tedeschi, civili e militari sloveni, serbi, croati, magiari e persino russi”? Non sto facendo le pulci, nella confusione che c’è vediamo almeno di usare le categorie mentali corrette.

  17. Luigi ha detto:

    La relazione italo-slovena così descrive il fenomeno:

    “Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e di guerra ed appaiono in larga misura il frutto di un progetto politico preordinato, in cui confluivano diverse spinte: l’impegno ad eliminare soggetti e strutture ricollegabili (anche al di là delle responsabilità personali) al fascismo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo ed allo stato italiano, assieme ad un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione dell’avvento del regime comunista, e dell’annessione della Venezia Giulia al nuovo Stato jugoslavo. L’impulso primo della repressione partì da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l’animosità nazionale ed ideologica diffusa nei quadri partigiani.”

    Il discorso sulla “qualificazione” del fenomeno delle foibe e dell’esodo è complesso ed ancora aperto, ma comunque la si voglia vedere portò alla sparizione di circa il 90% di una componente etnica dal territorio istriano/quarnerino, che è ciò che avviene in caso di “pulizia etnica”.

    Luigi

  18. enrico ha detto:

    Io so con certezza che l’infoibamento nella golobivnica è stato largamente praticato dai partigiani comunisti,come minaccia e repressione conto i cittadini locali non comunisti o collaborazionisti (bastava un semplice sospetto o una delazione).
    Le vittime erano in prevalenza slovene, ma c’erano anche alcuni italiani.
    Per quanto riguarda il pellegrinaggio dell’Unione degli Istriani, un gesto simbolico da parte di pochi italini che vogliono commemorare morti a lungo dimenticati non dovrebbe preoccupare gli sloveni.
    Anche se ci sono stati recoproci torti durante la guerra, alla fine gli italini sono stati cacciati e gli sloveni sono rimasti i padroni della terra delle case e di tutto.
    Pertanto gli sloveni, se vogliono essere europei, almeno un sempice pellegrinaggio lo dovrebbero consentire.

    Enrico

  19. vasco vascon ha detto:

    L’episdio di Lokev è solo una piccola parte di quello che riguarda le foibe della Slovenia; ormai da vari anni lo stato sloveno sta facendo ricerche attraverso tecnici e speleologi per trovare tutti i morti infoibati sloveni, cosa nengata fino alla morte di Tito; le fosse e i morti sono superiori ad ogni immaginazione; sono fondamentali le parole di Janez Jansa che vuol dare una degna sepultura ai morti infoiati o fucilati, eliminare tutto quello che ricorda l’operato di Tito e dei suoi partigiani ormi chiamati tutti criminali: Tito è morto, il comunismo è morto, la Jugoslavia è morta (Janez Jansa). Ormai le foibe sono una realtà, chechè ne dicano i nostri compagni italiani che di queste cose non vogliono sentir parlare; ma gli infoibamenti jugoslavi oramai, da internet, lo vengono a sapere anche gli abitanti della Kamchatka e gli aborigeni dela Nuova Zelanda. Noi pensiamo che l’Italia sidebba vegognare per il suo silenzio che ancora cotinua, per questo la scialorrea di Lacota; per quanto riguarda la foiba di Corgnale, c’è una colonna su un giornale di Trieste del 1946 che adesso non posso presentare, che riferiche di due jnfoibati alla foiba Golobivnica, con tanto di processo, quindi foiba adoperata; i contromanifestanti erano in gran parte sloveni di Trieste, con Samo Pahor e Claudia Cernigoj, alla quale ho suggerito di smettere le sue balle e andare a casa a fare la lana, perchè le foibe-discarihe o le foibe-mito, contengono decine di migliaia di morti, come possono testimoniare gli Zulù e gli Eschimesi. Io per conto mio non finirò mai di riportare che Capodistria ha assistito durante i 45 gg di occupazione, alla deportazioe di tutti i prigionieri militari tedeshi, fatta non dai partigiani ma dai militari jugoslavi.La Slovenia è un immenso cimitero comune: Tito è morto, il comunismo è morto, la Jugoslavia è morta. saluti Vaso vascon

  20. arlon ha detto:

    OT: gli aborigeni dela Nuova Zelanda non esistono.

  21. vasco vascon ha detto:

    Io ripeto che a Trieste c’è gente che si sente grande con tanta nostalgia titina senza aver mai visto ne conosciuto un partizan titino; è il caso di Claudia Cernigoj, che è ritornata anche alla cerimonoia fatta in un secondo tempo per vedere cosa succedeva, ma questa volta gli istriani avevano la scorta di polizia; a leggere Internet noi siamo un covo di fascisti picchiatori, squadristi anche se Mussolini non c’è più, canaglia fascista (Cernigoj e Kersevan), e queste persone sono da querela; per quanto mi riguarda io sono riuscito a mettere la divisa di Figlio delle Lupa, poi è entrata la bandiera jugoslava e quella italiana con la stella rossa; i manifestanti sloveni avevano lo stesso abbigliamento dei titini di allora; gli Istriani di allora non volevano la bandiera jugoslava, nè rossa nè bianca perchè erano in gran parte serbi e montenegrini coi quali neanche gli sloveni andavano d’accordo; chi giustifica i comportamenti titini è gente che non li mai conosciuti. Vasco Vascon

  22. vasco vascon ha detto:

    La Cernigoi è un’esperta di foibe e non può sentire un istriano che ne parli; da venti o trenta anni ripete sempre le stesse cose, le foibe non ci sono o sono delle discariche; lei è triestina, ma gli Istriani le conoscono molto bene e sanno quello che hanno combinatio in due anni i partizani di Tito; in quanto ai guai che hanno combinato i fascisti su sloveni e croati, non si puo dire che il fascismo è nato in Istria o che il Prefetto di Pola abbia suggerito a Mussolini di fare la provincia di Lubiana; tutti gli italiani erano fascisti, ma hanno pagato solo gli istriani; non so se piaccia ad Enrico, ma gli Istriani non volevano gli slavi nè rossi nè bianchi; comunque l’atteggiamento degli abitanti di Roditti o di Corgnale erano gli stessi dei partizani sloveni, serbi o croati; io non dico che i contromanifestanti erano convinti, ma convinta era la nostra Claudia, che poi si è recata nell’abitato di Coorgnale sicuramente per dire che gli esuli erano fascisti, come dice sempre nei suoi scritti; li mette in Internet e sono per tutti; ma gli antiitaliani di Trieste che negano le foibe ormai sono una minoranza; tutti i giornali del mondo conoscono le vicende delle foibe, tedeschi, inglesi, spagnoli, sudamericani, sloveni e croati, che non si stancano mai di raccontarle al mondo intero; alla Cernigoi, Kersevan, che ci ha definito squadristi e picchiatori fascisti, Sandi Volk che vorrebbe convertire Trieste alla Slovenia, non rinmarrà molto tempo per ripetere le loro idiozie; perchè non raccontno le loro storie a Janez Jansa o agli istriani di via Bajamonti recandosi di persona: in cinque minuti si trovano davanti una ventina di pescatori con le braccia di Popeje che gli fanni storgere il muso e perdere tutti i denti. saluti Vasco vascon

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