7 Ottobre 2008

Provando a navigare le acque del Porto

Provo a iniziare una rubrica senza pretese sull’economia locale, dove raccogliere notizie in breve e magari qualche interpretazione. Spero nell’aiuto dei bravi commentatori.

L’editorialista del Piccolo, Roberto Morelli, sostiene domenica sul quotidiano medesimo che la partecipazione di Luka Koper in società operanti nel Porto triestino sarebbe inopportuna perchè “fa capo in definitiva a un governo”. Luka Koper è la grande compagnia di servizi portuali che ha base a Capodistria.
Morelli, che sostiene questa tesi in riferimento alla contesa dello Scalo Legnami, dove si sono affrontate e poi messe d’accordo due cordate di imprenditori friulgiuliani, continua a proposito di Luka Koper: l’essere legata al Governo sloveno “la pone in posizione strategica impari rispetto a due gruppi di privati che legittimamente battagliano per la miglior proposta imprenditoriale”. Le due cordate General Cargo Terminal spa (di Pacorini e Ocean) e Agentimar srl (ventitrè operatori tra cui Tripcovich, Cosulich, Samer), si erano messe d’accordo in questi giorni sotto gli auspici dell’assessore regionale Riccardo Riccardi per non andare ad una gara a buste chiuse in cui, chi avrebbe offerto di più, avrebbe potuto gestire lo Scalo Legnami. Secondo Morelli, è un bene che le due cordate che si sono fronteggiate per gestire lo Scalo Legnami si siano riappacificate per il bene della nostra economia.

Per quel poco che capisco le vicende delle economie portuali e marittime, mi pare che ritroviamo alcuni punti critici delle vicende nostrane. Semplificando:
1) Il mondo finisce a Muggia. Il Porto di Capodistria è uno sconosciuto nemico, non un possibile partner o, pure, un possibile concorrente come vorrebbe la logica che dovrebbe smuovere soggetti economici operanti nel fazzoletto di costa nordadriatica
2) Morelli sostiene implicitamente che gli imprenditori triestini devono cavarsela da soli contro la concorrenza di un intero Stato sloveno. Insomma, lo stato italiano non aiuta il nostro Porto, a differenza di quanto lo stato sloveno fa per quello di Capodistria. Vedi le parole di Morelli qua sopra.

Entrambi questi due problemi non si possono prendere sottogamba. Il primo problema riguarda non solo il modo di sentire di gran parte della cittadinanza aldiquà di Fernetti. Ma riguarda anche la più generale capacità di leggere il mondo da parte di questa cittadinanza. In questo senso, non sarebbe ora di poterci dotare di strumenti per comprendere quanto accade non solo in Slovenia e, per esempio, in tutta l’ex Jugoslavia? Parlo di mezzi di informazione che coprano per bene e ci raccontano e spieghino questi luoghi. Parlo di una necessaria diffusione, almeno presso tecnici e operatori specializzati nostrani, dell’apprendimento delle lingue slave (sloveno e serbo-croato) che ci permettano di leggere, parlare, capire, interagire e competere con e contro le aziende dell’ex Jugoslavia.

Il secondo punto è ancora più complesso da risolvere. Qui il problema è generato da percorsi storici che, se sono paralleli a quelli della creazione del babau sloveno di cui sopra, sono ancora più difficilmente risolvibili in senso positivo. Riusciremo mai ad avere uno Stato italiano che crea le infrastrutture notoriamente necessarie per il Porto di Trieste? Che lo finanzia? Che lo promuove? Che lo fa parte della strategia economica generale dello stato italiano? Una minima conoscenza di come funziona la politica a Roma e della storia dello Stato italiano e del suo rapporto con Trieste, ci può dare le risposte di cui abbiamo bisogno. Ovviamente negative e vorrei sapere le argomentazioni credibili e fondate di chi ha il coraggio di sostenere il contrario.

Mi pare auspicabile che gli abitanti di questi territori ottengano più autonomia e federalismo, più integrazione col resto dell’Europa a noi confinante. Ma questo non si farà se non si mettono sotto la luce e si sciolgono le lobby che gestiscono privatamente il Porto e bella parte della vita pubblica locale, all’estremo lembo d’Italia  e del continente. Morelli aveva sospirato: “magari Trieste si riempisse di imprenditori sloveni!”. Certo, magari. Magari il Porto di Trieste fosse un terreno talmente libero che la gestione di un Molo si vince in base a chi è disposto a investirci di più, ovvero a scommetterci di più – e questa era un’ipotesi avanzata da Bonicciolli – invece che per forza dover mettere d’accordo tutti. Così magari finirà che non si scontenta nessuno e via, avanti, di compromessi e di inesauribili lentezze e processi che vanno bene se visti come progressioni di un’era geologica.

Giovanni Panjek, l’economista dell’Università di Trieste, ha sostenuto sul Piccolo qualche giorno fa che i prezzi dei prodotti nel Friuli Venezia Giulia sono rimasti più elevati rispetto a quelli di altre regioni “a causa dei costi di trasporto”. E ha continuato:

“Siamo ai margini dei sistemi di distribuzione nazionale […] perchè non c’è un numero di consumatori sufficienti a giustificare la realizzazione di una rete distributiva: solo quando si omogeneizzano le domande e, conseguentemente, i trasferimenti tra Slovenia e Italia ci potrà essere un abbassamento dei prezzi per l’accresciuto commercio. Oggi i mercati restano divisi: investire sul marketing potrebbe risultare strategico”.

Le parole di Panjek sono molto interessanti se rapportate ai punti critici del nostro Porto, per come li ho evidenziati. E sono anche importanti se rapportate ad un’inchiesta di opinione che sta per uscire sul prossimo numero di Euregio che è stata illustrata in anteprima dallo scorso numero dell’inserto Nord Est del Sole-24 Ore. In questo sondaggio somministrato a circa 1500 abitanti di Friuli Venezia Giulia, Veneto, Carinzia e Slovenia, ci siamo chiesti quanto i cittadini dell’Euroregione Euradriatica comprendano la lingua degli altri e quanto questi si fidino a comprare i prodotti originati aldilà del confine. I lettori di Euregio scopriranno che c’è un sacco di lavoro da fare in questo senso…

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1 commenti a Provando a navigare le acque del Porto

  1. Arlon ha detto:

    frase chiave: “Ma questo non si farà se non si mettono sotto la luce e si sciolgono le lobby che gestiscono privatamente il Porto e bella parte della vita pubblica locale, all’estremo lembo d’Italia e del continente.”

    Sempre là caschemo.

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